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La chef Isa Mazzocchi: «Da bambina chiudevo i tortelli per gioco, l’incontro con Georges Cogny è stato illuminante»

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È stato l’incontro con Georges Cogny a far scattare la scintilla. “Grazie a lui ho capito che si poteva fare qualcosa in più dei tortelli e dei pisarei: mi ha insegnato a trasformare la materia prima povera in qualcosa di bellissimo”. Isa Mazzocchi, chef piacentina del ristorante “La Palta” di Bilegno, si è raccontata all’Happening di Comunione e Liberazione, nell’incontro “Ognuno al suo lavoro”, che si è tenuto nel tardo pomeriggio di domenica 22 giugno sul Pubblico Passeggio a Piacenza. Insieme a lei, Alessandro Mele, direttore della realtà sociale “Cometa” a Como. Ha moderato Franco Ferrazza, consulente aziendale.

Dall’osteria al ristorante

Proprio là dove oggi c’è uno dei ristoranti più rinomati della provincia, una volta c’era l’osteria dei genitori di Isa Mazzocchi. “Per toglierci dai piedi, ci facevano chiudere i tortelli o mettere a posto gli anolini”, dice la chef riferendosi a sé stessa e a sua sorella Monica. “Lavorare per noi era un gioco”. “La voglia di continuare quel lavoro è nata dai loro gesti, dal vedere la passione che ci mettevano. Ho capito che cucinare era il mio mestiere. Più che la scuola alberghiera, è stato illuminante l’incontro con Georges Cogny, uno dei migliori cuochi italiani, che dalla Francia decise di trasferirsi in alta Valnure con sua moglie piacentina”.

La stella Michelin

“Nel 2011 è arrivata la stella (Michelin, nda): è stata una gioia incredibile, grazie a un lavoro di squadra, insieme a mio marito Roberto, a mia sorella Monica e a mio cognato Marco. I nostri genitori ci hanno permesso di sbagliare in quell’osteria che oggi è diventata un ristorante. Quella stella è come se l’avesse presa tutta Piacenza. O almeno tutta la Valtidone”.

Da commercialista a operatore sociale

Alessandro Mele ha raccontato la decisione di cambiare lavoro, da commercialista a operatore sociale. “Dopo la laurea in Scienze bancarie a Siena, ho lavorato per banche e assicurazioni. A un certo punto, però, ho incontrato qualcosa di più interessante: una realtà sociale a Como, che aveva iniziato ad accogliere dei bambini. Mi sono subito sentito a casa, ho iniziato come volontario e in due anni sono passato a lavorare a tempo pieno. Sono ormai vent’anni che lavoro nel sociale”.

Lavoro come costruzione di rapporti

La realtà sociale “Cometa”, ha spiegato Mele, si prende cura di 1.500 ragazzi grazie a 300 lavoratori. “Abbiamo migranti, ragazzi in dispersione, ma anche un liceo. Ci sono 23 ragazzi con disabilità che abbiamo assunto in otto realtà lavorative”. “Ho cambiato radicalmente lavoro – ha dichiarato – perché ho trovato degli amici, persone con cui condividere la vita. Il lavoro è la costruzione di rapporti significativi. La prima cosa che mi ha convinto a cambiare è stata il rapporto con queste persone. E poi l’utilità del mio lavoro, il gusto nel farlo, il senso di libertà e la possibilità di costruire qualcosa”.

“In Italia non si fanno figli, abbiamo bisogno degli stranieri”

Il racconto di Alessandro Mele è stato introdotto da una riflessione sul mondo del lavoro di oggi. “C’è la disoccupazione più bassa della storia, siamo gravemente affetti da denatalità e siamo usciti da una pandemia che ha cambiato profondamente l’idea del lavoro”. Prima, Franco Ferrazza aveva fatto un’approfondita disamina, numeri alla mano, della situazione odierna. “In Italia ci sono 4 milioni e 400mila imprese e il 92% di queste ha da zero a dieci dipendenti. La media è due dipendenti ad azienda. Il mercato del lavoro è fatto di microimprese. Una percentuale alta del nostro fatturato è dettata dall’occupazione straniera: nei prossimi dieci anni abbiamo bisogno di persone che vengono a lavorare in Italia perché non si fanno figli. Ed è un problema non si risolve ora perché, se anche domani iniziassimo a fare figli, la ricaduta ci sarebbe almeno tra anni”. Determinanti, dunque, secondo Ferrazza, sono la “passione umana” e l’unicità della persona.

Francesco Petronzio

Nella foto, da sinistra Alessandro Mele, Marco Ferrazza, Isa Mazzocchi.

Pubblicato il 23 giugno 2025

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

    uslam


    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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