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Oliverio in Fondazione: il cervello è plastico per tutta la vita

 

etica

 

Il nostro cervello non è un'entità geneticamente determinata una volta per tutte: l'ambiente modifica la sua struttura e le sue funzioni”. A dirlo il professor Alberto Oliverio dell'Università la Sapienza di Roma, ospite nel Salone d’Onore di Palazzo Rota Pisaroni della Fondazione di Piacenza e Vigevano lo scorso 9 novembre per I Giovedì della Bioetica”.
“La plasticità cerebrale è un tema di bioetica, perché riguarda la conoscenza di noi stessi, di come siamo e di come saremo nel tempo. E la possibilità di intervenire in qualche misura su come saremo interpella anche le politiche sanitarie più opportune da mettere in atto per preservare la salute cerebrale e globale della persona”.
“I Giovedì della Biotetica” sono un'iniziativa promossa dall’Istituto Italiano di Bioetica - sezione Emilia-Romagna e dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano.

Il cervello, l'organo più misterioso

“Il cervello plastico dall’infanzia alla terza età”, un tema tanto complesso quanto affascinante quello dell'incontro di stasera con Roberto Oliverio - ha detto Gaetano Rizzuto nei saluti introduttivi, presentando il professore. Il nostro ospite, autorità nazionale e internazionale nell'ambito della psicobiologia, ci dimostrerà scientificamente che la stimolazione cerebrale durante l'infanzia contribuisce a rendere il cervello plastico, ma anche nel corso della terza età aiuta a ritardare un possibile declino”.
A queste osservazioni ha fatto eco Giorgio Macellari, curatore scientifico dei “Giovedì della Bioetica” e presidente dell’Istituto Italiano di Bioetica Sezione Emilia-Romagna: “Il cervello è ancora oggi l'organo più misterioso e complesso che abbiamo - ha detto - , di gran lunga meno conosciuto del nostro universo”.
Poi ancora la parola a Oliviero, che in un interessante excursus storico ha evidenziato le diverse posizioni di contrasto tra neuroscienziati, fino alla scoperta della plasticità cerebrale.
“Verso fine '700, inizio '800 da un lato ci sono i frenologi come Gall e Spurzheim - ha spiegato - , convinti che esista un centro, una struttura per ogni funzione cerebrale e l'esercizio di tale funzione possa amplificarne la rappresentazione e la capacità di gestirla: ma le funzioni cerebrali considerate dai frenologi, amor patrio, amor profano, obbedienza paterna, sono ben poco scientifiche. Dall'altro lato invece il francese Flourens nega l'esistenza di una separazione tra diverse strutture cerebrali e considera il cervello come un tutto, manifestazione di una scintilla divina.
L'antitesi continua nel corso dell'800 – prosegue l'esperto – con alcuni ricercatori successivi e ancora oggi fra i neuroscienziati permangono differenze tra chi sostiene una localizzazione rigida delle diverse funzioni cerebrali e chi invece sposa una visione olistica. Merito degli studi ottocenteschi è stato aprire la strada al concetto che il cervello fosse un'entità modificabile e quindi avesse una plasticità capace di potenziarne le funzioni con l'esercizio. È chiaro allora che non siamo totalmente determinati geneticamente: i geni specificano caratteristiche anatomiche del cervello e buona parte delle sue funzioni, ma l'ambiente può modificarne struttura e funzioni stesse”.

Vari esperimenti

Ma quando si comincia davvero a parlare di plasticità cerebrale? Il termine plasticità è usato a inizio Novecento - ha proseguito Oliverio -, poi a metà secolo Hebb con la sua teoria dei circuiti hebbiani rivoluziona la psicobiologia evidenziando come la forma delle reti neurali di cui siamo costituti è in gran parte legata e selezionata dalla nostra esperienza di vita: un processo fondamentale, che permette la conservazione dei ricordi. Da allora si susseguono esperimenti per dimostrare la modifica e l'adattabilità del comportamento umano in rapporto all'esperienza, a partire dal mutamento indotto delle connessioni cerebrali e spazio – temporali del soggetto. Sarà però un esperimento di inizio anni '60 sui ratti a segnare una svolta nella scoperta della plasticità cerebrale: allevati insieme in un ambiente arricchito di stimoli, i topi hanno prodotto un maggior numero di diramazioni neuronali e di sinapsi e migliorato le capacità d'apprendimento”.
L'esperimento colpì i politici statunitensi dell'epoca che cercarono di introdurre esperienze di stimolazione cerebrale nei ghetti delle persone di colore”.
“La plasticità cerebrale (quindi la capacità di modifica delle strutture neuronali del cervello), è già presente in fase fetale, raggiunge l'apice durante infanzia e adolescenza e diminuisce in età avanzata, ma permane per tutta la vita - ha spiegato Oliverio -. Apprendimento, memoria, lesioni cerebrali, deprivazione ambientale, invecchiamento, malattie degenerative sono i vari ambiti in cui si può riscontrarne l'effetto”.

La riserva cognitiva

Gli esempi non mancano: l'apprendimento di una seconda lingua è massiccio e facilitato prima della pubertà, mentre diventa più difficoltoso in età adulta. L' esercizio intensivo della manualità porta ud una significativa espansione della struttura nervosa corrispondente nella corteccia motoria; viceversa in caso di amputazione dell'arto le afferenze nervose scompaiono. “La riserva cognitiva”, utile a preservare il funzionamento cerebrale in anni tardivi è un altro concetto fondamentale su cui si sofferma l'esperto.
“A fronte di u progressiva decrescita del potenziale cerebrale, la riserva cognitiva è una preziosa scatoletta degli attrezzi costruita negli anni - ha spiegato - , che con il tempo si restringe. Più la scatola di partenza è ampia, maggiore sarà il suo capitale cognitivo e quindi più significativi i benefici per compensare alcuni deficit in tarda età”.
Cosa fare per disporre di una buona riserva cognitiva? “La stimolazione precoce alla musica classica, l'apprendimento giovanile di una lingua, l'istruzione sono fattori importanti. Ma il nostro cervello deve continuare ad essere stimolato nel corso degli anni: la socializzazione, tutte le attività che incentivano le risorse cognitive, una dieta sana e una buona attività fisica sono fondamentali dall'infanzia fino alla terza età. Penso che le politiche sanitarie dovrebbero occuparsi di incentivare la stimolazione cerebrale fin dall'infanzia per preservare la salute futura di una popolazione sempre più vecchia come quella italiana”.

Micaela Ghisoni

Nella foto, da sinistra Alberto Oliveiro, Giorgio Macellari e Gaetano Rizzuto.

Pubblicato il 13 novembre 2023

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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