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AnnalenaTonelli: «Estrema, libera, radicale, materna»

Barbara Sartori 

 

“E se morissi oggi”? “E se morissi senza aver amato di più”? È a partire da queste considerazioni scritte dalla volontaria Annalena Tonelli e conservate in sua memoria sulla scrivania della giornalista e scrittrice Annalena Benini, che la giornalista Barbara Sartori ha presentato il libro “Annalena” ( Einaudi, 2023). Scritto da Annalena Benini è dedicato proprio alla missionaria Annalena Tonelli, cugina di terzo grado dell'autrice. L'iniziativa si è tenuta lo scorso venerdì 10 maggio nella sala delle colonne di Palazzo Vescovile ed è stata promossa dall'associazione “Convegni di cultura Maria Cristina di Savoia”, presieduta da Rossella Beoni.

Un libro di donne

“Ho deciso di partire dall'amore perché attorno all'amore ruota l'intera esistenza di Annalena Tonelli - ha spiegato Barbara Sartori- . Per amore questa donna ha deciso di donare la sua vita agli altri, scegliendo e costruendo così la propria libertà”.
“Estrema. Libera. Radicale. Materna. La donna che ha fatto il salto'” è il titolo che ho scelto per questo incontro – continua -. A descrivere in questo modo la Tonelli è la stessa Benini nel romanzo.

“Troppo alata per il suolo e troppo carnale per il cielo” la definisce l'autrice, prendendo a prestito una frase di Marguerite Yourcenar rivolta a Saffo e citata da Sartori. Tratto specifico della Tonelli è infatti uno “sbilanciamento”: verso il basso, per la ritrosia e l'umiltà con cui parla di sé. «Io non sono niente» , scrive in molte delle sue lettere spedite alla famiglia dall'Africa, «non faccio nulla di cui valga la pena parlare». Ma anche verso l'alto: proprio la sua tendenza a porsi in basso, la spinge infatti ad una tensione costante verso l'altro.
Cugine alla lontana, Annalena Benini e Annalena Tonelli non si sono mai conosciute dal vivo. “Ad avvicinarle per la prima volta è un lungo ricovero ospedaliero dell'autrice, a causa di una grave polmonite – ha raccontato la giornalista ripercorrendo i ricordi della Benini-. In ospedale un'infermiera fa notare alla scrittrice la sua omonimia con la Tonelli. È questa la «scossa che spinge la Benini a decidere di scontrarsi e incontrarsi con le tante lettere della sua lontana parente, immergendosi in una lettura protratta per l'intera convalescenza. A metà tra autobiografia e incontro spirituale tra autrice e protagonista, Annalena prende forma dopo lo studio dettagliato di queste lettere. Colpita dalla figura della Tonelli con cui sente la necessità di confrontarsi, la Benini ha voluto ricostruire in un romanzo vita e personalità della volontaria”.
“Annalena” è un libro di donne che si incontrano e si fa terreno di incontro tra noi lettrici – ha sottolineato la relatrice -. Non solo autrice e protagonista si rincorrono come in uno specchio tra analogie e differenze, ma trovano spazio anche molte altre donne care sia alla Tonelli sia alla Benini. E vicine alla protagonista per pensiero e grandezza. Da Simon Weil a Etty Hillesum, passando per Hannah Arendt fino a Emily Dickinson, le tante voci che si accostano a quella della Tonelli rendono questo romanzo molto femminile, ma mai femminista. Non c'è spazio per la contrapposizione tra uomini e donne, ma il testo è anche una riflessione sulla condizione della donna”.

Chi è Annalena Tonelli?

“Descriverla non è facile, proprio perché non voleva parlare di sé o che altri scrivessero di lei – ha osservato Sartori -. Schiva (e in questo simile all'autrice) anche nei confronti dei giornalisti che vogliono intervistarla, la Tonelli non è una suora. È missionaria laica, ma non solo. La sua capacità di conciliare in sé attitudini apparentemente opposte, di unire nel suo operato «mente e cuore» rende difficile incasellarla in una definizione univoca. Di certo ha fatto tutto «spinta dall'amore per gli esseri umani», scrive la Benini. Le sue numerose, ricche lettere scritte dall'Africa a famigliari e amici sono un mezzo per esprimere da un lato la volontà di silenzio su di sé e dall'altro il desiderio di condividere quello che fa. Sono un «suo modo di pregare». Da qui alla ricostruzione della biografia della protagonista, inframmezzata dalle sue lettere, il passo è breve.
Annalena Tonelli nasce a Forlì nel 1943 – racconta la giornalista -, lo stesso anno in cui Etty Hillesum moriva ad Auschwitz e Simon Weil al sanatorio di Ashford, in Inghilterra. Poi studia Giurisprudenza a Ferrara, ma vorrebbe interrompere l'università e partire per l'India. Originaria di una famiglia altolocata la Tonelli rompe i cliché in cui è cresciuta con la sua voglia di partire, esplorare nuovi mondi, stare accanto agli ultimi. Erede del fermento scaturito dal Concilio Vaticano II è affascinata soprattutto da Charles de Foucault. Prima tra le sue amiche ad imparare il twist ma al tempo stesso animata da una radicalità che la spinge verso l'essenziale, il ruolo da brava ragazza del Dopoguerra le sta stretto.
“Ancora prima di laurearsi vive per un periodo negli Stati Uniti, a seguito di una borsa di studio – continua - . Lì, frequentando alcuni ghetti, si rende conto da vicino della povertà e di molte altre problematiche sociali. Un'esperienza importante che porterà con sé al ritorno in Italia, dove continuerà ad aiutare i poveri e i disagiati della sua città. La scelta definitiva di lasciare la famiglia e partire in aiuto degli ultimi avviene dopo la laurea, con la decisione di Annalena di assecondare il suo più grande sogno: andare in Africa.

In missione

Arriva in Kenya nel 1969 e va a insegnare da laica nella scuola della Congregazione della Consolata. “La stessa di suor Leonella Sgorbati – ha fatto notare Sartori in un paragone tra le due figure -. Con la fondazione di scuole e ospedali nei quali prestano aiuto, sia la Tonelli che suor Lionella si adoperano perché ai poveri non manchi la dignità e la possibilità di stare in ambienti curati, dove anche la bellezza contribuisca a generare accoglienza”.
“Tutto il mondo è dentro di me e io amo tutto il mondo”, scrive Annalena in una lettera di quel periodo. Poi sente il bisogno di essere ancora più radicale e nel 1970 viene inviata in Wajir: un villaggio nel cuore del deserto, poco lontano dal confine con la Somalia.
“Ero al Wajir, un villaggio desolato nel nord-est del Kenya – scrive la missionaria citata dalla relatrice - , quando conobbi i primi tubercolotici e mi innamorai di loro: e fu amore per la vita. Quello che più spaccava il cuore era il loro abbandono, la loro sofferenza, senza alcun tipo di conforto. Io cominciai a portare loro l'acqua piovana, che raccoglievo dai tetti della casa che il governo mi aveva dato come insegnante della scuola secondaria. Loro mi facevano cenni di comando, apparentemente disturbati dalla goffaggine di quella giovane donna bianca della cui presenza sembravano volersi liberare in fretta”.
La Tonelli sente per tutta la vita il peso della sua condizione di donna sola, bianca ed europea in una società dominata dall'autorità maschile – evidenzia Sartori -, ma non si rassegna. Per vivere come i poveri rinuncia a tutto, dal materasso ai vestiti, e tiene solo i suoi libri. Riesce perfino a proteggere la popolazione musulmana e nomade del deserto da un tentativo di genocidio pianificato dal governo, ma nel 1984 viene espulsa dal Kenya perché diventata troppo scomoda alle autorità”.

Minacce e aggressioni

Dal Kenya alla Somalia, sconvolta dalla guerra civile e dall'estremismo islamico, la situazione è ancora più difficile. “Tra minacce di morte e aggressioni subite Annalena si rende conto del pericolo che corre quotidianamente – ha osservato la relatrice - . E scrive: 'sono carne da macello ogni giorno”. Viene uccisa in Somalia con tre colpi d'arma da fuoco nell'ottobre 2003, all'uscita dall'ospedale dove stava prestando servizio. Dopo la sparatoria una fila di persone del posto accorre davanti all'ospedale per donarle il sangue, ma poco dopo la Tonelli muore. Stessa sorte sarà riservata a suor Leonella Sgorbati, assassinata nel 2006.
“Non è vero che l'amore genera amore, non è vero che basta essere buoni”- commenta graffiante Annalena Benini citata dalla giornalista- . Ma la Tonelli ha generato amore nella maggior parte delle persone che l'hanno conosciuta.
So che tu non capiresti questo buttar via la vita in nome di un grande amore - scrive la missionaria in una lettera alla madre due giorni prima di morire. Ma è un tale, sconvolgente mistero questa eternamente inappagata sete di madre e di amore individualizzato per noi”.
A spingere Annalena Tonelli a dare la sua vita per i «brandelli di un'umanità ferita» è allora la sete di amore materno - ha detto in conclusione Barbara Sartori. Forse non arriveremo all'amore di Annalena, ma la libertà di non far finta di niente e di chiamare le cose con il loro nome è a nostra portata. Invito ad avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, il libro della Benini esorta a fare ciascuno la propria parte per renderla migliore”.

Micaela Ghisoni

Nella foto, la giornalista Barbara Sartori durante il suo intervento.

Pubblicato il 29 maggio 2024

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