A XNL si fa teatro alla Bottega del maestro
I quadri di Klimt che si scorgono dalla vetrata fanno quasi da anticamera a una vera e propria bottega in cui il maestro “fa teatro” insieme ai suoi allievi. L’idea nasce dall’incontro di altre due realtà, il Festival del Teatro antico di Veleia e la Fondazione “Fare Cinema”, presieduta da Marco Bellocchio. Alta formazione, produzione e fruizione artistica si fondono in una rivisitazione su palcoscenico delle botteghe artistiche rinascimentali. La mente è Paola Pedrazzini, direttrice artistica di tutti i progetti sopracitati.
Un laboratorio di idee in divenire
“Ho parlato di questo progetto al presidente di Fondazione di Piacenza e Vigevano Roberto Reggi – spiega Pedrazzini – che ringrazio per averci creduto e per aver deciso di fornire a Fare Teatro e a Istituto di Teatro antico dell’Emilia-Romagna, che gestisce il Festival di Veleia, il secondo piano del palazzo XNL, che io ho ribattezzato «Bottega XNL». La mia idea è che cinema e teatro si possano imparare solamente andando a bottega dai grandi maestri, come succedeva nel Rinascimento per le arti visive”. Ventuno allievi, selezionati accuratamente fra più di trecento candidature provenienti da tutta Italia, portano in scena il 19, 20 e 21 luglio, nella splendida cornice di Veleia, la prima nazionale di un’Antigone rivisitata dal regista Marco Baliani insieme agli attori. “Il laboratorio – spiega Baliani – è un modo per creare drammaturgia a partire da quello che gli attori sono, da ciò che ciascuno di loro può mettere in campo”. Il fil rouge fra i progetti Fare Cinema e Fare Teatro sta nella missione: un corso di alta formazione che termina non in un saggio, ma in un cortometraggio, nel primo caso, da presentare al Festival del Cinema di Bobbio, e in una rappresentazione teatrale vera e propria nel secondo.
“Antigone” a Veleia
“Un’Antigone nuova, - prosegue Pedrazzini – vista con uno sguardo diverso: Baliani, che già aveva lavorato sul testo di Sofocle nel 1991 a Bologna, ha accettato subito la mia idea. E l’ambientazione non è casuale, l’area archeologica di Veleia permette all’arte del teatro di manifestarsi all’interno di un’atmosfera unica. Nelle botteghe rinascimentali gli allievi lavoravano col maestro a una committenza, i nostri allievi lavorano come scuola a un progetto che poi viene rappresentato. Abbiamo deciso di fare un bando nazionale dedicato a persone già diplomate in scuole di teatro”. Gli allievi della Bottega XNL compongono il coro, mentre i due protagonisti, Antigone e Creonte, sono interpretati da Petra Valentini, volto di “Elvira”, diretto da Toni Servillo, e Massimo Foschi, attore, doppiatore e pezzo di storia del teatro italiano. Fra le sue parti più celebri quella di Orlando nell’omonimo spettacolo di Ronconi, ha lavorato con registi del calibro di Orazio Costa, Giorgio Strehler, Luchino Visconti, Elio Petri e Gian Maria Volonté. È la celeberrima voce di Dart Fener in “Guerre stellari”. I costumi sono di Emanuela Dall’Aglio, premio Ubu 2021 per lo spettacolo “Naturae” della Compagnia della Fortezza di Volterra, e le musiche di Mirto Baliani. “Come direttrice artistica – commenta Paola Pedrazzini – sono doppiamente felice di avere una prima nazionale al Festival di Veleia e anche per il primo progetto di Fare teatro di Bottega XNL a cui tengo molto”.
Marco Baliani: “il percorso umano conta più del risultato finale”
Marco Baliani (1950) è un autore, attore e regista teatrale, specializzato nel “teatro civile”. Nel 1991 portò in scena “Antigonellacittà”, uno spettacolo-evento ispirato alla strage di Bologna. Vincitore di un premio Ubu e un premio Idi, nella sua carriera Baliani ha collaborato con artisti illustri nel campo del cinema e del teatro. È lui il primo maestro di teatro della Bottega XNL, scelto dalla direttrice Paola Pedrazzini per fare qualcosa di diverso, un laboratorio che guardi al teatro con un taglio più umanistico.
— Baliani, come funziona il suo laboratorio?
Si chiama laboratorio perché ha una dimensione “work in progress”. Non appartengo a quel tipo di registi che lavorano a tavolino sul testo e poi danno indicazioni agli attori. Io lavoro fisicamente coi corpi degli attori, per cui il laboratorio è un modo per creare drammaturgia a partire da quello che loro sono, da ciò che ciascuno di loro può mettere in campo, come creatività, cultura e fisicità, che corpi hanno e come li muovono. Per fare Antigone sono partito dai corpi dei cittadini di Tebe. La dimensione del corpo, che comprende anche la voce, per me è quella di partenza. Sono esercizi fisici anche faticosi che permettono però di compattare il gruppo, creare un equipaggio vero, solidale, volto all’ascolto e alla capacità di relazionarsi. La forza del teatro è questa: la scoperta di chi siamo in rapporto a quello che vogliamo mettere in scena.
— Come sono stati selezionati gli allievi?
Ho guardato attentamente e pazientemente 300 video, ho letto 300 curriculum e 300 lettere di presentazione. La parte decisiva sono le audizioni video, attraverso quelle vado a intuito e di solito indovino abbastanza. C’era una rosa di quaranta selezionati, poi alcuni hanno rinunciato e siamo arrivati a ventuno. I miei allievi non sono ragazzi alle prime armi, hanno già frequentato scuole o accademie e hanno livelli di preparazione diversi. Non mi è mai piaciuta l’idea di un laboratorio fine a sé stesso. Quando mi invitano a insegnare nelle accademie e nelle scuole accetto solo se alla fine c’è un esito spettacolare. Se non si conclude con la scena rischia di essere tutta teoria. Lo stare in scena permette di sentire cos’è il teatro, più che capirlo.
— Qual è la finalità del suo metodo?
Da sempre ho un istinto pedagogico molto alto. Ho iniziato a fare regie dagli anni ’80, e fin da allora mi interessa non tanto la finalità rappresentativa dello spettacolo quanto il percorso umano, scoprire chi c’è dietro la parola “attore”, tentando di fare in modo che l’attore esprima tutta la sua artisticità, che sia anche autore del testo, che partecipi creando e inventando. Non mi sarebbe interessato fare uno spettacolo con un testo canonico già scritto, con parti e battute già stabilite.
— Come si va oltre il provincialismo culturale?
Siamo nell’”Emilia-Romagna felix”, regione ricchissima di cultura, eventi, spazi teatrali, gruppi, artisti. Mi meraviglio che fra le domande arrivate pochissime venissero da Piacenza; i candidati piacentini che ho esaminato erano spesso amatoriali, senza esperienza. Ciò mi porta a pensare che nel territorio manchino occasioni di formazione teatrale, sembra non ci siano laboratori per giovani. È una mia sensazione. In altre situazioni, invece, ho avuto tante domande provenienti dalla città dove lavoravo. Quanto al provincialismo, l’essere provinciale non è sempre una cosa negativa se si intende un discorso di conoscenza interiore o di analisi di una regione spazio-geografica piccola, in quel caso è anche una cosa positiva. Se invece il provincialismo è sinonimo di grettezza o pensiero autoreferenziale o autarchico allora va assolutamente superato, e la cultura deve saper offrire le giuste soluzioni. Sotto di noi (al piano terra del palazzo XNL, ndr) c’è la mostra di Klimt, un ottimo esempio in questo senso. Piacenza ha tutte le potenzialità perché è ricca e potrebbe investire tanto in cultura. Il progetto Bottega XNL è molto valido per promuovere il teatro. Non bisogna credere che le città piccole non possano offrire opportunità. È più importante il progetto che la città che lo ospita: se c’è un’occasione interessante in un piccolo paese la gente si sposta lì. Risulta chiaro che il paragone sulla quantità dell’offerta non regge, una grande città come Milano schiaccia tutte le altre città, anche Roma. Solo Napoli è all’altezza di Milano in questo senso.
— I giovani vanno ancora a teatro?
Dipende dagli spettacoli che si propongono. Se si fanno spettacoli classici e canonici ai giovani non interessano. Il teatro “old style” appartiene a una cultura otto-novecentesca che non ha più molto senso. La borghesia di un tempo pensava che tutto il mondo stesse dentro una stanza seduto sui divani. Dagli anni ‘70 del Novecento questo teatro è esploso fuori, e il fuori ha prodotto tanto teatro giovanile. E c’è tanto pubblico. Quando faccio i miei spettacoli di narrazione i teatri sono sempre pieni di giovani. Anche la danza, ad esempio, è una forma teatrale che i giovani apprezzano tantissimo. L’Italia è molto indietro rispetto a una programmazione basata su un nuovo modo di concepire il teatro. I teatri nazionali sono vecchi mentalmente, abbarbicati in una tradizione vetusta, per cui ogni volta bisogna combattere per proporre qualcosa di diverso.
— I giovani vogliono fare teatro?
Sono tantissimi. Se si guardano solo le scuole di teatro legate alle grandi città, esse sono piene di giovani che hanno voglia di imparare. Le trecento persone che si sono proposte per questo laboratorio sono un numero enorme, a marzo per un altro spettacolo che ho diretto ad Ancona avevo 680 domande. È pieno di giovani, ma non hanno tutti lo sbocco. C’è troppa offerta rispetto alla domanda, perché la domanda è un problema politico: chi finanzia? Quali sono i progetti che vanno avanti? Siamo un Paese molto arretrato culturalmente. È inconcepibile, ma è così.
— Com’è fatta la “sua” Antigone?
Stiamo lavorando su un’Antigone molto diversa da come di solito si imposta. Di solito lo spettacolo narra lo scontro fra l’eroina ribelle Antigone e il cattivo Creonte, che rappresenta il potere. Noi siamo partiti dai corpi dei cittadini di questa città assediata, Tebe, liberata la notte precedente. Nella tragedia Polinice, figlio di Edipo e fratello di Antigone, ha raccolto un esercito straniero per occupare e sconfiggere Tebe, e per questo, come traditore della patria, dopo la sua morte il re Creonte ordina che non venga sepolto. Immaginiamo Mariupol il giorno dopo l’assedio: i russi non ce l’hanno fatta e la città è libera. Cosa vivono i cittadini assediati? Cos’hanno dentro? Quali sono i sentimenti dei cittadini assediati? Questa è la ricerca che abbiamo fatto, e da questa sono partite scene meravigliose che raccontano certamente anche la storia di Antigone e Creonte, non abbiamo certo saltato il testo di Sofocle. Lo abbiamo solo immerso in questa realtà, non è quindi qualcosa che ha a che fare solo con il “logos”, con la parola poetica: nel mio spettacolo c’è la realtà di questi corpi.
Nella prima scena, assente in Sofocle, si vede una turba di cittadini che porta dentro, avvolto in un lenzuolo, insultato e disprezzato, il corpo di Polinice. Vediamo fin dall’inizio un corpo che è un capro espiatorio. Quella di Creonte, nuovo re di Tebe, è una mossa politica: egli pensa che esponendo il corpo di un morto e infierendo su di esso le tensioni sociali si scarichino su quello. È la stessa cosa che è successa con Mussolini in piazzale Loreto nel 1945. Di solito è un boomerang, si crede di scaricare così le tensioni ma in questo modo si creano ulteriori tensioni con coloro i quali non vogliono quello scempio. Creonte non mette in conto il “femminile”: le donne non hanno voglia di fare vendette dopo la morte, vogliono che la vita continui. E non mette in conto l’affettività familiare che lega Antigone e suo fratello. Questi due elementi lo portano alla rovina. Non è un politico becero, egli fa una mossa per tentare di salvare disperatamente il suo potere e dunque la città, ma non calcola bene le mosse, agisce con una mossa avventata che poi gli si ritorce contro.
Francesco Petronzio
Nelle foto: in alto, un momento delle prove di Antigone nella Bottega XNL; sopra, Baliani e Foschi.
Pubblicato il 17 luglio 2022
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