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Il Natale alle Novate: un momento di forte spiritualità

novate

Nel contesto peculiare del carcere delle Novate a Piacenza, il mattino del 25 dicembre, la messa presieduta da mons. Adriano Cevolotto, con al suo fianco il cappellano don Adamo Affri e il diacono Mario Idda, è stato un evento carico di emozione e significato. Il Vescovo, guidando la celebrazione, ha saputo trasmettere un messaggio di speranza e solidarietà che ha toccato i cuori dei detenuti presenti nel salone gremito.
La messa, accompagnata dal coro dei carcerati che ha eseguito con vigore i canti natalizi, ha visto i detenuti e le detenute, mostrare segni di commozione evidenti: molti volti si sono rigati di lacrime, espressione di una partecipazione profondamente sentita. Il vescovo ha offerto una riflessione intensa sul significato del Natale di Gesù, sottolineando come questo evento rappresenti la presenza di un compagno di viaggio e di vita per tutti, indipendentemente dalle circostanze.

Come i pastori

Evidenziando come il Natale inizia dai pastori, mons. Cevolotto ha affermato che essi passano la notte all’aperto, facendo la guardia al loro gregge. “Ci sono descritti - ha affermato - come coloro che custodiscono ciò che è stato loro affidato e che è loro più caro: il gregge. A ciascuno - ha aggiunto - è affidato qualcosa di prezioso, di cui ci si deve sentire responsabili. Qualcosa che è al contempo prezioso e vulnerabile, che dipende dalla cura che ci mettiamo nel custodirlo. È la propria vita. È qualche servizio richiesto. Sono le relazioni e il modo di starci dentro”. Lo stare svegli - per il Vescovo - è qualcosa di prioritario che significa non perdere di vista l’essenza della vita.

Mettersi in cammino

L’annuncio del Natale - secondo mons. Cevolotto - è una buona notizia, una grande gioia che richiede, come per i pastori, di mettersi in cammino, vincendo pigrizia, sfiducia, stanchezza... Rivolgendosi ai detenuti il vescovo ha detto: “Bisogna sostenersi nelle motivazioni, ritrovare la compagnia buona. Quando un ambiente (come quello in cui vivete) mortifica l’entusiasmo che nasce in qualcuno, affossa la vita di tutti: ci si deprime, ci si intristisce e riemerge il peggio di noi”.
Mons. Cevolotto ha poi rivolto una domanda: “Chi e che cosa, invece, vi ostacola, rallenta o addirittura vi fa regredire? Può essere qualcuno vicino a voi, ma a volte sono i pensieri che si coltivano, che non si allontanano (“è inutile… non ce la farò…”). A volte è il riemergere forte di quello che abbiamo fatto, o, al contrario, il minimizzare il passato ritenendo che non c’è nulla da cambiare, da maturare. “Io sono a posto… sono gli altri sbagliati!”. In questo caso non si cresce. Si rimane fermi e non si raggiunge nessun traguardo”.

L’invito del vescovo è stato, come quello per i pastori, di andare fino a Betlemme. “Andare fino a” significa - per il presule - un cammino lungo che è faticoso (le conquiste hanno un prezzo!). “L’alternativa - ha detto - è di accontentarsi. Perché perseverare non è facile, soprattutto se non si è abituati a farlo. In quel caso si cominciano le cose, subentra la stanchezza e si molla. Per questo sono importanti gli altri, per scambiarci la forza nel perseverare, oltre che per partire”.

All’insegna dell’armonia

Al termine della celebrazione, la direttrice della Casa Circondariale, Maria Gabriella Lusi, ha preso la parola, richiamando le parole del vescovo e invitando i detenuti a perseguire la crescita personale improntata sull'armonia. Ha esortato a rimanere vigili, a non lasciarsi sopraffare dalla stanchezza o dall'apatia, e ha evidenziato il magnifico presepe in legno realizzato all'interno del carcere dai partecipanti al corso per addetti alla falegnameria. Questo presepe non solo rappresenta abilmente l'abilità artigianale, ma incarna anche un significato più profondo: un simbolo di collaborazione e fiducia reciproca tra i detenuti. L'augurio di un sereno Natale basato sull'armonia, è stato evidenziato dalla direttrice come costruzione della pace attraverso il dialogo anziché il conflitto, un messaggio cruciale in un contesto spesso segnato dalla tensione.

Il grande presepe

Successivamente, un detenuto ha preso la parola, presentando il frutto del lavoro collettivo: il grande presepe, con le figure di Gesù, Giuseppe e Maria ritagliate nel legno. Ha condiviso come questo progetto abbia rappresentato un'opportunità unica di coesione e di superamento dell'isolamento e della solitudine in carcere. Ha ringraziato il coordinatore del progetto, il signor Maestri, che con saggezza e gentilezza ha contribuito a trasmettere conoscenze e ha sollevato il morale dei partecipanti come un vero padre. Il vescovo infine ha fatto una considerazione significativa: il presepe è stato realizzato principalmente da detenuti di fede islamica. Questo particolare ha assunto un valore ancora più profondo, superando le polemiche inutili sulla presenza dei presepi in diverse istituzioni italiane. Il messaggio chiave è stato quello di accettare e valorizzare la diversità religiosa come strumento di arricchimento culturale e umano.

Un raggio di speranza

La celebrazione si è conclusa con il Vescovo che, ispirato dal presepe e dalla sua simbologia di unione e collaborazione, ha espresso la sua ammirazione per questo lavoro, invitando tutti a trarne ispirazione per un futuro di crescita interiore. L'evento ha dimostrato come, anche in uno dei contesti più difficili, sia possibile creare momenti di profonda spiritualità, condivisione e collaborazione, portando un raggio di speranza nei cuori dei detenuti.

Riccardo Tonna

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Pubblicato il 26 dicembre 2023

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