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Quaresima in Santa Rita. Padre Valdo: Dio non vuole la morte del peccatore

Padre Jose Valdo Feitosa Filho con padre Adelio Pedro Joao

Il peccato si mostra a tre livelli: personale, comunitario e ontologico. Per riconoscerlo c’è bisogno di avere una conoscenza affettiva. Ma non per forza il peccato è per sempre, al peccato corrisponde sempre la grazia della conversione. A dirlo è José Valdo Feitosa Filho, già padre generale dei Figli di Sant’Anna, che ha guidato un momento di meditazione al santuario di Santa Rita di Piacenza nella serata del 21 marzo. Il messaggio parte dal peccato e arriva alla redenzione perché, per citare Ezechiele, “Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”. A fare gli onori di casa padre Adelio Pedro Joao.

Ignavia e pusillanimità

“Riconoscere in Gesù il Signore – le parole di padre Valdo – significa mettersi sotto la sua legge e riconoscerlo come guida della nostra anima. Sant’Efrem chiede che sia tolta da noi l’ignavia, vale a dire il peccato che ci porta a rimandare a un domani la nostra salvezza. La pigrizia ci porta alla pusillanimità, a pensare che nulla va bene, nulla ha senso, lasciamo stare. Sant’Efrem associa pusillanimità e ignavia alla brama di potere e chiede a Dio il dono della castità per vivere le relazioni in modo sano e costruttivo. Il casto è quello che riconosce in ognuno la sua propria importanza e attribuisce a sé stesso la sua giusta misura. Questo viene accompagnato dalla virtù dell’umiltà, della pazienza, per culminare nella grande domanda dell’amore, che non è una richiesta scontata. Efrem si rivolge al Signore per chiedere la capacità di vedere i propri errori. Per chi ci riesce, l’altro non è più un concorrente, non è quello che toglie il proprio spazio ma diventa il proprio compagno di viaggio”.

Tre “livelli” di peccato

“Soffocato dalla paura del peccato, assolutizzandolo (tutto è peccato), non riesco a capire perché devo salvarmi, perché penso che il peccato non mi abbandonerà mai: questo mi porterà a essere pusillanime. La Quaresima esiste per portarci a ritemprare le nostre energie spirituali in vista della Pasqua: è lì che ci ritroveremo, nella realtà piena di salvezza”. La conoscenza affettiva, dice padre Valdo, ci porta a riconoscere il peccato in tre modi: personale, comunitario e ontologico.

Il peccato personale

“Ognuno di noi ha il suo modo di peccare – spiega padre Valdo –, il peccato ha sempre con sé qualcosa di proprio, nella coscienza di attuare un’azione che sa di essere in contrasto con la legge di Dio. Il peccato si manifesta quando so di non dover fare una cosa ma la faccio. Peccare richiede sempre una decisione: più è grande la coscienza dello sbaglio e più è grande il peccato, che ci porta a non riuscire più a distinguere ciò che la legge di Dio ci propone. Le Tavole della Legge, che all’inizio venivano viste come una schiavitù morale, dimostrano in realtà la fiducia di Dio nella nostra capacità di non peccare. Molto diffusa nella nostra mentalità è la cultura del sospetto, che impedisce ogni possibilità di dialogo. Se partiamo dal presupposto che l’altro non dice il vero e vuole prenderci in giro, come si può stabilire veramente un dialogo, una comprensione? La salvezza si manifesta con la parola conversione: se è vero che Dio ci ha creati nella libertà vuol dire che possiamo non peccare. Il peccato richiede la conversione. Perché Dio aveva più considerazione per Davide anche se aveva commesso più peccati di Salomone? Perché Davide aveva la capacità di pentirsi. Nell’intimo c’è sempre la possibilità di pentirsi. Al peccato corrisponde sempre la grazia della conversione”.

Il peccato comunitario

“Il secondo livello di peccato, quello comunitario, è il peccato del mondo. Secondo Giovanni la parola mondo ha due connotazioni: indica da un lato l’ambiente in cui vivono gli esseri umani e dall’altro il luogo dove agisce il maligno, ovvero il mondo del disordine e del peccato. È quella componente del peccato che va oltre la nostra personale responsabilità, ma scaturisce da dove noi viviamo. Pensiamo che Dio lasci che i bambini muoiano nella Striscia di Gaza e che i deboli soffrano, ma ci dimentichiamo che Dio non agisce da solo: l’intermediario del suo amore è l’uomo. Nell’agire salvifico c’è sempre la partecipazione dell’essere umano. Non possiamo vivere passivamente e affidarci al Signore come fosse un dio magico. Il miracolo non è un capriccio di Dio, ma un gesto salvifico con cui Dio dimostra che è vicino a noi”.

Il peccato ontologico

L’ultimo livello del peccato è il più misterioso. “Ci fa rabbrividire, perché sfugge alla nostra comprensione. È il peccato originale – dice padre Valdo – che ci accompagna fin dalla nascita, e può essere percepito solo alla luce della fede. Per la nostra società è così difficile comprendere il peccato perché è venuta meno la fede: quello originale è un peccato che non dipende dalla nostra responsabilità ma diventiamo responsabili se non lo combattiamo. Agostino ha combattuto diverse eresie al suo tempo, ma l’uomo non può salvarsi soltanto con i propri meriti: è necessaria la preghiera, serve che Dio venga in nostro aiuto. Ed è fondamentale comprendere che il Battesimo salva: oggi spesso la visione sacrale del Battesimo è svuotata, andrebbe recuperata”.

Francesco Petronzio

Nella foto, Padre José Valdo Feitosa Filho con padre Adelio Pedro Joao.

Pubblicato il 22 marzo 2024

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