Padre Stenico a «La Ricerca»: le persone hanno bisogno di relazioni
«Gli elementi del malessere sono molto diversi rispetto al passato. Viviamo in una società velocizzata, è facile che i cambiamenti repentini della tecnica e della scienza ci facciano sentire estranei». Così padre Giuliano Stenico – “motore” del Ceis negli anni Ottanta e ancora oggi presidente della Fondazione Ceis di Modena e del consorzio che comprende anche i Ceis di Parma, Bologna e Forlì – ha sintetizzato il principale motivo delle sofferenze che portano le persone alle dipendenze. Padre Stenico è stato ospite della Fondazione La Ricerca il 26 giugno, nella Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droga, per l’incontro “Relazioni e persone libere da dipendenze”. La Ricerca, nata come associazione nel 1980 grazie a don Giorgio Bosini, attualmente gestisce cinque comunità. Due di esse sono dedicate alle dipendenze (La Vela e Emmaus), ma la problematica, associata ad altre, è diffusa anche nelle altre, come la Casa Don Venturini e le comunità Luna Stellata e Stella del Mattino. A livello globale, secondo il rapporto 2024 sul consumo di sostanze nel mondo redatto dall’ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e del crimine, il consumo di droghe è aumentato del 20% negli ultimi dieci anni.
Aumentati attacchi di panico e disturbi alimentari
L’incontro, partecipato da circa 80 persone e moderato da Donatella Peroni de “La Ricerca”, è stato introdotto da una considerazione del presidente della Fondazione Enrico Corti che ha sottolineato come le tossicodipendenze richiedano «una riflessione a tutti i livelli». Peroni ha poi chiesto a padre Stenico il perché le persone stiano «così male». La riflessione del presidente della Fondazione Ceis, che è anche psicologo, è che «al giorno d’oggi le competenze che vengono richieste sono sempre maggiori. Le relazioni sono fugaci – prosegue – le reti sociali si sfilacciano e aumenta l’ansia e la solitudine: così è difficile affrontare il quotidiano. I segnali sono tanti, sono aumentati gli attacchi di panico, i disturbi del comportamento alimentare e altri disturbi psichici».
L’intuizione della comunità
La soluzione praticata negli anni è quella di inserire i soggetti “fragili” all’interno di vere e proprie comunità. «L’intuizione della comunità terapeutica – afferma Stenico – è creare un contesto relazionale in cui la persona impara a rapportarsi con gli altri in modo sano. La difficoltà è un sintomo, ma se non vado a vedere come è “strutturata” la persona non vado da nessuna parte. L’educatore sociale ha la responsabilità di gestire la relazionalità complessiva di una persona». Per dare più forza alle proprie affermazioni, lo psicologo ha portato l’esempio di una comunità inaugurata alcuni anni fa a Modena. Anche le molestie e le violenze, secondo l’esperienza di padre Stenico, spesso derivano da disagi relazionali. «Abbiamo aperto un gruppo per i maltrattati. Fra questi ci sono persone che hanno compiuto reati di stalking, violenza fisica o verbale. All’inizio, quando erano in attesa del giudizio definitivo, erano costretti a venire, ma già dopo alcuni incontri era chiara la volontà di restare più tempo del dovuto: hanno bisogno di relazioni, di aprirsi, di stare in gruppo. Le comunità non hanno la pretesa di guarire il malato, lo prendono in carico e si prendono cura di lui».
Recuperare le “memorie affettive”
«Noi adulti – riflette Donatella Peroni – abbiamo costruito un mondo molto faticoso e difficile per i giovani, e oggi loro si trovano a dover risolvere le situazioni senza riuscire a dare a esse un nome. La conseguenza di questo è l’uso di sostanze o altre dipendenze legate al comportamento». Padre Stenico sostiene che la cosa fondamentale è avere «memorie affettive». Cioè «giocare nel cortile, ad esempio, senza preoccuparsi del tempo». Tuttavia, dice il religioso, «vedo le agende dei ragazzini sotto i quattordici anni e sono spaventose, piene di impegni: tutto è finalizzato non solo all’educazione e a formare il carattere, l’importante è la prestazione. Recuperare le memorie affettive significa alzarsi al mattino e rendersi conto che fuori c’è il sole, guardare il cielo e provare delle sensazioni».
Non basta la repressione, servono percorsi specifici
L’educatore deve conoscere la storia della persona che ha di fronte. Per quest’ultima, invece, si lavora sulla consapevolezza della propria condizione. «Una ragazza è inserita in una comunità terapeutica per tossicodipendenze – racconta padre Stenico – tuttavia, è dipendente non dalle droghe, ma dall’altro, dal partner, dal “maschio”. Quella ragazza sa che se va all’esterno deve mantenere uno stile di relazioni che non deleghi la propria felicità e sicurezza al rapporto col maschio. In questi anni è cambiata tantissimo, i servizi lo notano e vedono che è consapevole delle proprie capacità e caratteristiche. Quando è entrata, invece, era estremamente impulsiva. Ed era normale, perché non aveva una consapevolezza di sé profonda e quindi qualunque cosa la colpiva. Le persone devono essere capaci di vedere le proprie specificità». E la repressione non è l’unica soluzione per risolvere i problemi. «Se si verifica un episodio di bullismo, non basta punire il bullo. Va capito perché quel ragazzo ha bisogno di fare il bullo, perché non ha altre modalità per esprimersi». Il percorso da fare ha l’obiettivo di aiutare la persona a capire che «la sua recita ha delle caratteristiche». «Abbiamo fatto un incontro con i dirigenti scolastici – spiega padre Stenico – che hanno sostituito la sospensione con il volontariato. I ragazzi hanno iniziato a gustare piaceri, come ascoltare gli altri e rendersi utili, che prima non avevano mai conosciuto».
Francesco Petronzio
Pubblicato il 27 giugno 2024
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