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La pastora Lidia Maggi il 14 alla Camoteca

Lidia Maggi 1

“Il Vangelo può ancora stupirci se siamo in grado di metterci in gioco, di aprirci allo stupore della vita. Se non lo facciamo, il Vangelo ci scivola addosso”. Lidia Maggi è una pastora battista e biblista, vive sul Lago Maggiore e lunedì 14 ottobre alle 20.45 sarà ospite al Seminario vescovile di Piacenza per parlare di “Parole impolverate”. A organizzare la serata, l’Azione Cattolica diocesana e la Camoteca.

“La Bibbia non è un codice etico”
“Non c’è una ricetta” per aprirsi allo stupore, dice Maggi, ma “sicuramente bisogna porsi delle domande e essere disposti a uscire fuori dal proprio orizzonte e cambiare prospettiva, mettersi in ricerca e predisporsi all’ascolto”. Lidia Maggi è convinta che la Bibbia possa aprire squarci inediti anche su registri umoristici. “Come tutti i capolavori della letteratura – afferma – anche la Bibbia ha un lato umoristico. Abbiamo sempre letto la Scrittura come un codice etico, è per questo che a volte non ci ha parlato. In realtà è un mondo ospitale che apre a scenari inediti, mette in scena le nostre paure, le fatiche e ci offre alternative. Non è un «grande carabiniere» che ci dice se siamo in regola con i documenti, ma un mondo che racconta storie in cui possiamo riconoscerci: così la Bibbia ha la forza di cambiare il nostro sguardo sul mondo”.

L’umorismo nella Bibbia
Un esempio dell’umorismo nelle Sacre Scritture, secondo Lidia Maggi, è contenuto nel libro dell’Esodo. “Il faraone, così potente da decidere della vita e della morte dei suoi sudditi, non controlla cosa succede nello spazio delle donne, che organizzano la resistenza: due levatrici, infatti, disubbidiscono all’ordine del faraone di uccidere i figli maschi. Dal basso, le donne cospirano contro il potere di morte e fanno nascere i bambini ebrei. Nello stesso libro, che in ebraico si chiama «Shemòt», sono custoditi tutti i nomi eccetto quello del faraone, motivo per cui gli storici ad oggi non sanno chi fosse quel sovrano. L’ironia biblica è evidente – spiega la pastora – perché l’episodio dimostra che le persone più potenti della Terra sono in realtà le più fragili, mentre quelle più «piccole» scoprono di avere un grande potere”.

Non fermarsi alla superficie
Il “sentito dire”, secondo la pastora, “dà una lettura iconografica, ma la Bibbia in realtà racconta la vita in tutte le sue zone d’ombra”. Un esempio è la figura di Abramo. “Ci sentiamo in colpa perché non siamo bravi come lui, ma se leggiamo attentamente la sua storia scopriamo che non è un personaggio limpido: Dio gli dice di lasciare tutto, ma lui si porta dietro i suoi averi e il nipote Lot, una «garanzia» nel caso in cui Dio non gli avesse dato un figlio. La Scrittura non dà esempi di vita, semmai propone episodi da non imitare”.

Servono parole che arrivino dal basso
“Ci troviamo, in questo tempo, a ridire il messaggio del Vangelo a una generazione che non ha più i punti di riferimento delle grandi narrazioni bibliche”, dice Maggi. “Dobbiamo necessariamente ripensare le parole della fede, senza la pretesa di avere delle parole alternative, facili. La Parola di Dio arriva alla Bibbia tramite la parola illuminata dall’alto (i primi cinque libri), la critica dei profeti, che provano a verificare se questa parola regge l’urto della storia, e poi la letteratura sapienziale, che viene dal basso, dal vissuto ordinario delle persone, con un linguaggio laico e universale. Già nei Testi Sacri c’è la testimonianza della necessità di ripensare le grandi parole della fede, quando queste non funzionano più: un terzo della Bibbia viene da una letteratura che suona molto poco teologica, che prova nell’ordinario a trovare il senso del mondo. Nella crisi, quando le grandi parole non tengono, è bene riscoprire nell’ordinario il senso della vita”.

Come spieghiamo oggi il “peccato”?
Una delle parole desuete è “peccato”. “Come spieghiamo il peccato in un’epoca in cui tutto è basato sul «che male c’è?», dove l’io diventa la misura dello stare al mondo? È chiaro che quella parola va ripensata”, sostiene Lidia Maggi. “Insistere col peccato come categoria etica non funziona più – prosegue –: la Bibbia, in realtà, parla di peccato non come una violazione di un codice etico, in chiave giudiziaria. È una parola da riscrivere, liberandola dalle gabbie etiche: è più un’esclamazione di rammarico di una persona che ci vuole bene. Se siamo nati per essere liberi ma in realtà siamo schiavi della performance, dei mutui, della paura, peccato: non abbiamo capito nulla della vita”. Le parole, secondo la biblista, devono “arrivare alle persone dal basso per far cogliere loro che non c’è dietro una struttura teologica di cui preoccuparsi, ma in gioco non c’è altro che la felicità delle persone. Una vita piena, fatta di riconoscenza, relazioni sane e senza essere schiavi dell’errore: questo penso che ci renda felici. Dovremmo riscoprire il linguaggio sapienziale. Gesù amava predicare nelle strade, fra le case, e adesso ne capiamo il perché: le grandi parole della fede in quel periodo erano in crisi, c’era un popolo che aveva perso tutto diventando una colonia del grande Impero Romano. Gesù seppe utilizzare parole dal basso, capaci ancora di infiammare, pensando che quella rivoluzione potesse partire dal cuore, da noi stessi”.

Le riforme nella storia
“La Chiesa è sempre in riforma”, dice Maggi, riprendendo la celebre frase di Martin Lutero, il “padre” del protestantesimo a cui anch’ella appartiene. “Ogni generazione è chiamata continuamente a rinegoziare il lessico, perché anche le grandi parole di senso rischiano di svuotarsi per le generazioni successive. L’errore che commettiamo più spesso è forse quello di pensare di poter vivere di rendita, e questo ha a che fare con un certo modo di vedere la tradizione, cioè come una cosa che automaticamente ci permette di traslocare da una generazione all’altra. La tradizione invece è un’eredità, e non c’è erede peggiore di quello che prende quanto ha ricevuto e lo lascia lì, immutato, senza reinvestirlo in nuovi progetti. Piuttosto, meglio correre il rischio di sperperarla che sotterrarla: la tradizione è quell’eredità che chiede all’erede di diventare soggetto e doverla amministrare. Tutte le grandi riforme – prosegue la biblista – da Francesco d’Assisi a Lutero, dal movimento ecumenico al Vaticano II, sono la dimostrazione che un rinnovamento è necessario. La grande rivoluzione del Vaticano II è stata mettere da parte il linguaggio apologetico, dire la fede non più in maniera reattiva, contrappositiva, ma positiva. La fede non serve a combattere l’eresia, c’è molto di più”.

C’è bisogno di un nuovo concilio?
“Credo che i concilî servano sempre”, sostiene la pastora. “Spero che il prossimo concilio sia ancora ecumenico e sinodale, che coinvolga cioè tutte le Chiese, tutti gli interlocutori e le interlocutrici. I momenti di verifica e riflessione in un momento di crisi sono importanti: si può fare con un grande evento oppure dal basso: credo, ad esempio, che il piccolo gruppo di Piacenza (quello dell’Azione Cattolica che organizza il ciclo “Parole impolverate”, nda) in qualche modo lo stia già facendo: chiedersi di rispolverare le parole desuete è scegliere se trattare le parole ricevute come un oggetto da museo o rimetterle in gioco”.

Le donne dovrebbero avere più spazio nella Chiesa?
Il dibattito sul ruolo delle donne nella Chiesa cattolica è, già da diversi anni, uno dei nodi fondamentali della riflessione su un possibile rinnovamento. Nella Chiesa battista, così come in altre tradizioni protestanti, la leadership femminile è ormai consolidata. “Sarebbe interessante che la Chiesa cattolica facesse uno studio – sostiene Lidia Maggi – per verificare cosa è accaduto nelle chiese «sorelle», qual è il contributo portato dalle donne, al fine di riflettere su eventuali ipotesi di lavoro. Sono convinta che la grande rivoluzione delle chiese della Riforma nell’ultimo secolo sia stata dare leadership alle donne senza però clericalizzarle. Le donne hanno portato il corpo nella Chiesa, lo hanno reso visibile: fa effetto vedere una donna incinta predicare, ma improvvisamente ci si rende conto di uno specifico di genere che passa attraverso il corpo. Da un lato diciamo che la rivoluzione cristiana è Dio che si è incarnato, ma allo stesso tempo nella fede il grande assente spesso è proprio il corpo. Le donne hanno fatto questa grande rivoluzione, lo hanno rimesso al centro. E le chiese, con loro, sono diventate più ricche e accoglienti”.

Francesco Petronzio

Pubblicato il 10 ottobre 2024

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