La sfida di padre Bahjat, parroco della comunità latina di Aleppo
Continua nella parrocchia di Roveleto il cammino a fianco del Medio Oriente e dei popoli che soffrono in quelle terre. Tanti i testimoni passati in questi anni dalla parrocchia guidata da don Umberto Ciullo: la presenza assidua di padre Ibrahim Faltas, Vicario della Custodia Francescana di Terra Santa a Gerusalemme, il legame con padre Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, fino alla testimonianza di lunedì 28 ottobre di padre Bahjat Karakach - francescano parroco della comunità Latina di Aleppo, che ha dialogato riguardo la difficile situazione siriana.
La storia di padre Bahjat
“ A 25 anni sono arrivato in Italia, era il 2001 e mi sono fermato fino al 2016 – racconta il frate- Ho vissuto la guerra siriana da lontano e con grande angoscia, fino a che nel 2016 mi hanno chiesto di rientrare in Siria, a Damasco: avevo paura, non avevo mai vissuto la guerra ma arrivato là c'è stato miracolo. La paura è sparita e mi sono sentito al posto giusto”. Padre Bahjat resta a Damasco fino al 2021 quando fa ritorno a Roma per operare presso il Dicastero delle Chiese orientali. “Lasciare la Siria è stato uno strappo forte e mi sono fermato in Italia solo un anno. Sono riuscito a tornare ad Aleppo nel 2022, sono diventato parroco e, passato qualche mese, è arrivato il terremoto”.
Essere cristiani siriani oggi
“Prima della guerra i cristiani erano il 12 per cento della popolazione siriana, comunità vivace e intraprendente , oggi siamo passati al 2, 3 per cento e i giovani pianificano tutti di partire. Tuttavia è una comunità attiva, che ha saputo testimoniare fede in Cristo in mezzo alla sofferenza e alla guerra”. Cristiani pochi ma non insignificanti come sottolinea padre Bahjat: “I cristiani sono benvoluti in Siria, è l’unica comunità capace di dialogare con tutti, pacifica con tutti, senza portare armi. I cristiani la carità la fanno a tutti, indistintamente: la dignità umana appartiene a tutti, non dipende da appartenenza etnica o religiosa”.
La pace? Da soli non ce la facciamo
“La speranza per me è la più grande sfida. Nei primi anni avevamo la speranza che finita la guerra ci sarebbe stata una rinascita, questo non è avvenuto. Dal punto di vista umano non sappiamo quando sarà la pace, però noi cristiani nutriamo la speranza, che non equivale ad avere un ingenuo ottimismo ma credere che anche i più piccoli gesti di carità possano costruire il Regno di Dio. Altrimenti tutto ciò che facciamo di bene rischia di essere solo un rattoppo. Non vediamo i frutti ma stiamo costruendo il Regno di Dio”. Una grande fede ma che chiama in gioco una presa di coscienza della politica e delle grandi Potenze: “Da soli non ce la facciamo, serve l'intervento della comunità internazionale.
Le sanzioni sono inutili, ne pagano i più poveri. Da 12 anni non c'è lavoro, i salari medi raggiungono al massimo 30 euro al mese, si creano danni che dureranno per decenni”.
Segni di speranza che germogliano: la presenza della Chiesa Latina ad Aleppo
“Oggi la nostra pastorale non è ordinaria ma cerca di supplire alle mancanze delle Istituzioni che sono assenti o insufficienti – spiega il padre francescano -. Sfamiamo circa 1300 persone al giorno, con i salari si vive non più di una settimana. Il nostro progetto non guarda in faccia ad etnia o religione e dà 30 posti di lavoro”. Tanti i progetti che padre Bahjat e altri cinque padri francescani portano avanti ad Aleppo: cibo agli anziani che non possono uscire, attività estive per oltre 900 ragazzi ogni anno, 600 famiglie supportate con un contributo per le spese, medicine e sostegno economico per sostenere le operazioni chirurgiche e pure l’installazione di pannelli fotovoltaici per far fronte ai costi altissimi del petrolio e alla presenza di corrente elettrica di sole 2 ore al giorno.
Erika Negroni
Nella foto, padre Bahjat in dialogo don don Umberto Ciulllo nell'incontro del 28 ottobre a Roveleto di Cadeo.
Pubblicato il 30 ottobre 2024
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