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Oggi è la memoria del beato Gregorio X

Statua Gregorio X Piacenza

Oggi ricorre la memoria liturgica del beato Gregorio X, l’unico piacentino mai divenuto Papa. Una figura che resta per la maggior parte dei suoi concittadini un illustre sconosciuto. Tutt’al più, lo si conosce per la statua in bronzo dello scultore Giorgio Groppi che lo raffigura, assorto, col pastorale tra le mani e la mitra ai piedi, che dal 2021 dal Portico del Paradiso è stata collocata, per valorizzarla, nel giardino adiacente la basilica di Sant’Antonino (nella foto sopra, di Pagani). Pensare che la città che ne ha accolto le spoglie, Arezzo, lo ha eletto come co-patrono ed ogni anno il 10 gennaio – anniversario della morte, avvenuta nel 1276 – ripete la cerimonia dell’offerta dei ceri in Cattedrale, dove è sepolto.
Gregorio X ha ancora molto da dire al nostro tempo per il suo carisma di pacificatore. In secoli di discordie e lotte sanguinose, operò solo o soltanto per la riconciliazione, capace di sperare contro ogni speranza, aggrappato – come ben lo raffigura la statua del Groppi - a quel crocifisso con cui affrontava le turbolenze del suo tempo.

Un doppio record
Erano gli anni degli scontri tra guelfi e ghibellini, le fazioni politiche che spaccavano in due le città, in una spirale di violenza che pareva senza rimedio, anche perché era specchio di un gioco di potere più grande, che andava ad investire le due autorità-chiave del Medioevo: il Papato e l’Impero. Al suo interno, la stessa Chiesa era percorsa da correnti di riforma che non di rado deragliavano nell’eresia. Dal 1050 i cristiani d’oriente e quelli d’occidente erano divisi da uno scisma originato più dalla politica che da divergenze dottrinali, mentre i musulmani avanzavano nei luoghi santi dove era vissuto Gesù.
In questo turbinio di eventi, la Provvidenza si fece sentire attraverso la voce di alcuni santi uomini e donne. Tra questi, anche il piacentino Gregorio X, al secolo Tedaldo Visconti. Con la sua elezione al soglio pontificio nel 1271, segnò due record in un solo colpo. Fu scelto, all’unanimità, in neanche un giorno, dai sei cardinali autorizzati a nominare il successore di Pietro dopo tre anni di impasse che lasciarono – per colpa delle meschine rivalità interne del Collegio cardinalizio – la Chiesa senza guida. E fu nominato nonostante fosse solamente diacono, per le virtù morali e la saggezza che aveva saputo dimostrare in tanti anni di fedele servizio alla Chiesa. La notizia lo colse di sorpresa, mentre si trovava in Siria, nell’allora San Giovanni d’Acri, ultimo caposaldo crociato tra i saraceni.

Al servizio di Giacomo da Pecorara
Ricostruire la biografia del giovane Tedaldo Visconti non è semplice. Mancano perfino documenti che attestano giorno e mese della sua nascita. Sappiamo che avvenne nel 1210, rampollo di una nobile famiglia che vantava parentele importanti, a partire dal monaco Baiamonte, abate cistercense a Chiaravalle della Colomba. La vocazione di Tedaldo si fa sentire presto, insieme alla sua spiccata sensibilità per la Terra Santa e al desiderio di farsi messaggero di pace in una Piacenza perennemente in ebollizione. Perfino i canonici erano in discordia tra loro; le beghe non mancavano ad esempio tra quelli del capitolo di S. Antonino (di cui Tedaldo entrò a far parte) e quelli del capitolo della Cattedrale. Nel 1235, l’opposizione interna del clero aveva perfino ostacolato la nomina del Vescovo. Sul fronte civico, Guglielmo Landi, ghibellino fedele all’imperatore, aveva inviato a Federico II le chiavi della città, suscitando lo sdegno delle famiglie guelfe. Per sbrogliare una matassa simile ci voleva un diplomatico fino, che conoscesse bene la situazione locale. La soluzione arrivò insieme al cardinale Giacomo da Pecorara, vescovo di Palestrina e Legato Pontificio, che volle quel giovane di belle speranze nel suo seguito, affidandogli l’organizzazione logistica dei viaggi diplomatici. Tedaldo assisterà da vicino l’odio con cui Federico II perseguitava il vescovo di Palestrina, arrivando ad imprigionarlo. Condividerà l’avventurosa traversata verso la Francia, a Lione, dove il da Pecorara era stato inviato per arginare l’eresia degli albigesi. Sarà con lui a Liegi, guadagnandosi, in segno di riconoscenza, il titolo di arcidiacono della Cattedrale belga.

L’intuizione profetica di Gregorio X
A Liegi – la diocesi in cui nacque la festa del Corpus Domini – fa ritorno dopo la morte del suo primo maestro, impegnandosi per la riforma del clero, dando esempio con la sua stessa vita. A Parigi studia teologia e ha come compagni Bonaventura di Bagnoregio e Tommaso d’Aquino. Nel 1265 partecipa alla missione del Legato pontificio cardinal Fieschi in Inghilterra. Nel 1269, giunge a San Giovanni d’Acri, dove trova i crociati divisi e assetati di potere. Cambiano le località, non cambia la sua missione di conciliatore, che continuerà una volta eletto Papa col nome di Gregorio X. L’apice si avrà col Concilio ecumenico di Lione del 1274, cui parteciparono – evento straordinario – anche i rappresentanti della Chiesa d’Oriente e perfino tre ambasciatori del Gran Khan dei Tartari, che si fecero battezzare. A dispetto dello scetticismo generale, in Concilio il Papa ottenne non solo un importante accordo con gli ortodossi che pareva lasciar presagire la riunificazione dei “due polmoni” del cristianesimo. Riuscì anche a condurre un’inchiesta rigorosa sui mali della Chiesa e ad incassare l’appoggio dei re cattolici per una nuova impresa in Terra Santa.

Pacificatore di re e conciliatore di popoli
Tanto lavoro diplomatico, tanto amore per giustizia, tanta preghiera: la ricetta di Tedaldo, prima e dopo l’elezione a Papa, è sempre stata la stessa. Se ciò che pareva a portata di mano fu poi vanificato – vedi l’unione coi greci – è perché le sue intuizioni non vennero portate avanti con la stessa tenacia. Morì in viaggio, mentre da Lione stava facendo ritorno a Viterbo, dove aveva sede la Curia romana. Fermatosi ad Arezzo per celebrare il Natale, ebbe l’ennesima ricaduta. Morì il 10 gennaio 1276. ”Pacificatore di re e conciliatore di popoli” – come fu definito - continua a richiamare il valore della concordia, in nome di quella croce che ha voluto abbracciare fino in fondo, rifiutando la logica della spada per aderire a quella dell’amore.



Pubblicato il 10 gennaio 2025

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