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L'omaggio di Piacenza alle vittime della Shoah

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Piacenza ha reso onore  alle vittime della Shoah nella Giornata della Memoria. La cerimonia si è svolta alla presenza delle autorità civili, militari e religiosi; il vescovo mons. Adriano Cevolotto è intervenuto per il momento di preghiera. Al termine, sono state consegnate le medaglie d’onore concesse dal Presidente della Repubblica ai cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra ed ai familiari dei deceduti. L'onorificenza alla memoria di Emilio Cergnul, militare deportato in Germania dal 9 settembre 1943 al 13 agosto 1945 e internato nel Campo di Concentramento di Buchenwald, è stata consegnata dal prefetto Ponta e dalla sindaca Tarasconi al figlio Giampaolo Cergnul e alla nipote Eleonora; la medaglia alla memoria di Luigi Trabucchi, militare deportato dall’8 settembre 1943 al 14 settembre 1945, internato presso l’Acciaieria Regione Ruhr, è stata ritirata dal figlio Gabriele Trabucchi cui l'hanno consegnata il prefetto Ponta, il sindaco di Besenzone Carlo Filiberti e il sindaco di Pontenure Giuseppe Carini.

La sindaca Katia Tarasconi: è la memoria che ci può rendere migliori

Ottant'anni fa, il 27 gennaio 1945, le truppe dell'Armata russa varcavano per la prima volta la soglia di Auschwitz. "Non salutavano, non sorridevano...", scrive Primo Levi: "Apparivano oppressi da un confuso ritegno... Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ogni volta che ci toccava assistere a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altri...".
L'orrore che infine si svelava, quando si aprirono quei cancelli, era come un baratro senza fondo. I profili scheletrici dei sopravvissuti, piegati dal freddo e dalla fame, dalle torture e dalle malattie. Gli oggetti personali accatastati nelle baracche: 40 metri cubi di scarpe, quasi 40 kg di occhiali da vista, 3800 valigie. I giocattoli. Centinaia di protesi, le tonnellate di capelli. Ogni cumulo a raccontare la storia di persone che non avevano più nome, ma solo un numero a imprimerne - o cancellarne - l'identità sulla pelle: come si marchia il bestiame, come si registra la serie di un prodotto di fabbrica.
Si stima che ne furono portati a termine 400 mila, di quei tatuaggi, ma nell’efficienza brutale del lager non c'era posto per gli “ingranaggi" difettosi ed esili, per le fragilità, per chi non poteva garantire forza lavoro; in quel caso, non si sprecava neppure l'inchiostro, nel breve tempo che intercorreva tra l'arrivo del treno al campo di sterminio e la fila che procedeva inerme verso le camere a gas. Anche il premio Nobel Elie Wiesel, numero di matricola A7713, era stato uno di quegli uomini “senza più volto”, ma quando tornò ad Auschwitz per celebrare il cinquantenario della liberazione pose una domanda che ancora oggi ci interroga e riesce a restituirci, pur nell’atrocità dei crimini che rievochiamo, una speranza: “Dove, se non qui – chiese Wiesel tra le lamiere e il filo spinato – possiamo fare appello affinché si ricordi sempre la moralità del nostro essere umani?”.
Vedete – e lo dico rivolgendomi idealmente, innanzitutto, ai bambini e ragazzi che ho incontrato questa mattina - la memoria può essere il faro più potente nel guidarci a fare la scelta giusta, a denunciare le ingiustizie e le discriminazioni, a farci carico della sofferenza altrui e prendercene cura. È la memoria che ci dà la forza di comprendere e rifiutare ogni gesto, ogni affermazione che possa richiamare anche lontanamente i simboli del nazifascismo. È la memoria che ci fa pregare insieme, al di là di ogni differenza di credo politico o religioso, perché torni davvero la pace tra le macerie. È la memoria che rende inaccettabile la grevità delle teorie negazioniste, la violenza dell’antisemitismo e degli insulti inqualificabili rivolti alla senatrice Liliana Segre, o la viltà dei vandalismi che nei giorni scorsi hanno violato, a Piacenza, la sacralità di uno spazio come quello dedicato ai nostri Caduti. È la memoria, infine, che può renderci persone migliori.
Questa è l’eredità che dobbiamo raccogliere dalla tragedia immane della Shoah: il germoglio di una consapevolezza che si rinnova, anno dopo anno, mentre rendiamo onore a milioni di vite che continuano, per tutti noi, ad avere un valore straordinario, a dispetto di quel disegno folle e brutale teso a eliminarne le tracce per sempre, come se non fossero mai esistite.  Ma se ci ritroviamo ancora qui, ottant'anni dopo, per rendere loro il nostro tributo, se ancora ci commuove ripercorrere i loro passi, significa che quell’ideologia di morte e cancellazione non ha vinto. E fino a quando ascolteremo le voci dei testimoni, fino a quando ricorderemo ciò che è stato, lasciando che tutto questo parli al nostro cuore, allora sapremo restare umani. E potremo davvero consegnare l'insegnamento della storia ai bambini e ragazzi cui vorremmo affidare un futuro di pace.

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La Presidente Monica Patelli: riflettere sul passato per evitare errori ed orrori

La cerimonia di oggi è significativa per molte ragioni: sono passati esattamente 80 anni dal 27 gennaio 1945, giorno dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ma si avvicinano anche altri anniversari. Sono infatti ormai trascorsi 25 anni dall’istituzione in Italia del “Giorno della Memoria”, che risale al luglio 2000, e quasi 20 anni dalla risoluzione dell’ONU che nel novembre 2005 ha designato il 27 gennaio come “Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto”. L’allinearsi di questi tre momenti sottolinea il fatto che il fluire del tempo, anche se è inevitabile, non ci esonera dal ricordare: ci esorta, al contrario, ad essere ancora più responsabili e più uniti nel riflettere su errori e orrori del passato, per evitare che si ripetano. Come Istituzioni e come cittadine e cittadini dobbiamo rammentare a tutti, e soprattutto alle nuove generazioni, i motivi per i quali è necessario fare memoria delle persecuzioni e delle barbarie ai danni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani. Nella prima metà del Novecento un’ideologia perversa portò alla vergogna delle leggi razziali e al nefasto utilizzo di ogni mezzo per perseguitare ed annientare persone innocenti: nei campi di sterminio, veri e propri inferni di crudeltà, furono compiute atrocità indicibili. Al dovere di rendere un commosso omaggio alle vittime di tutte le fabbriche di morte del passato occorre accompagnare la vigilanza nel presente, per imparare a riconoscere prima possibile i segnali del razzismo, della prevaricazione e della violenza. Si tratta di uno sforzo ineludibile, perché senza memoria non c’è giustizia e perchè chi si abbandona all’apatia morale è condannato a rivivere le pagine più buie della storia. Lo confermano, purtroppo, i numerosi conflitti che continuano a dilaniare anche questo tempo: odi, massacri e guerre ci ricordano che il disprezzo della vita e della dignità di ogni individuo conduce a discriminazioni, fanatismi e brutalità. Per diradare le tenebre più fitte disponiamo tuttavia di fari potenti e di punti di riferimento sicuri, come la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e la nostra Costituzione Repubblicana, che riuniscono gli ideali di libertà, di rispetto, di tolleranza e di democrazia. Ai valori della dignità, della civiltà e della fraternità umana dobbiamo aderire con convinzione, senso di responsabilità e consapevolezza, rinnovando e rafforzando il nostro impegno di ogni giorno soprattutto in momenti alti e condivisi come quello di oggi.

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L'intervento del prefetto Paolo Ponta 

Quest’anno, il Giorno della Memoria assume un significato particolare. Sono infatti trascorsi esattamente 80 anni da quando le truppe sovietiche liberarono il campo di sterminio di Auschwitz, rendendo palesi al mondo gli orrori della “Shoah”, l’Olocausto del popolo ebraico, e gli altri terribili crimini contro l’umanità perpetrati dal regime nazista e dai suoi alleati e complici. Crimini commessi con lucida ferocia nei confronti di tutti coloro che non rientravano nel folle concetto di “pura razza ariana”: appartenenti a etnie e minoranze considerate “inferiori” o “degenerate”, nomadi, disabili, omosessuali, oppositori politici, chiunque fosse considerato “diverso” o “pericoloso” per la società. La Legge italiana del 2000, proposta dall’allora Deputato On. Furio Colombo, notissimo giornalista e scrittore venuto a mancare pochi giorni or sono, accomuna in questa memoria condivisa, oltre alla Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana degli ebrei, tutti coloro che hanno subito la deportazione, la prigionia e la morte, e tutti coloro che si sono opposti allo sterminio e hanno rischiato la vita per proteggere i perseguitati. Pensiamo a quanti “Giusti tra le Nazioni” – per riprendere l’esatta denominazione dell’onorificenza israeliana – può contare il nostro Paese, molti, troppi, ancora sconosciuti.
“Giusti” sono coloro che hanno fatto una scelta pericolosa facendo prevalere la propria coscienza, proprio come i Sigg. Emilio Cergnul e Luigi Trabucchi, militari internati in Germania per essersi rifiutati di aderire alla Repubblica Sociale, ai cui Familiari, che saluto con un ideale e rispettoso abbraccio, consegneremo tra poco le Medaglie d’Onore alla memoria, concesse dal Capo dello Stato. Lo scorso anno ho dovuto necessariamente accennare alla strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre 2023 ai danni di inermi cittadini e di militari israeliani. Oggi, da Gaza e da tutta la Terra Santa giungono segnali di pace, di speranza per le popolazioni civili provate da sofferenze indicibili e di libertà per gli ostaggi. Il giusto e misurato ottimismo di queste giornate non può e non deve far venire meno la nostra vigile attenzione contro ogni rigurgito di antisemitismo e di razzismo, qualunque sia l’estrazione etnica, politica e culturale da cui provenga.
Per questo sono veramente felice che, grazie all’impegno dell’Ufficio scolastico territoriale, dei Dirigenti scolastici, degli Insegnanti e degli Allievi, in questa stessa giornata, nello spazio XNL gentilmente concesso dalla Fondazione Piacenza e Vigevano, numerose Scuole primarie e secondarie di Piacenza abbiano potuto presentare i risultati dei lavori e degli approfondimenti svolti sugli argomenti della Giornata. Anche questo impegno è la prova, ove ce ne fosse ancora bisogno, che “Memoria” non può significare solo una pur doverosa commemorazione ufficiale.
“Memoria” è innanzitutto trasmissione e condivisione dei valori fondamentali della nostra Civiltà e della nostra Repubblica: rispetto della dignità e dei diritti di ciascuna e di ciascuno. Se impareremo a rispettare, accogliere e ascoltare gli altri, indipendentemente dalla loro origine, lingua, religione, opinione e ceto sociale, questo Giorno della Memoria avrà dato il suo frutto più importante.

Nelle foto di Pagani i momenti della Giornata della Memoria a Piacenza.

Pubblicato il 27 gennaio 2025

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