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Il vero senso
della correzione

Dal Vangelo secondo Matteo (18,15-20)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te,
va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà,
avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà,
prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa
sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.
Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità;
e se non ascolterà neanche la comunità,
sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra

sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra
sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra
si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa,
il Padre mio che è nei cieli gliela concederà.
Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome,
lì sono io in mezzo a loro».

La nostra vita e la Parola
vg5set23Avere la stessa madre. Nel Vangelo di questa domenica si legge la parola “fratello”. Se partiamo dalla lingua in cui sono scritti i Vangeli, il greco, la parola fratello, “adelphos”, sta ad indicare colui che è nato dallo stesso utero (delphos), quindi i fratelli hanno in comune la madre che li ha generati.
In italiano invece la parola “fratello” sembra derivi da una radice sanscrita che rimanda alla esperienza della nutrizione e del sostentamento: per questo motivo un fratello, oltre ad essere nato dagli stessi genitori, rappresenta “colui che è sostenuto e che sostiene”, una sorta di secondo padre (l’etimologia infatti è simile) che accompagna ed è accompagnato per tutta la vita. Nella Bibbia la prima volta che compare la parola fratello (‘ah) è quando si parla di Abele. Quindi la condizione di fratellanza non è dovuta al buon cuore o una iniziativa umana, ma ha come origine l’esperienza di essere generati dalla stessa origine, dallo stesso amore.
Si è fratelli perché si è amati dallo stesso Padre e si è stati formati nell’utero della medesima madre: è per la comune esperienza della nascita da Dio che nascono rapporti e legami che legano il cielo alla terra. Noi partecipiamo alla vita di Dio e questa partecipazione ci rende fratelli.

Figli e fratelli nella Chiesa. La comunità cristiana è il corpo di Cristo in cui siamo inseriti e dove viviamo la nostra figliolanza. Se questa è la realtà preziosa che c’è in gioco, comprendiamo quanto sia importante la relazione fraterna e quanto, in questa relazione, sia importante il modo di trattare il peccato che il fratello commette contro di te. Innanzitutto bisogna tener conto che anche nella comunità cristiana c’è il peccato. La Chiesa non è il giardino dei perfetti e non c’è proprio da scandalizzarsi quando questo appare evidente.
Il vero fine è quello di guadagnare il fratello, di non perderlo. Se il tuo fratello commette un peccato contro di te è lui che va curato. Non è tanto importante il male che hai ricevuto, ma il suo bene, la sua salvezza: il vero ferito di cui prendersi cura è lui. Per questo il Vangelo parla di una prassi che è una prassi di guarigione.

La correzione fraterna. Come dice il Papa, la vera correzione fraterna è dolorosa perché è fatta con amore, in verità e con umiltà. Se sentiamo il piacere di correggere, questo non viene da Dio. Non si può correggere una persona senza amore e senza carità. Non si può fare un intervento chirurgico senza anestesia: non si può, perché l’ammalato morirà di dolore. E la carità è come un’anestesia che aiuta a ricevere la cura e accettare la correzione. Come diceva sant’Ambrogio “Ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provarne compassione e di non rimproverarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che mentre piango su un altro, io pianga su me stesso”.

Don Andrea Campisi

Pubblicato il 7 settembre 2023

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