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La Pellegrina: un grosso investimento in speranza

 corti

“Il mondo ha fame di grano e ha fame di tenerezza”: sono le parole di Raoul Follereau, poeta, giornalista e conferenziere, che ha acceso una luce sul mondo della lebbra, soffocato dalle tenebre dell'egoismo e del pregiudizio, citate, con commozione, dal prof. Pierluigi Viale, già primario al reparto Malattie Infettive dell’ospedale di Piacenza ora docente all’Università di Bologna, nel convegno sui 30 anni della Pellegrina, il 27 maggio, al “Samaritano” in via Giordani a Piacenza.
Il meeting è stato aperto dal presidente “La Ricerca” Enrico Corti che, ricordando gli inizi della struttura di accoglienza per persone in hiv-aids voluta dalla Diocesi di Piacenza-Bobbio nei primi anni Novanta, ha sottolineato le figure di don Giuseppe Venturini e don Giorgio Bosini, pionieri della Pellegrina, che hanno avuto la grande intuizione di aiutare i malati di Aids messi ai margini della società.
“Mettere i poveri al centro - ha affermato Corti - da senso all’agire cristiano per generare un nuovo umanesimo. Ci siamo fatti aiutare, per la Pellegrina, da persone di grande capacità professionale, ma non abbiamo fatto un ospedale, bensì una comunità che ha vissuto varie fasi nella storia di questi 30 anni”
Anche Mario Idda, direttore della Caritas diocesana, ha evidenziato l’importanza dell’evento, pensando al futuro in cui non si dovrà mai dimenticare di stare accanto agli ultimi.

HIV: lebbra della società

A ricordare la prima fase della Pellegrina, la più drammatica, quella in cui i malati che venivano accolti arrivavano in condizioni gravissime ed avevano pochissime speranze di vita, si è letta la testimonianza di Daniela Scrollavezza, prima responsabile della casa, che insieme a suor Paolina Voltini, delle figlie di Sant’Anna, ha dato il via a questa esperienza di accoglienza delle persone in Aids.
“Nessuno si voleva occupare dei pazienti di queste malattie”: ha evidenziato la dott.sa Daria Sacchini, infettivologa, in quegli anni, all’Ospedale di Piacenza. “Era una patologia stigmatizzata - ha aggiunto - e anche diversi medici si rifiutavano di curare queste persone. La Casa Accoglienza “Don Venturini” è stata una delle prime realtà in Italia e questo è motivo di grande orgoglio per la citta di Piacenza”.
La dott.sa Sacchini ha poi ricordato con affetto la “mitica” Suor Paolina che non giudicava nessuno, ma agiva con autorità e concretezza.
“La lebbra è sempre stata considerata la malattia dei reietti e in quel tempo l’HIV era la lebbra della società”: così si è espresso il prof. Pierluigi Viale. “Allora avevamo 30 anni, eravamo giovani - ha proseguito - e i malati avevano la nostra stessa età. Non è stato facile, mi piacerebbe scrivere un libro su quelli che non ce l’hanno fatta, tantissime persone che oggi sarebbero ancora vive”.

Le nuove terapie

Protagonista della seconda fase, quella “della speranza della cura per una vita che continua oltre la Pellegrina”, è stata Ingrid Salinas, subentrata a Scrollavezza, che ha portato la sua testimonianza.
“Sono stati anni di cambiamento con le nuove terapie, - ha detto Salinas - e abbiamo notato una ripresa dello stato di salute, dovevamo quindi accompagnare le persone in una nuova fase di vita. È nata l’assistenza domiciliare con la creazione di appartamenti per dare agli ospiti una loro autonomia. Abbiamo poi sensibilizzato maggiormente il territorio con il coinvolgimento delle scuole e delle parrocchie. Sono stati inoltre potenziati gli interventi di psichiatri e psicologi, ma non posso dimenticare dimenticare i momenti di dolore per chi, in fase ormai conclamata, non ce l’ha fatta. È stata un’esperienza che mi ha insegnato tanto”.

Familiarità, relazione e amicizia

Cronicità e fragilità connotano la terza fase, quella attuale che è stata introdotta con un messaggio video dell’infettivologo e antropologo Giovanni Gaiera, responsabile della comunità di accoglienza Cascina Contina di Milano.
Francesca Sali, attuale responsabile, che da 20 anni lavora nella casa, ha sottolineato come ormai le persone non muoiono più per HIV.
“La vita in casa accoglienza - ha affermato - rischia dei tempi morti che si trascinano. Gli ospiti vanno verso una età anziana e la casa è diventata per alcuni luogo definitivo. In questo ambiente cerchiamo di creare familiarità, relazione e amicizia
Anch’io alla Pellegrina - ha evidenziato Francesca - sono cresciuta e ho vissuto importanti della mia vita come la laurea, la nascita di mia figlia… Insieme agli ospiti e ai volontari siamo diventati grandi insieme, cercando di rigenerarci con creatività e fantasia per rendere la cronicità non qualcosa di finito, ma sempre innovativo”.

Una nuova umanità

“Trent’anni fa si è fatto alla Pellegrina un grosso investimento in speranza”: così ha esordito, nell’intervento conclusivo, il vescovo mons. Adriano Cevolotto.
“Ho letto che don Giorgio ai volontari e a chi faceva esperienza di formazione alla casa accoglienza, non dava nessuna garanzia: chiedeva un atto di fiducia. Questo significa investire in una prospettiva che guarda avanti. Oggi invece siamo molto imbrigliati dalle garanzie per il futuro, tutto vien pianificato dai business plan e così si perde la possibilità di credere in una nuova umanità”
L’altra riflessione del Vescovo si è incentrata sull’opera segno che è stata la Pellegrina che non deve essere ingessata, ma continuamente vivacizzata.“Per la nostra chiesa che cosa possiamo fare perché la Pellegrina continui a significare qualcosa? Contro ogni pregiudizio e stigma, oggi quale può essere il segno?”: si è domandato mons. Cevolotto.
“Bisogna - ha risposto - cercare di dare una prospettiva a quello che ci sembra piatto, dare degli stimoli, aiutare i giovani a vincere ogni avvilimento che mortifica la vita”.
Infine - per il Vescovo - la Pellegrina non deve essere relegata in un bel spazio verde fuori dal centro dove si collocano le fragilità, mentre in città si continua a illudersi e a “drogarsi” di una perfezione che non si ha.

partenza marcia casa pellegrina

Nella foto, il rotrovo della marcia alla Besurica.

In cammino verso la Pellegrina

“Mettiamoci in cammino - ha detto mons. Cevolotto - e andiamo, come faremo in questa sera sulla pista ciclabile, alla Pellegrina per renderci conto che dobbiamo sempre vivere un cambiamento interiore”.
Infatti c’è stato poi il ritrovo alla parrocchia della Besurica dove i partecipanti sono stati accolti da don Franco Capelli, figura storica dell’associazione La Ricerca. Dal sagrato è partita, con la presenza del Vescovo, la fiaccolata a piedi che ha raggiunto la Pellegrina.
La giornata si è infine conclusa con un momento conviviale alla Casa Accoglienza “Don Venturini” a cui sono seguite, attorno al fuoco, riflessioni, performance, testimonianze e musica sul tema “I doni dello Spirito Santo”.

Riccardo Tonna

marcia

Nella foto, un momento della marcia verso la Pellegrina.

Pubblicato il 29 maggio 2023

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