Padre Hernandez: il vero luogo sacro è la tua stessa vita
È stato un evento indimenticabile quello che si è tenuto a Piacenza, il 14 aprile, presso il Palazzo Vescovile, dove il gesuita Jean Paul Hernandez, direttore della Scuola di Alta formazione di Arte e Teologia della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, ha tenuto un discorso sul tema “La chiesa come porta e come grembo”.
Nell’evento, organizzato dal Nuovo Giornale e dall’Ufficio beni culturali della diocesi, si è ascoltata la lectio magistralis del gesuita che ha saputo coinvolgere il numeroso pubblico presente con il suo stile chiaro e avvincente, e con un linguaggio che ha saputo parlare al cuore di tutti.
La scala di Giacobbe
La riflessione è partita dal brano biblico di Genesi al capitolo 28, dove si racconta della scala di Giacobbe. Il testo, usato in tutte le liturgie di consacrazione delle chiese, è la famosa narrazione del sogno di Giacobbe.
Nella tradizione ebraica, - ha evidenziato padre Jean Paul- la pietra di Giacobbe era letta come l’“aben shetiya”, la “pietra di fondazione” del Tempio di Gerusalemme, l’intero Tempio è riassunto in questa pietra. Per la prima volta si legge l’espressione “questa è la casa di Dio, la porta del cielo”. Anche l’architettura cristiana del quarto secolo, e dei secoli successivi, ha cercato di recuperare parte del simbolismo teologico del Tempio di Gerusalemme. Questo racconto - ha rimarcato il gesuita - descrive perfettamente il percorso spirituale di coloro che oggi entrano per visitare una chiesa. “Pietra”, in ebraico “aben”, suona molto simile a “figlio” (“ben”), un’assonanza che consente il gioco di parole metaforico. Quello che Giacobbe ha tra le mani è il suo “essere figlio” è il problema che lo tormenta: se è un figlio benedetto o un figlio maledetto, dopo aver “strappato” la benedizione del primogenito a suo fratello. È proprio sul baratro di questo profondo dubbio esistenziale - ha proseguito Hernandez - che Dio rinnova l’alleanza con Giacobbe, unendo cielo e terra con una scala dove i messaggeri salgono e scendono, cioè dove le parole dalla terra salgono fino al cielo e dal cielo scendono sulla terra. È quindi una unione tra cielo e terra, “casa di Dio”, “porta del cielo”, come la chiesa stessa.
Il “Tropaion” della risurrezione
L’altra riflessione di padre Hernandez si è soffermata sul “tropaion” della risurrezione. Eusebio di Cesarea nel libro X della sua Historia Eclesiastica, narra la costruzione delle prime basiliche cristiane dopo l’editto di Milano (313) come un evento escatologico. Per questo storico cristiano, il Corpo di Cristo, “che prima era disperso in luoghi diversi” dove i cristiani si nascondevano a causa dalla persecuzione, ora si può riunire in un solo luogo e formare così un solo corpo vivo. Ecco perché in questo stesso testo, - ha spiegato il gesuita - Eusebio immagina un discorso pronunciato nel 316 in occasione della consacrazione della Cattedrale di Tiro, l’oratore si rivolge ai suoi ascoltatori con parole del tipo: “Quale re, dopo la sua morte, è in grado di vincere tante battaglie e di portarci dalla Sua vittoria un trofeo come questo edificio in cui vi trovate?”. La parola “trofeo” (in greco “tropaion”) ha un significato molto preciso in ambito militare. Il “tropaion” è un oggetto, simbolo del sovrano vittorioso, che estende la sua sovranità ovunque sia portato. È quindi un segno che “realizza ciò che significa”, è un segno “performativo”, qualcosa di non molto lontano da ciò che nella teologia cattolica chiamiamo “sacramento”. Affermare che la cattedrale è un “tropaion” della Risurrezione, - per padre Jean Paul - è affermare che l’edificio religioso “estende la sovranità” della Risurrezione di Cristo a chiunque vi sia dentro. Le grandi cattedrali e basiliche sono una “rappresentazione efficace” della liturgia come anticipazione della Risurrezione finale, ossia come incontro reale con il Risorto.
Un pellegrinaggio verso il futuro
Tempio è allora non solo lo scopo della creazione, ma anche lo scopo della storia. La chiave di interpretazione ultima del pellegrinare umano. Si entra nel Tempio - ha detto Hernandez - per capire la propria storia, cioè ricordare che il Signore è stato fedele e rimarrà sempre fedele all'Alleanza. Nell'architettura cristiana, la pianta longitudinale della chiesa esprime questo cammino del credente, questo «passare» umano che si unisce col «passare» divino. La tradizionale bipartizione fra navata e presbiterio è sottolineata, già nei primi secoli, da cancelli, balaustre che la tradizione orientale arricchirà. Questa cesura esprime ulteriormente l'importanza del «passaggio». L'intero edificio è un «pellegrinaggio verso il futuro».
L’abside: porta e grembo
Nella grande Tradizione, l'abside è orientata a est (appunto «oriente»), luogo dove sorge il sole, simbolo primordiale di Dio. La figura del «Cristo-sole» appare fin dai primi secoli cristiani.
L'uomo crede di camminare per primo verso Dio, ma quando si mette in cammino scopre che Dio ha già camminato per primo incontro a lui. La coincidenza di questi due cammini incrociati - ha sottolineato il gesuita - è già presente nella teologia della chiesa di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna. Nei mosaici di questa chiesa ravennate la processione dei santi (registro inferiore) va dalla contro-facciata all'abside e coincide con la storia di Gesù (registro superiore) raccontata in pannelli disposti in una sequenza che va dall'abside alla contro-facciata.
L’abside allora - ha spiegato Hernandez- è veramente la porta aperta, la porta del cielo dove c’è Cristo simbolo di luce, oppure Maria. Quindi si è sviluppata anche una simbologia mariana che evidenzia che l’abside, come Maria, fa entrare Dio nella carne umana. Perciò quando si è iniziato a rappresentare la Vergine, si è colto maggiorente come l’abside ha anche la forma di un grembo, di un luogo di concepimento, dove si avverte la presenza di Cristo in mezzo a noi. Da qui nasce poi il collegamento tra l’incarnazione e l’eucaristia che, nel pane, prosegue la presenza reale di Gesù.
Il Portico della Gloria
Suggestiva è stata la conclusione dell’intervento di padre Hernandez che ha spiegato il Portico della Gloria di Santiago di Compostela, una struttura architettonica composta da tre archi e accompagnata da un elaborato insieme scultoreo, un vero capolavoro dell’architettura romanica europea. Arrivato davanti al portico il pellegrino vede i 24 anziani dell’Apocalisse che suonano strumenti musicali. Il messaggio del portico è questo: “Fermati, guarda Cristo, porta a lui tutti i tuoi peccati e ascolta il tempo della tua vita, del tuo pellegrinaggio, rappresentato dagli anziani, e lì vedi che il Signore sta con te, che sei sempre stato amato. Quando scopri questo puoi entrare e ti accorgerai che il vero luogo sacro è la tua stessa vita”.
Un finale ad effetto che ha rappresentato il momento culminate della lectio magistralis, ed ha mostrato come la chiesa è porta e grembo, due simboli che racchiudono in sé tutta la bellezza e la grandezza della fede cristiana.
Riccardo Tonna
Nelle foto di Carlo Pagani, padre Hernandez e il pubblico presente nella sala degli Affreschi di Palazzo vescovile a Piacenza.
Pubblicato il 16 aprile 2023
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