Nel ricordo di Fiorentini. Mons. Monari: «Ha dato sicurezza al mio servizio»
“Ciao Fausto”, comincia così il ricordo di Fausto Fiorentini, indimenticato docente e giornalista scomparso il 30 maggio 2022, esattamente un anno fa. Al Seminario vescovile, gremito per l’occasione – circa cento i presenti – la diocesi di Piacenza-Bobbio e Il Nuovo Giornale hanno voluto rendere omaggio a Fiorentini con tre testimonianze di chi, in modo diverso, l’ha conosciuto. Prima, una carrellata di ricordi, registrati e raccolti in un filmato, da parte di colleghi docenti e giornalisti, ma anche esponenti politici, ex alunni e amici. A moderare l’incontro il direttore del settimanale diocesano, don Davide Maloberti.
“Sono venuto per il debito che la diocesi ha nei suoi confronti, che anch’io sento di avere perché Fausto Fiorentini è stata una persona che mi ha dato sicurezza nel servizio. Quando sono arrivato a Piacenza mi sono sentito accolto e sostenuto”. Così mons. Luciano Monari, vescovo di Piacenza dal 1995 al 2007.
“L’immagine di Fiorentini a Piacenza – ha detto – è quella di una persona che ha amato il suo lavoro, la sua città e la sua diocesi, e la capacità di amare è lo scopo della vita dell’uomo. È l’amore che coglie l’esistenza e le dà uno scopo: Fiorentini l’ha vissuto in maniera concreta. Dal suo lavoro appare un’immagine positiva della Chiesa nella società: oggi quell’immagine è offuscata, e ne paghiamo un prezzo alto”.
“L’identità della Chiesa è fatta di contributi originali”
“Persone come Fiorentini ci hanno aiutato a vivere bene il nostro ministero ecclesiale – ha proseguito mons. Monari – l’ha fatto volentieri, mettendoci capacità e desiderio. Mi ha permesso di capire qualcosa del suo amore per la città, per le strade, le persone, i ricordi che portano con sé. Avere uno sguardo sullo spazio e sul tempo in cui viviamo, corretto e attento ai particolari, ci aiuta a vivere bene. Altrimenti ci sentiamo sballottati da qualcosa di più grande di noi. Fiorentini è stato uno dei più grandi costruttori dell’identità della città di Piacenza: se abbiamo la percezione di appartenere a qualcosa di bello, cerchiamo di essere belli anche noi, di contribuire al bello, e facciamo fatica a rovinarlo. Fiorentini ci ha aiutato a combattere il rischio di incorrere in una visione universale che perde il senso del rapporto con le proprie radici e diventa insipida. Non siamo persone umane «in massa», ma con un’identità propria. Rischiamo di perdere quell’equilibrio per cui non c’è bisogno di sentirci superiori agli altri per sentirci contenti di noi stessi. E poi, il professore ci ha insegnato il suo amore per la diocesi. La storia di una diocesi e di una parrocchia è quella di una comunità umana formata nel tempo, che passo dopo passo ha assunto una ricchezza di comportamenti, atteggiamenti, modi di pensare che possono rischiare di diventare autonomi, mentre, al contrario, potrebbero contribuire al bene di tutti come contributo originale. L’identità stessa della Chiesa è data dai contributi originali delle diocesi e delle parrocchie. Dobbiamo accettare le trasformazioni che viviamo portandoci dietro la ricchezza che le generazioni prima hanno accumulato. Sarebbe bello che ogni comunità cristiana custodisse quei tesori di memoria che le sono propri per sentire una responsabilità più vicina, più propria”.
Secolarità e rapporto con Dio
“Accanto alla memoria della diocesi, delle parrocchie e dei preti, Fiorentini ha raccolto tutti i miei interventi – ha ricordato mons. Monari – organizzandoli per argomenti. Il senso è duplice. In primo luogo, il «Concilio», che è per noi un riferimento decisivo per la pastorale di oggi. È passato un po’ di tempo, ma il Concilio è e rimane il punto di riferimento della nostra pastorale, ha in sé una capacità creativa straordinaria: il Concilio ci aiuta a fare ordine nel disorientamento. Il secondo obiettivo è cogliere la dimensione cristiana nelle occasioni di esperienza secolare. La nostra società tende a diventare sempre più secolare, orientando le proprie scelte su competenze, studio, situazioni, esperienze, raccolte di dati. Ma il problema non è la secolarità in quanto tale: Dio ha creato il mondo con una sua autonomia, il problema si crea quando la secolarità viene vissuta tagliando i rapporti con Dio. Se il mondo diventa ‘il tutto’, il successo del mondo è il valore supremo e tutto è subordinato al successo. Ma il secolare è legato al mistero di Dio, da cui viene e a cui deve tendere. Quando Fiorentini raccoglieva tutti i documenti tentava di inserire la memoria di Gesù all’interno del vissuto secolare, aiutando a tenere aperta la secolarità”.
“Fluire negli altri”
Il rapporto che lega Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi e già direttore dell’Ansa e collaboratore di Libertà, e Fausto Fiorentini ha origine a Carpaneto Piacentino alla fine degli anni Cinquanta. “Di solito – ha sottolineato – quando si ricorda un morto si è tristi, ma nei volti dei presenti non ho visto alcuna traccia di tristezza, bensì di serenità. Il giornalista, come amava dire Fiorentini, deve essere una persona che si mette al servizio, non una figura che compare: egli segue la cronaca per poi destinare le sue acquisizioni al pubblico. L’insegnante deve apprendere per poi formare, il giornalista deve apprendere per informare”, ha detto, ricordando la doppia professione di Fiorentini, che aveva, “collegandosi con gli altri, la capacità far crescere l’interesse della gente”. “I suoi libri non sono stati mai banali e mai noiosi – ha riflettuto – seri, ma mai compiaciuti. Sono discorsi al caminetto. Fausto Fiorentini meriterebbe una beatificazione, non l’ho mai sentito parlare male di nessuno, sapeva ben coinvolgere la gente”. Sulla religiosità, “Fausto non l’ha mai esibita, era dentro di lui e non poteva farne a meno – ha riferito Magnaschi – non seguiva il suo lavoro da esibizionista ma da testimone silenzioso. Non ho mai conosciuto nessuno che fosse più distaccato da se stesso: il suo compito era «fluire negli altri»”.
“Oltre il dolore”
“Ho conosciuto Fiorentini da adulta, quando sua moglie Gabriella era ricoverata nell’hospice di Borgonovo che io dirigevo”, ha detto Itala Orlando, responsabile della comunicazione a La Ricerca. “Prima di morire, Gabriella affidò a Fausto la missione di fare qualcosa per l’hospice. L’esperienza nella casa di riposo ha segnato Fiorentini, il dolore crea sempre una ferita, ma è anche un punto da cui la vita deve rimettersi in circolo in modo diverso. Fausto, con atteggiamento di gratitudine, ha voluto mantenere la memoria. Per noi che lavoriamo nei servizi avere la gratitudine e quindi la certezza di aver fatto del bene è fondamentale, si lavora in una relazione che diventa più grande. Lui disse che l’unica cosa che sapeva fare era scrivere, e così ha colto tutti gli aspetti del nostro lavoro e della nostra équipe. Nel 2008, quando uscì il primo libro “Oltre il dolore”, vivevamo situazione di confine, la gente considerava l’hospice solo come un luogo in cui si va a morire. Per la seconda pubblicazione, “Hospice a colori”, nel 2010, coinvolgemmo un gruppo di artisti piacentini. L’arte è sempre stata importante nella vita di Fausto Fiorentini, l’immagine che volevamo dare non era edulcorata, ma vera: «La morte fa parte della vita, ma non significa che non dobbiamo gustare quello che stiamo vivendo». Poi abbiamo provato a scrivere racconti, trasformando alcune sue storie autobiografiche. A 360 gradi Fiorentini si prese cura dell’hospice «negletto», mettendo davanti alle persone una storia che poteva essere quella di tutti. Per ampliare la conoscenza, Fausto mi propose di raccontare le storie dell’hospice su Il nuovo giornale: da lì nacque la rubrica «Noi al vostro fianco», per dire con la semplicità quotidiana cosa vuol dire avere bisogno di aiuto, quali sono le situazioni in cui si ha bisogno. Per restare sull’arte, alla Galleria Alberoni creammo, con l’aiuto di Susanna Pighi, un percorso artistico dedicato al dolore dell’uomo. Capimmo, anche grazie all’aiuto di don Andrea Campisi, all’epoca parroco di Borgonovo e assistente spirituale dell’hospice, che anche le esperienze più dolorose hanno sempre un’apertura”.
Francesco Petronzio
Nelle foto: in alto, da sinistra, don Davide Maloberti, mons. Luciano Monari, Itala Orlando e Pierluigi Magnaschi; sopra, il pubblico presente.
Pubblicato il 30 maggio 2023
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