Addestrare l'AI al rispetto dei valori fondamentali della persona
Vede segnali di speranza, un ritorno di “orgoglio" della professione, il professor Ruben Razzante, docente di diritto dell’informazione all’università Cattolica e giornalista. L’iniziativa dell’Ordine dei Giornalisti di rimettere mano sulle norme deontologiche, facendo ordine ed aggiornandole laddove necessario, è un segnale incoraggiante. Come le occasioni formative per giornalisti, che oggi sono accolte con interesse, perché c’è desiderio di capire dove la professione sta andando, ma anche volontà di marcare la differenza con i non giornalisti di cui è piena la Rete.Qual è l’elemento discriminante? La deontologia.
Il professor Razzante nell'incontro di formazione di sabato 1° febbraio alla Sala degli Arazzi, promosso dalla diocesi con l'Ordine regionale dei giornalisti, ha passato in rassegna alcuni articoli del nuovo Codice deontologico che entrerà in vigore il 1° giugno. “Il giornalista - ha puntualizzato - come tutti i professionisti può sbagliare. L’art. 2, che ribadisce il concetto di 'verità sostanziale dei fatti', salva la libertà del giornalista di sbagliare. Il giornalista infatti non è il creatore o depositario della verità, è un interprete della realtà, lo storico dell’istante, secondo la definizione di Umberto Eco. È colui che racconta frammenti di realtà e cerca di comporli in una sintesi, per arrivare alla realtà che ritiene tale dopo aver scrupolosamente applicato tutti gli strumenti a sua disposizione, con onestà, lealtà, rispetto ed etica professionale”.
Diverso è l’atteggiamento di chi, per imperizia o per malafede, distorce le informazioni e così produce fake news. “La deontologia professionale - sottolinea il prof. Razzante - è una declinazione in forma specifica del principio etico”. Nel Codice c’è un preciso richiamo contro il sensazionalismo spinto. Si invitano i giornalisti alla coerenza quando usano i loro profili social. Si ribadiscono i diritti fondamentali, la tutela dei soggetti fragili, il valore della rettifica.
L'Intelligenza Artificiale alla prova dell'etica
E l’Intelligenza Artificiale, come entra nella professione e nella deontologia del giornalista? “Non commettiamo l’errore degli inizi di Internet, quando venne demonizzato”, esorta Razzante. Certo, nel profluvio di informazioni che circolano in Rete si fatica a riconoscere la qualità, però anche il giornalismo ha tratto vantaggio dalla Rete, perché ha ampliato le possibilità di far arrivare i propri contenuti alle persone. Analogamente, “l’Intelligenza Artificiale non è l’Eldorado e non è neppure il demonio. È una dimensione digitale. Il lavoro giornalistico non sarà sostituito dall’Intelligenza Artificiale, ma il giornalista nella sua cassetta degli attrezzi dovrà mettere anche l’Intelligenza Artificiale”.
Ecco allora la priorità, secondo Razzante: lavorare sulla formazione e sulla sensibilizzazione. “Ci vuole un dibattito esteso sull’intelligenza artificiale, per spiegare ai cittadini le modalità più appropriate per utilizzarla. Altrimenti, rischia di diventare un elemento di ulteriore sfilacciamento dei rapporti sociali”. Per Razzante, “l’algoritmo deve introiettare la dimensione etica, deve essere addestrato in funzione del rispetto dei diritti fondamentali della persona”. Un compito che solo i produttori delle soluzioni di intelligenza artificiale possono assolvere. “Ma non lo faranno spontaneamente. Bisogna promuovere una concertazione globale tra soggetti pubblici e privati, perché la trasformazione digitale avvenga nel rispetto di questi valori”. Razzante cita l’emendamento che va in questa direzione, introdotto dalla commissione per il contrasto ai fenomeni di odio e discriminazione del Senato, presieduta da Liliana Segre, al disegno di legge sull’intelligenza artificiale che verrà discusso in aula. “Sarebbe bello - è l’auspicio di Razzante - se mondo dell’informazione amplificasse questo messaggio, senza limitarsi a chiudersi nel proprio orticello”. Secondo il docente i tempi sono maturi. Come ha ricordato l’arcivescovo di Milano Delpini nella lettera alla città per il patrono Sant’Ambrogio, il 6 dicembre scorso, “la gente non è stanca della buona comunicazione, perché la comunicazione è il servizio necessario per avere una idea del mondo. È stanca della comunicazione che raccoglie la spazzatura della vita e la presenta come se fosse la vita”.
Da sinistra, il Vescovo mons. Cevolotto e i giornalisti Laura Pasotti, Carla Chiappini e Gian Luca Rocco.
L'odio corre sui social
La giornalista Laura Pasotti e il direttore di Libertà, Telelibertà e libertà.it Gian Luca Rocco hanno declinato il tema della giornata nella loro esperienza sul campo. Pasotti, giornalista di Redattore Sociale e della redazione Sogni e Bisogni che si occupa di disagio mentale, dati alla mano ha mostrato come nel mondo dei social - in particolare X (ex Twitter) - sia in corso un crescente discorso d’odio che colpisce le donne, in primis quelle che occupano una posizione di rilievo, e le persone con disabilità. Su 200mila tweet sul mondo della disabilità analizzati nel 2022, ben 197.900 contengono elementi di odio. Un dato impressionante.
Una responsabilità nei confronti del territorio
Passando alla comunicazione locale, nelle sue diramazioni cartaceo-tv-social, Rocco da parte sua non ha nascosto la difficoltà nel trattare certi fatti di cronaca (la morte di Aurora, dove vittima e carnefice sono entrambi minorenni, la recente rissa con coltello tra studenti), ma anche ricordato che, rispetto ai media nazionali, quelli locali sentono forte la responsabilità nei confronti del territorio in cui operano. “Il sensazionalismo è nemico della buona informazione. Si possono raccontare anche fatti violenti in modo non violento? Credo di sì. Ci sono fatti che parlano da soli, non serve ingigantirli. Quel che proviamo a fare è di essere, oltre che strumenti di informazione, luogo di confronto”.
Pubblicato il 1° febbraio 2025
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