Il Vescovo: «Mettere la parola al servizio della dignità dell'altro»
“Disarmare la comunicazione”: l’invito del Papa nel Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali ha fatto da fil rouge all'intervento del vescovo mons. Adriano Cevolotto, che ha chiuso la mattinata di formazione per giornalisti del 1° febbraio alla Sala degli Arazzi del Collegio Alberoni (nella foto sopra).
Se la comunicazione - come ha ricordato il Vescovo - "è la cifra dell’umano, pertanto ci coinvolge tutti”, ai giornalisti in particolare Francesco chiede di “mettere al centro della comunicazione la responsabilità personale e collettiva verso il prossimo”. Il linguaggio aggressivo si nutre di quella che don Tonino Bello chiamava la “dissolvenza dei volti”: se perdiamo il volto dell’altro - riflette mons. Cevolotto - il conflitto diventa permanente.
Tre allora le indicazioni che dal Messaggio di Papa Francesco arrivano a noi, ai professionisti della comunicazione ma non solo. Il Vescovo le ha riassunte così. Primo: “C’è una circolarità tra l’attesa della gente e la risposta della comunicazione. La «sete di sangue» è alimentata anche da una comunicazione che asseconda questa conflittualità sistemica”. Mons. Cevolotto cita il libro del cardinal Zuppi “Odierai il prossimo tuo”, nel quale si mette in correlazione odio e paura. “Se una comunicazione alimenta l’odio - annota il Vescovo - lo fa perché sostiene una logica di paura. La comunicazione allora deve assumersi anche responsabilità educativa, formativa”.
La seconda indicazione il Vescovo la ricava a partire da un passo del capitolo 5 del Vangelo di Matteo, "Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna". Gesù qui evidenzia il potere della parola, “che ha la sua origine nel cuore, nel pensare, nel sentire, e che può squalificare e delegittimare l'altro. Il potere della parola può essere anche costruttivo. Però oggi assistiamo alla banalizzazione della parola. Disarmare la parola - intesa come parola scritta, immagine, scelta degli spazi... - non vuol dire, allora, semplicemente renderla innocua. Vuol dire metterla a servizio della dignità dell’altro, in qualsiasi situazione si trovi, anche quando l'altro è in carcere a scontare la sua pena”. L'ultima indicazione ai giornalisti è di domandarsi cosa quanto si scrive può suscitare nel lettore. Con un invito specifico ai direttori: “Vigilate sui titoli. Ci sono a volte dei titoli che non corrispondono poi al contenuto dell'articolo. È una mancanza di serietà anche nei confronti del giornalista stesso”.
"Essere testimoni e promotori di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo. Raccontare storie intrise di speranza, avendo a cuore il nostro comune destino e scrivendo insieme la storia del nostro futuro. Tutto ciò potete e possiamo farlo con la grazia di Dio, che il Giubileo ci aiuta a ricevere in abbondanza". L'augurio conclusivo del Messaggio del Papa, rilanciato ai giornalisti, è anche un invito a tornare all'origine delle nostre parole, a custodirle, a metterle al servizio.
Pubblicato il 1° febbraio 2025
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