Castelsangiovanni, l'8 Giornata contro la tratta
“Cosa farei io al loro posto?”. Martina Taricco, psicoterapeuta cuneese, ha iniziato nel 2011 a scendere in strada con la Papa Giovanni XXIII per incontrare le donne che si prostituiscono ed è oggi animatrice generale del servizio antitratta della Comunità fondata da don Oreste Benzi. È stata quattro volte in Africa. Sta seguendo un progetto in Kenya contro lo sfruttamento sessuale. Parla, insomma, con cognizione di causa. Sabato 8 febbraio sarà a Castel San Giovanni in occasione delle iniziative per la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone nella memoria di Santa Bakhita (nella foto sopra, una precedente edizione della manifestazione, a Piacenza).
Un pomeriggio in tre momenti
“Ambasciatori di speranza. Insieme contro la tratta di persone”: tre i momenti promossi dalla Comunità Papa Giovanni XXIII con il patrocinio della Provincia e in collaborazione con la diocesi e la Cisl di Parma e Piacenza.
Alle ore 16, al cinema Moderno, verrà proiettato il docufilm “Il Pazzo di Dio” di Kristian Gianfreda, dedicato a don Oreste Benzi, nel centenario della nascita del sacerdote riminese. A seguire, testimonianza di Miriam Taricco.
Alle ore 18, il vicario generale don Giuseppe Basini celebra la messa nella chiesa Collegiata, con preghiera per le vittime di tratta.
Al termine, in oratorio, rinfresco.
Il docufilm dedicato alla vita di don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, che sarà proiettato al Moderno.
Taricco: lo sfruttamento ha tanti volti
— Dottoressa Taricco, cosa state vedendo dal vostro Osservatorio?
La tratta, in tutte le sue forme - sfruttamento sessuale, lavorativo, accattonaggio - è un fenomeno in continuo cambiamento, ci obbliga a tenere le antenne dritte. Il Covid ha dato uno strappo, aumentando la prostituzione in appartamento. Lavoriamo in sinergia con le altre associazioni di tutta Italia, facciamo il monitoraggio di alcuni siti di aggancio dei clienti, lavoriamo sugli annunci. In alcune città abbiamo avviato le unità di contatto indoor: è una modalità di prossimità completamente diversa dalla strada, dove non hai la persona di fronte e hai il tempo di una telefonata, a volte solo 40 secondi, per parlare con la ragazza.
L’altro aspetto in crescita riguarda lo sfruttamento lavorativo, soprattutto di giovani provenienti dall’Africa subsahariana.
— I pregiudizi sono forti: da un lato, il mestiere più vecchio del mondo; dall’altro, stiano a casa loro. Cosa risponde?
Le storie delle donne, come degli uomini vittime di tratta, sono storie di sofferenza, di povertà, di disagio non solo economico, ma a volte anche familiare. Chiediamoci: cosa farei al loro posto? Ad oggi io, Martina, dico che sarei partita, per cercare qualcosa di più.
L’altra domanda da farsi è: se quel ragazzo che lavora 10 ore al giorno nei campi per 90 euro al mese fosse mio figlio? Se quella mamma del Kenya - la Comunità ha un progetto di recupero anche qui - che si prostituisce per 50 centesimi, 1 euro, nei retro dei bar, per pagare la scuola ai suoi bambini, fosse mia sorella?
Sono persone come noi, che hanno un nome, una storia, dei desideri. Ma cosa ne è dei tuoi sogni quando devi attraversare il mare, quando viene utilizzata la violenza contro di te? Hanno il diritto di essere persone e di avere una dignità in quanto persone.
Martina Taricco, psicoterapeuta, animatrice generale del Servizio antitratta della Comunità Papa Giovanni XXIII.
— Come si accompagna chi si porta dentro ferite così grandi?
Stando accanto. È molto difficile, ma nei nostri percorsi di accoglienza due cose fanno la differenza. Primo, costruire un rapporto di fiducia. Parliamo di persone che vengono vendute dalla famiglia o che sono preda di trafficanti. È ovvio che non si fidino di nessuno. Secondo - ed è il lavoro più grande - aiutarle a non percepirsi solo come delle vittime. Ovvero non lasciare che la ferita ti identifichi; allora fioriscono di nuovo i sogni, i desideri... I percorsi di autonomia più belli sono stati quelli di chi è riuscito a fare questo salto, a percepirsi non come vittima, ma come protagonista della propria vita. È un salto difficile - le cicatrici nascono da sofferenze a volte inenarrabili - ma possibile.
Barbara Sartori
Pubblicato il 5 febbraio 2025
Ascolta l'audio