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«La mafia si combatte facendo il proprio dovere»

fiam

“Fare il proprio dovere, anche nei lavori più semplici, nel vostro caso, nello studio. Accettando i sacrifici e la fatica che questo comporta”. La mafia si combatte anche così: parola di Fiammetta Borsellino, la terzogenita di Paolo - il magistrato ucciso a Palermo in via D’Amelio il 19 luglio 1992 insieme alla sua scorta - intervenuta all’Università Cattolica nel ricco programma di eventi della Settimana del Dono, che prosegue fino al 10 ottobre (nella foto sopra, durante il suo intervento, con alle spalle la foto del padre Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone).

Introdotta dall’assistente pastorale don Luca Ferrari nell’ambito del suo corso di teologia sul tema “Vale la pena vivere e morire per la giustizia?”, ha portato la testimonianza del padre, magistrato appassionato, che viveva il suo lavoro non come “arida attività burocratica” ma unendo rigore ad umanità. “Cercava di far uscire la luce anche dalla persona che aveva sbagliato strada, perché nessuno nasce mafioso, a volte non si ha scelta, quando si nasce e si cresce in un contesto in cui il solo linguaggio è quello della violenza”.

«Mai gli avremmo chiesto di rinunciare»

Una passione, quella di Paolo Borsellino, che aveva contagiato tutta la famiglia. “Mai gli avremmo chiesto di rinunciare, di fare altro, anche se condividevamo il clima di pericolo e di paura che il suo lavoro comportava”. Fiammetta Borsellino - che alla morte del padre aveva 19 anni - definisce sé ed i fratelli Manfredi e Lucia fortunati, “perché rispetto ad altri figli, il cui padre è stato ucciso che erano molto piccoli, noi avevamo dei ricordi e per questo oggi siamo qui a raccontare”. È una sorta di eredità, quella di attraversare l’Italia per non far cadere l’attenzione sulla pericolosità delle organizzazioni criminali, che cambiano veste, ma sono ancora vive e vegete e - soprattutto - non sono confinate in determinate aree geografiche. “Mio padre e i suoi colleghi avevano già capito che la mafia iniziava ad avere partecipazioni azionarie in grandi aziende del Nord”. Il principale settore di guadagno restano le droghe. Si usa la Rete, cambiano le modalità. Ma i danni provocati sono gli stessi. “Le droghe - ricorda la Borsellino - non fanno sconti a nessuno, riguardano i figli dei ricchi, dei poliziotti, dei politici e non solo quelli delle periferie”.

luca don ferrari e fiammetta borsellino

Don Luca Ferrari introduce Fiammetta Borsellino all'incontro in "Cattolica".

«Ottimista fino all'ultimo respiro»

Le nuove generazioni sono il principale target delle mafie e non a caso Paolo Borsellino ai giovani voleva anzitutto arrivare. Amava insegnare, non perdeva occasione per incontrarli. La sua ultima lettera è indirizzata ad una professoressa che gli aveva scritto lamentandosi del fatto che, all’ultimo, lui aveva dovuto rinunciare ad un incontro programmato con i suoi studenti. “Bisogna essere ottimisti - aveva però replicato - perché i giovani oggi hanno una consapevolezza molto maggiore di quella che avevo io alla loro età”. Dodici ore dopo, sarebbe stato ucciso. “Eppure, non si stancava di essere ottimista”.
Un impegno granitico al servizio della giustizia e della verità, il suo, nonostante certi ambienti remassero contro il lavoro del pool antimafia creato da Rocco Chinnici, il primo di una serie di magistrati e poliziotti morti ammazzati dagli anni Ottanta in poi: Ninni Cassarà, Beppe Montana, Pio La Torre, Giovanni Falcone, per fare alcuni nomi. “Prima ancora che dalla mafia, mio padre - e gli altri - sono stati uccisi perché sono stati lasciati soli”. Lo diceva lui stesso: “La mafia mi ucciderà quando i miei colleghi glielo permetteranno”. Parole pesanti come macigni .L'indagine sulla sua morte è, denuncia la figlia, zeppa di lacune grossolane, frutto di un grave depistaggio comprovato, nel tempo, da molteplici evidenze. E con la morte di Borsellino si è sentita sola e abbandonata anche Rita Atria, la giovane - nata e cresciuta in una famiglia mafiosa - che dopo aver perso il padre e il fratello per questioni di droga diventa collaboratrice di giustizia. Le sue rivelazioni permettono ai giudici di firmare centinaia di arresti. Trasferita a Roma, tagliati i ponti col passato, Rita ha come unico riferimento Borsellino, “un secondo padre, per lei”. La sua assenza non viene colmata. “Un isolamento, una solitudine, che la portano a commettere un gesto estremo, tanto da essere considerata la settima vittima della strage di via D’Amelio”.

Fiammetta Borsellino a Piacenza

 Fiammetta Borsellino durante il suo intervento alla Settimana del Dono in "Cattolica".

«Dite no alle politiche che investono sui centri commerciali anziché sulla cultura»

Eppure il coraggio di Rita resta esemplare di come si possa combattere una mentalità mafiosa. Se la mafia - diceva Giovanni Falcone - attecchisce laddove lo Stato è tragicamente assente, dove non svolge il suo ruolo di tutela dei diritti della dignità di ogni essere umano, c’è tuttavia qualcosa che ognuno di noi può fare per contrastarne le dinamiche. Fiammetta Borsellino invita gli universitari che affollano l’aula a guardare anzitutto dentro se stessi: “Quando cediamo alla sopraffazione, alla prepotenza, adottiamo comportamenti mafiosi”. Li esorta a vigilare sulla tentazione dell’indifferenza: “Anche voltare lo sguardo, dire «non mi interessa» è una forma di consenso”. Così come il pericolo dell’emotività del momento. “È facile indignarsi nell’immediatezza di una strage, partecipare numerosi ai funerali delle vittime, ma l’impegno va mantenuto nel tempo: è come l’amore, non bisogna darlo per scontato, bisogna alimentarlo”. Anche se non ci sono più le bombe, anche se non ci sono le sparatorie, le mafie sono all’opera, rafforzano il loro potere alleandosi con realtà economiche e politiche. Ai giovani Fiammetta Borsellino lascia un’ultima consegna: “Dite no alle politiche territoriali che non investono sulla cultura, sullo sport, sulla musica, su attività e spazi di aggregazione, mentre investono sui centri commerciali. Le mafie si nutrono di ignoranza”.

Barbara Sartori

Pubblicato il 9 ottobre 2025

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