Valentino Rossi: «Il nostro protettore ha fatto un grande lavoro»
"Non ho mai avuto tanta paura in tutta la mia carriera. Riprendere è stata dura. Ho corso il rischio più grosso della mia carriera, il santo dei motociclisti ha fatto un grande lavoro". Così Valentino Rossi, uno dei più titolati piloti di motociclismo, dopo il pauroso incidente al Gran Premio del mondiale d’Austria. La moto del pilota Franco Morbidelli gli è passata a 300 all’ora, a pochi centimetri dalla faccia, quale scheggia impazzita del violentissimo urto con la moto di Johann Zarco. Incolume per un soffio dunque, per pochi centimetri. Più che umano lo spontaneo ringraziamento al santo dei motociclisti, che deve essere intervenuto anche domenica scorsa con Maverick Vinales costretto a saltare giù in corsa dalla sua Yamaha rimasta senza freni.
San Colombano dal 2002 è il protettore dei motociclisti
La sua nomina ufficiale a Patrono dei motociclisti risale al 23 novembre 2002, attraverso una cerimonia a Passo Penice, davanti alla statua raffigurante il Santo che campeggia sul piazzale. Presente il primate d’Irlanda card. Cahal Brendan Daly, in visita a Bobbio. L’investitura fu resa possibile grazie all’interessamento degli Amici di San Colombano di Bobbio - allora presidente Agostino Zanetti, già fautore dell’installazione, a sue spese, della statua del Santo e della Federazione motociclistica italiana. Immancabile il coinvolgimento di mons. Piero Coletto.
Il legame tra Rossi e Bobbio
Lo scampato pericolo ha creato un link tra il campionissimo Valentino Rossi e San Colombano. Ma esiste un’ulteriore relazione tra i due. Il presidente Zanetti acquistò, infatti, un cimelio, consistente nel pezzo di una moto utilizzata dal pilota, con impresso il 46, suo marchio identificativo, e lo diede al bar-ristorante Lo Scarpone, ove fu tenuto in esposizione fino alla sua chiusura. Chiaro collegamento tra il campione e il patrono dei motociclisti, la cui statua distava pochi metri.
Il padre di Valentino Rossi ha raccontato in un’intervista che la scelta del 46, considerato il più grande simbolo della carriera motociclistica del figlio, viene da lontano, da quando, l’ancora piccolo Valentino che guardava le gare del Giappone in piena notte, fu colpito dal trionfo di un pilota che, partito ultimo, appunto col 46, arrivò primo. Da allora decise che sarebbe stato il suo numero di gara. Gli è rimasto sempre fedele, anche nelle annate in cui ha avuto la possibilità di sfoggiare l'1 di campione in carica.
Simbolicamente Valentino è stato dunque per anni molto vicino a San Colombano, che - piace pensarlo - nel corso dell’incidente gli ha tenuto una mano sopra la testa. Colombano fu instancabile viaggiatore in Europa, caratteristica apprezzata e condivisa dagli odierni motociclisti, sempre pronti a partire alla conquista di nuove mete, desiderosi, anche se spinti da motivazioni diverse da quelle di Colombano, di affrontare l’incognito con lo stesso suo indomito spirito così determinato a non arrendersi di fronte ad alcuna difficoltà e a offrire disponibilità al confronto con chiunque.
Nel clero piacentino-bobbiese don Silvio Pasquali, da sempre appassionato motociclista, costituisce l’interprete più efficace delle motivazioni che legano i motociclisti al loro patrono. Coi suoi viaggi di solidarietà Raid for Aid coniuga esemplarmente passione motociclistica e Vangelo.
Luisa Follini
Pubblicato il 26 agosto 2020
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