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Fabbri a Cives: per capire il conflitto russo-ucraino occorre entrare nella psicologia dei due popoli

fabbri

Uno sguardo critico sulla politica internazionale all’Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano insieme a Cives e al giornalista ed analista geopolitico Dario Fabbri. Fabbri ha collaborato con la rivista Limes ed è stato curatore della rivista Scenari, inoltre è editorialista del quotidiano Domani, collaboratore di Open e fondatore di “Domino. Rivista sul mondo che cambia”.
È partita dunque la prima lezione dell’edizione Cives 2022/2023 dal titolo “Zona franca”, la prima lezione aperta alla cittadinanza è stata anche l’occasione per presentare al pubblico l’importante lavoro degli organizzatori che da oltre 20 anni sono impegnati a realizzare lo spazio di educazione civica voluto dalla diocesi di Piacenza e Bobbio in collaborazione con l’Universita Cattolica e la Fondazione. Nel primo incontro Dario Fabbri ha svolto un’approfondita indagine sul conflitto russo-ucraino, addentrandosi in modo semplice ma approfondito in un’analisi sui popoli e sul loro spazio vitale. Queste le considerazioni.

Ma come siamo arrivati alla guerra in Europa

“Uno sbaglio frequente è quello di considerare le guerre motivate solo da ragioni economiche, ma non è così e la guerra russo-Ucraina ne è una dimostrazione. I popoli sono artefici del loro destino e delle loro espressioni politiche, i russi hanno creato Putin e non viceversa, le popolazioni fanno sempre ciò che vogliono anche quando si dotano di regimi crudeli. Per capire questa guerra bisogna calarsi nel pensiero russo e nella loro psicologia collettiva. Per la popolazione russa, gli ucraini sono parenti stretti parte della loro famiglia, sicuramente con un’importanza minore e che da sempre fanno ciò che vogliono i russi. Per questo era intollerabile un avvicinamento agli Stati Uniti e alla Nato da parte dell’Ucraina, i russi hanno interpretato una simile aspirazione come un vero e proprio tradimento. Quello tra Russia e Ucraina è un rapporto patologico, reso ancora più intollerabile da recenti leggi che declassavano la lingua russa, parlata peraltro da molta parte della popolazione, a favore dell’idioma ucraino. Da questi elementi culturali distorti nasce l’esigenza di un conflitto. Dal punto di vista strategico inoltre l’Ucraina rappresenta uno stato cuscinetto per la Russia, una barriera naturale a protezione dell’Occidente europeo. Vivere in un enorme altopiano senza barriere sviluppa una profonda insicurezza nelle popolazioni residenti. In Ucraina ci sono stati storicamente vaghi momenti di resistenza, ma è mancata la formazione di uno stato nazionale”.
“La Russia al contrario - dice Fabbri - ha sempre sviluppato valori imperialistici. Probabilmente i russi non avevano intenzione da subito d’invadere l’Ucraina, ma di ottenere un riconoscimento della Crimea, l’autonomia del Donbas e l’accettazione della lingua russa oltre ad un immediato allontanamento dalla Nato. Il governo russo ha pensato di trattare queste soluzioni in prima battuta con gli Stati Uniti che, sordi e forse impotenti a prendere simili decisioni, hanno impedito anche agli ucraini di trovare soluzioni mediate dando per certa una imminente invasione da parte di Putin, che aveva già schierato sul confine ucraino importanti forze militari. A questo punto la Russia invade l’Ucraina, dando sfogo alla più classica delle espressioni umane: la guerra.

La Guerra strategica e tattica

“Dunque un fraintendimento culturale e antropologico dei russi spinge un governo che schiera 170 mila uomini male addestrati ad invadere un paese che conta 40 milioni di abitanti, senza dubbio pensando di non trovare alcuna resistenza e credendo di essere accolti, poiché entrambi i popoli appartengono allo stesso ceppo e parlano la stessa lingua. Ad oggi possiamo affermare che sul piano tattico la Russia sta vincendo questa guerra, i russi hanno infatti annesso circa il 20% del territorio ucraino, la parte che era la più produttiva del paese. Sul piano strategico invece la Russia sta sicuramente perdendo e molto male questa guerra. Oggi la Russia non appare più come una super potenza militare, se non a livello di arsenale bellico. Inoltre ha perso la forte influenza che esercitava sul proprio stato cuscinetto, ed anche la paura dei suoi vicini più prossimi, Finlandia e Svezia, di avvicinarsi alla Nato, tornata in buona salute, è crollata. Infine, l’Europa le ha chiuso le porte economiche. La Russia a questo punto dovrà trovare altri canali commerciali e ovviamente non potrà che rivolgersi alla vicina Cina, probabilmente in un rapporto di sudditanza con un paese che non le è mai stato amico”.

Chi sta vincendo questa guerra 

“La Cina è sicuramente soddisfatta di come si stanno mettendo le cose, in una prima fase era forse preoccupata per i suoi molteplici interessi nella regione Ucraina e per le sanzioni secondarie minacciate, ora vede invece svilupparsi notevoli possibilità economiche. I cinesi non sono alleati dei russi, anzi li vedono come una popolazione europea ai confini asiatici e il fatto che il governo russo si stia impantanando in una guerra molto più lunga del previsto le può stare solo bene. Gli europei dal canto loro vedono ridimensionata la potenza Russa, anche se paesi come la Francia non vedono di buon occhio il rafforzarsi della Nato in Europa, desiderando manifestare una loro maggior influenza”.
“La Germania - prosegue il giornalista - come l’Italia dipendevano moltissimo dagli idrocarburi russi e questa collaborazione tra la tecnologia tedesca e la potenza energetica russa non era sempre gradita agli Stati Uniti. In Italia inoltre è sempre esistito un certo atteggiamento anti americano, anche perché la Russia è lontana e non spaventava poi tanto. La Gran Brettagna, dal canto suo, ha sempre considerato nemica la Russia e come gli Stati Uniti, che combattono una guerra per procura, sono soddisfatti dell’indebolimento della potenza russa e dal ritorno in auge della Nato, anche se c’è una certa preoccupazione per la prossima sfida globale, quella con la Cina”.

Perché i russi non si ribellano 

“Prima di tutto dobbiamo smetterla di pensare che tutto il mondo la pensi come noi occidentali, ci sono popoli fortemente imperialisti per i quali la gloria nazionale è ancora importantissima. I russi da sempre fanno la rivoluzione in situazioni specifiche, ovvero quando percepiscono che il loro paese è stato umiliato e sconfitto. Putin rischierà davvero un dissenso interno solo se perderà questa guerra, perdendo anche il prestigio internazionale. Gli americani sanno benissimo questo e sanno di rischiare molto spingendo il leader russo sino al punto di non ritorno e dunque stanno cercando di scongiurare il rischio di una guerra molto più devastante, valutando la possibilità di aprire spiragli alla Russia per poi utilizzare questa relazione contro il loro acerrimo nemico economico: la Cina”.

Stefania Micheli

Nella foto, Dario Fabbri durante il suo intervento a Cives.

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