Con la morte di Joseph Ratzinger si conclude tutta un’epoca della storia della Chiesa. Con lui finisce il Novecento teologico.
La sua teologia passa dalla contemporaneità alla storia. Cessa di essere solo la sua, per essere consegnata a chi saprà utilizzarla o vorrà valorizzarla. Il suo modo di pensare la fede e dirla è già patrimonio, non solo della Chiesa cattolica, ma di tutta la cristianità.
Ratzinger è stato indubbiamente l’ultimo grande teologo europeo, figlio di quella cultura cristiana che ha cercato incessantemente di lavorare per una civilizzazione dell’Europa ispirata dai valori cristiani.
Il modo di porre i problemi teologici, di impostare i problemi nel dialogo con la cultura contemporanea, sono tipici del Novecento.
Gli stessi temi che ha affrontato nel suo lavoro teologico, sono quelli segnati dalle grandi questioni che la teologia accademica ha affrontato nel secondo millennio e che ha visto, proprio nella seconda metà dello scorso secolo, una ripresa critica a tutto campo: il rapporto fede e ragione, dogma e storia, rivelazione e religione, autorità e libertà nella chiesa, Vangelo, società cristiana e chiesa, tradizione e cultura.
Ha riflettuto lungamente sui fenomeni della secolarizzazione, della crisi di fede, della mondanizzazione della Chiesa. Come ha dedicato ampio spazio alla riflessione sulle radici cristiane dell’Europa, sul ruolo della chiesa e della sua teologia all’interno della cultura occidentale, sul difficile rapporto tra chiesa e modernità.
Sono i grandi temi su cui Ratzinger ha lavorato una vita e che potevano sorgere solo all’interno di quella cultura europea fecondata dalla fede cristiana.
Con papa Francesco siamo in tutt’altro contesto. La Chiesa e la sua teologia non è più eurocentrica. Siamo in un orizzonte planetario.
Nella vecchia Europa siamo rapidamente passati da una società cristiana ad una società multietnica, multiculturale, multireligiosa.
Siamo usciti da una Chiesa di maggioranza, costantiniana, e siamo entrati in una chiesa di minoranza, di diaspora in casa propria.
Il passaggio di consegne tra papa Benedetto e papa Francesco è stato in qualche modo profetico. Un mondo è tramontato e un’epoca nuova sta muovendo i primi passi.
Lo stesso papa Francesco molto lucidamente lo ha detto: “Il nostro tempo non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”! (Discorso alla Curia romana, 21-12-2019)
Del mondo del giovane studente di teologia che muoveva i primi passi verso il sacerdozio e la carriera accademica è rimasto ben poco.
Il contesto ecclesiale del Concilio e del primo post-Concilio, che l’ha visto come assoluto protagonista fino a farne uno dei più importanti teologi cattolici a livello internazionale, ormai non è più lo stesso.
Le condizioni storiche e sociali che l’hanno visto presiedere, come Prefetto, la Congregazione della Dottrina della fede per ben 24 anni e che l’ha proiettato, come notorietà, oltre i confini della stessa Chiesa, sono radicalmente diverse.
Eppure, della teologia di Joseph Ratzinger ne avremo ancora bisogno. Perché è sempre stata, pur nelle diverse posizioni che ha ricoperto, una continua meditazione sui fondamenti della fede cristiana.
La sua è stata una riflessione tutta interna alla fede.
Il mondo con la sua storia è sempre restato sullo sfondo, così come le grandi questioni sociali non sono entrate nella sua riflessione teologica.
Le fratture della storia, i capovolgimenti culturali, i movimenti collettivi, non hanno interrogato la sua fede. Al contrario, la sua fede ha illuminato tutto il resto.
E la sua teologia è stata la risposta della fede alle grandi questioni dell’uomo.
Ratzinger non sentì mai il bisogno di far parte di un movimento, di seguire una scuola filosofica o teologica. Non fece mai nulla per essere al passo col proprio tempo. Questo è stato il suo limite, che è diventato poi il suo più grande pregio.
Perché se si è troppo attuali si finisce per passare insieme all’attualità.
Da questo punto di vista il pensiero di Ratzinger/Benedetto può sfidare l’usura del tempo proprio per il carattere di estraneità al mondo della sua ricerca intellettuale.
Tanta teologia, inculturata, contestualizzata, è invecchiata presto. Tante ricerche utili, contemporanee al proprio tempo, sono diventate oggi inutilizzabili.
La teologia di Ratzinger possiede invece dei caratteri che la destina fra i classici. Ha una vocazione contemplativa e un andamento meditativo.
Nei suoi saggi procede cauto, penetra intellettualmente il tema oggetto di riflessione, controlla continuamente se il suo tragitto interiore coincide con quello della Chiesa.
Non c’è spazio nella sua riflessione per i sentimenti personali, per la propria esperienza soggettiva.
Padroneggia le categorie culturali che usa ma non si entusiasma per quelle. Nessun sistema filosofico per lui è una chiave magica che apre i misteri della vita.
Al contrario: è la fede cristiana che contiene in sé elementi filosoficamente rilevanti.
Per questo Ratzinger la può offrire come contributo positivo alla costruzione dello spirito del tempo, all’edificazione della civiltà, alla formazione degli assetti sociali.
Ratzinger non ha scritto una grande sintesi teologica. Non ha mai amato le grandi sistematizzazioni di pensiero.
Il saggio è stato il genere letterario da lui preferito. Però è stato capace di offrire, nel breve spazio di un saggio, le chiavi di lettura essenziali su una specifica questione.
Nella sua capacità di penetrazione intellettuale, è sempre riuscito a far emergere l’essenziale di un determinato tema.
Nel dettaglio di un argomento, passa sempre a delineare la visione di insieme che consente di percepire la bellezza complessiva e la semplicità costitutiva della fede cristiana.
Non è raro trovare nei suoi scritti, disseminate un po’ ovunque, delle autentiche perle di grande valore contenutistico e di eleganza formale.
Nel suo magistero teologico si è sempre preoccupato di salvaguardare l’originalità cristiana su tutto, di rispettare la priorità del mistero di Cristo e della sua offerta salvifica, di difendere l’azione della Chiesa.
Si è battuto per la purezza della vita cristiana e per l’ortodossia della fede.
In questo ha mostrato una capacità di giudizio straordinaria. Ogni proposta teologica, nella sua attività di vigilanza alla Congregazione per la Dottrina della fede, non è mai stata valutata solo da un punto di vista teorico, ma soprattutto a partire dalle conseguenze pratiche che avrebbe comportato sul vissuto della Chiesa.
Da questo punto di vista è stato un uomo-contro. La sua preoccupazione maggiore è stata sempre quella di difendere il Christus Totus di agostiniana memoria.
Nella sua attività di teologo ha avuto sempre bisogno dei suoi libri (anche da Papa), di spazi ampi di silenzio per la riflessione e la lettura, di ambienti separati per l’elaborazione dottrinale.
Mai ha interpretato il suo essere teologo come quello di un intellettuale. Si è posto sempre al servizio della Chiesa.
Ha considerato dunque la professione del teologo un ministero.
Ha vissuto una esistenza quasi monastica, solitaria, lontana da persone e cose. Per questo a volte ha sbagliato nella scelta dei collaboratori.
Si è fidato troppo di persone non all’altezza della situazione (cfr le gaffes del suo Pontificato, gli scivoloni mediatici, la cattiva fama con cui ha dovuto combattere). Sempre ha pagato di persona. E ha saputo rinunciare al Pontificato quando si è accorto che non poteva più governare efficacemente, e come avrebbe voluto, la Chiesa.
Al venir meno delle sue forze fisiche e spirituali è stato capace di un atto coraggioso, rivoluzionario e di estrema libertà anche da se stesso.
In questo ha dato una testimonianza unica, con una capacità di visione e di lungimiranza eccezionale.
A cura di
Lucia Romiti
Nota bio-bibliografica
Nato a Marktl nel 1927 e morto a Roma nel 2022. Fu papa, con il nome di Benedetto XVI dal 19 aprile 2005 al 28 febbraio 2013.
Dopo l’ordinazione sacerdotale (1951) discusse il suo dottorato con una tesi su S. Agostino (1953) e la sua tesi di abilitazione su S. Bonaventura (1955).
Fu avviato all’insegnamento universitario, prima a Frisinga (1957) e a Bonn (1959), poi Munster (1963), a Tubinga (1966) e a Ratisbona (1969).
Partecipò al Concilio come teologo del Cardinal Frings e poi come perito.
Nel dopo Concilio fondò la rivista Communio, insieme a von Balthasar e De Lubac, per dar voce a una posizione moderata all’interno della teologia cattolica.
Fu ordinato vescovo di Monaco e creato cardinale da Paolo VI nel 1977.
Dal 1981 al 2005 ricoprì l’incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, chiamato da Giovanni Paolo II.
Dopo gli anni del pontificato (2005-2013), seguirono gli anni del silenzio e della preghiera (2013-2022), ritirato nel piccolo monastero Mater Ecclesiae all’interno della Città del Vaticano.
Opere principali
Popolo e Casa di Dio nella Dottrina della Chiesa di sant'Agostino, 1953
La teologia della storia di san Bonaventura, 1955
Introduzione al cristianesimo, 1969
Elementi di teologia fondamentale, 1986
Dio e il mondo (colloquio con P. Seewald), 2002
Il sale della terra (colloquio con P. Seewald), 1997
La trilogia su Gesù di Nazareth, 2007, 2011, 2012
Pubblicato il 31 dicembre 2024
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