Lavarsi gli occhi,
il primo passo della Quaresima 2020
Alzarsi e lavarsi gli occhi per riprendere la visione della realtà dopo il sonno: lo facciamo tutte le mattine. È il primo gesto quando iniziamo un nuovo giorno. Ed è rassicurante.
In questo tempo quaresimale lavarsi gli occhi assume un significato simbolico straordinario come ci racconta l’episodio del cieco nato che recupera la vista grazie al miracolo di Gesù. È il richiamo alla possibilità di rinnovare lo sguardo, il pensiero, i sogni, le relazioni. La possibilità di vedere ciò che conta.
E il primo passo contiene un’indicazione essenziale: togliere, rimuovere, ripulire gli occhi dalla convinzione che vedere sia un atto naturale, spontaneo, scontato.
Vedere e, subito dopo, guardare vanno rifondati: non è detto che i nostri occhi vedano davvero ciò che deve essere visto. Io che sono miope, ed ora anche presbite, continuo a cambiare occhiali. Mi sono abituata a una vista imperfetta, so che in quello che vedo c’è molto di più di ciò che posso cogliere. Eppure mi accontento.
Mi alzo, tiro le tende: il mio giardino è lì, uguale a ieri e all’altro ieri. Non vedo anima viva. Sono tutti isolati nelle case ad aspettare la fine dell’epidemia. Non si esce, si ascoltano le preghiere su WhatsApp, la messa su Facebook.
Tutto scorre sotto gli occhi, con una scontata velocità digitale, un saltare continuo tra post diversi in cui perdere la vista.
Ma siamo in Quaresima. Per qualcuno questo è un tempo triste (il solito modo di vedere le cose!), per altri è, soprattutto, un tempo favorevole. Un tempo proiettato sulla Pasqua, l’evento più straordinario della storia. è un tempo impegnativo, tempo di palestra, di allenamento, tempo di lotta, di preparazione.
Siamo abituati ad annunciare cambiamenti: da domani mi metto a dieta, da domani farò solo cose intelligenti, da domani penserò solo a me stesso, da domani selezionerò le persone con cui vale la pena parlare, da domani cambierò il mondo...
Quante volte abbiamo cercato di ricominciare la nostra storia, c’è un momento in cui vediamo che non possiamo andare avanti al solito modo, capiamo che dobbiamo cambiare, convertirci, questa è la parola giusta, e poi di nuovo ricadiamo nell’abitudine. È
come tenere in ordine la casa. Dopo aver messo a posto, pulito, lustrato, dopo aver gettato lo sguardo sulla casa perfetta, un attimo dopo vediamo impronte di fango sul pavimento, il lavandino pieno di bicchieri, la cesta strapiena di panni sporchi, il cumulo di roba da stirare che avevamo azzerato la sera prima e ora di nuovo ci sovrasta... non c’è una volta per tutte.
Tutte le volte si ricomincia. Imperfetti. Siamo così, tutti, discontinui, fallibili e incostanti. È incredibile quanto appaia disordinata e confusa la nostra anima quando ci fermiamo a guardarla. Inquieta, debole, incostante e smemorata, fragile, sola. Ci portiamo dentro un’incapacità quasi biologica di tenere insieme le dimensioni di cui siamo fatti: la ragione, il cuore, l’anima, il corpo.
Ciascuno se ne va per la sua strada, una parte tira l’altra, la strattona senza tante spiegazioni. E noi cediamo, distrattamente, compiacendo agli eventi.
Un momento vince la ragione, il momento dopo sono le emozioni a farla da padrone, poi il sentimento detta legge, l’anima è l’ultima a parlare, relegata in soffitta come le cose vecchie, che ogni tanto riscopriamo con un po’ di nostalgia.
Abbiamo perso la capacità di lottare, di affrontare la sfida, difficile e sempre aperta, di tenere insieme tutto quello di cui siamo fatti, il valore della nostra vita.
Questa cosa appare più chiara nelle esperienze limite (la malattia, il dolore, la paura) quando andiamo letteralmente in pezzi e ci troviamo frantumati, senza un vero appiglio, e gli occhi ci servono soprattutto per piangere.
Scrive Eugenio Borgna, uno psichiatra al cui pensiero attingo spesso, che le lacrime, e non la vista, fondano l’essenza degli occhi “e nelle lacrime si esprime, e si realizza fino in fondo, l’orizzonte di senso della condizione umana”.
Le lacrime fanno galleggiare le inquietudini e le speranze infrante “la nostalgia del silenzio e delle parole del silenzio, che solcano i mari estremi dell’anima”.
Le lacrime puliscono gli occhi, all’inizio velano la vista, la rendono acquosa, poi rivelano, soprattutto se incrociano lo sguardo di un altro che ci riconosce, ci scuote, ci abbraccia, ci incoraggia.
Gli occhi vedono, tra le lacrime, una speranza.
Itala Orlando
Pubblicato il 12 marzo 2020
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