Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

Notizie Varie

Notizie Varie

Educare ai social network: la rete tra risorse e falsi miti

marcinno fagnoni

“I dispositivi digitali sono facili da usare per la loro immediatezza, sono veloci nel funzionare e proporre continuamente nuove idee, esperienze e soluzioni per ogni necessità. Sono così intelligenti che sembrano conoscere, meglio di noi stessi, cosa ci serve e cosa ci piace”. È questa una delle premesse che la psicologa Paola Marcinnò e l’educatrice Fausta Fagnoni hanno messo in risalto nell’incontro svoltosi, il 23 gennaio, all’Associazione “La Ricerca”. Di fronte ad un pubblico attento le due esperte hanno sottolineato come siamo all’interno di una rivoluzione che non può fare riferimento ad eventi del passato perché è una realtà del tutto nuova. “Il 79% dei possessori di uno smartphone controlla il proprio apparecchio non più tardi un quarto d’ora dopo essersi svegliato ogni mattina”, afferma Nir Eyal, autore americano di origine israeliana, che ha scritto importanti testi su “behavioral engineering”, l’ingegneria comportamentale.
È questo uno dei dati presentati dalle relatrici che hanno poi sottolineato come quasi un italiano su tre viene ripreso almeno una volta al mese dal proprio partner e persino dai propri figli perché sempre attaccato allo smartphone. È una delle evidenze che emerge dal rapporto Global Mobile Consumer Survey 2016 di Deloitte, una ricerca su 30 Paesi che delinea i trend, le abitudini e le preferenze nell’utilizzo di smartphone, che ci incorona come il paese europeo in cui si litiga più spesso a causa del cellulare.
Come si è riusciti a stravolgere le nostre abitudini in questo modo?
Cosa ha permesso che noi fossimo così tanto agganciati alle tecnologie?
Perché arriviamo a controllare il nostro smartphone anche 150 volte al giorno?
Cosa ci aggancia? Ecco gli interrogativi proposti da Marcinnò e Fagnoni.
“Il mondo digitale può creare nuove abitudini e può manipolare il comportamento degli uomini - hanno aggiunto le esperte -. Le abitudini fanno parte della nostra vita molto più di quanto pensiamo: la grande capacità delle abitudini è infatti proprio quella di nascondersi alla vista pur essendo in funzione. Ci fanno risparmiare tempo e attenzione, permettendoci di concentrarci su cose più interessanti e utili; sono alla base dell’apprendimento, soprattutto di comportamenti complessi”. I prodotti digitali incluse app e serie tv, secondo le esperte, sviluppano negli utenti una forma di gratificazione all’uso e un’abitudine a ritornare. Per chi ha responsabilità educative comprendere come funzionano le tecnologie è, per le relatrici, di fondamentale importanza. Significa diventare consapevoli del nostro potere di scelta come adulti e poi, nei nostri diversi ruoli, come educatori. Diviene quindi necessario conoscere le regole di quell’ambiente e anche le leggi che presiedono l’ambiente digitale. La rete è infatti un ambiente senza confini in cui può entrare e uscire di tutto ovunque e in qualsiasi momento. Inoltre qualsiasi parola, pensiero, immagine, video proprio perché digitali possono essere modificati in qualsiasi momento e se ne può perdere il controllo.
Allora cosa fare? È la domanda che sorge spontanea. Una soluzione Marcinnò e Fagnoni l’hanno proposta nel modello del delfino per ogni genitore. Il delfino apre la strada e guida il figlio, spinge il piccolo e gli sta accanto, pian piano lo allena, lo incoraggia e quando il figlio fa progressi il delfino si fa indietro. Si tratta quindi, per le esperte, di diventare genitori influencer. Cioè mostrare curiosità e interesse per il mondo virtuale, amare i figli per quello che sono e consegnare loro la speranza di un futuro possibile, senza lasciarli soli. I suggerimenti della psicologa e dell’educatrice sono dunque quelli di parlare e dialogare sempre con i figli, fare della navigazione in rete una esperienza di famiglia, esattamente come vien fatto per la TV, educare i figli a non dare informazioni personali su internet, infine far comprendere che la comunicazione mediata da un computer non sempre ci fa capire chi troviamo dall’altra parte dello schermo.

Pubblicato il 30 gennaio 2020

Riccardo Tonna

Ascolta l'audio   

Incontri sulle demenze per i familiari

ANZIANASIR

Una serie di incontri per approfondire le problematiche legate alla demenza: inizia il 29 gennaio la nuova iniziativa dei professionisti del Centro disturbi cognitivi e Demenze dell’Azienda Usl di Piacenza. Gli appuntamenti, tutti con inizio alle ore 17, sono aperti ai familiari e a chi assiste le persone affette da questa patologia, oltre che a tutta la cittadinanza. Si svolgeranno all’Alzheimer Cafè, al circolo Il Tulipano di via Cantarana 10.

Mercoledì 29 gennaio “I campanelli d’allarme, i fattori di rischio e la prevenzione delle demenze”, con Lucio Luchetti e Sara Barbieri

Mercoledì 26 febbraio “Gli aspetti clinici della demenza” con Natasa Dikova e Fabia Petri

Mercoledì 25 marzo “Le possibili terapie nelle demenze” con Pasquale Turano e Antonina Gorizia

Mercoledì 29 aprile “I disturbi comportamentali: strategie ambientali e relazionali/ stimolazione cognitiva e mantenimento dell'autonomia” con Laura Ballocchi

Mercoledì 27 maggio “La fase avanzata della malattia e come prevenire le complicanze” con Paolo Paolello e Antonio Lorido

Mercoledì 24 giugno “Come orientarsi nella rete dei servizi” con Andrea Albasi

Durante gli incontri, sono previste attività di socializzazione e stimolazione cognitiva informale in piccolo gruppo per le persone affette da declino cognitivo, gestite da una neuropsicologa. Poiché i gruppi sono a numero chiuso, per accedere a questa attività è necessaria la prenotazione al numero 0523.302496.

Pubblicato il 28 gennaio 2020.

Ascolta l'audio

Al «Giardino della Memoria» si commemorano le vittime dell’olocausto

 

Giornata Memoria 20

“La storia ha un suo valore immortale proprio perché trasforma, raccogliendola con obbiettività, l’esperienza in testimonianza; non opera soltanto per l’archiviazione di eventi e persone in volumi da tramandare ai posteri per custodire radici ed identità territoriali. Ma vuole farsi carico del potere dell’insegnamento che proviene da quelle esperienze, rendendosi, per l’appunto, memoria, ricordo”. Così il Prefetto Maurizio Falco si è rivolto ai tanti giovani riunitisi, nella mattinata del 27 gennaio, all’interno del “Giardino della Memoria” sullo Stradone Farnese per commemorare le vittime dell’olocausto. “La storia - ha aggiunto Falco - vuole ammonire a non riproporre fatali errori di cui l’essere umano possa pentirsi. E non ha dunque alcun senso, ad esempio, minimizzare quanto accade tra noi, derubricando episodi come quello di qualche giorno fa a Mondovì di Cuneo, in bravata da immaturi o incolti.  L’allarme è alto e alto deve risuonare in giornate come queste: perché lo sdoganamento dei peggiori istinti dell’individuo contro i propri simili si nutre dell’indifferenza verso la storia o dell’affievolimento del senso critico delle coscienze.  Tutta l’esperienza umana - ha proseguito nel suo discorso - non smette di comunicare che la base delle società democratiche è il rifiuto senza se e senza ma della violenza e della sopraffazione come strumento di potere”.
Durante la celebrazione ha parlato anche il sindaco Patrizia Barbieri. “Un Paese civile e democratico - ha detto nel suo discorso - non può che provare sgomento e vergogna, guardando a un passato segnato dal crimine delle leggi razziali, dal profilo di corpi scheletrici e violati, esibiti nella loro nudità fragile mentre attendevano il verdetto di un appello che – spesso dopo ore trascorse al freddo, in cui molti caddero per gli stenti – decretava la suddivisione tra la speranza e una fine inesorabile. Oggi più che mai, dobbiamo far sì che quei sentimenti ci esortino a non voltare mai lo sguardo dall’altra parte, ma a voler conoscere, con consapevolezza e responsabilità condivise, ciò che è stato. Ad ascoltarne il monito. A farci interpreti, a nostra volta, di un messaggio di pace. Si diventa liberi - ha evidenziato - solo nel momento in cui si è testimoni attivi di valori fondamentali come il rispetto e la pace”.
Dopo gli interventi delle autorità e la benedizione di don Davide Maloberti è stata consegnata, in memoria del signor Luigino Tavani, la medaglia d’onore concessa ai cittadini italiani, militari e civili (o ai familiari dei deceduti), deportati e internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra durante l’ultimo conflitto mondiale.
A ritirare la medaglia sono intervenuti i figli Fulvio e Pierluigi, mentre la consegna è avvenuta a cura del prefetto, del sindaco e presidente della Provincia e del sindaco del Comune di Castelvetro Luca Giovanni Quintavalla. 
Per le scuole erano presenti la Consulta provinciale degli studenti di Piacenza, il Consiglio comunale dei ragazzi di Gragnano, insieme ai rappresentanti di tutte le classi medie di Gragnano, la Prima Linguistico “C” del Liceo Gioia con la prof.ssa Graziella Magistrali, educatrici e ragazzi del Centro socio-educativo del Comune di Stradella.

IL DISCORSO DEL SINDACO PATRIZIA BARBIERI – “Lavoravo nella cucina delle SS. Dalla finestra aperta, sentii un uomo che intonava un’aria della Tosca. Poco dopo, vidi tre ufficiali che correvano e il canto si interruppe. I nazisti lo fucilarono all’istante. Venni a sapere che era la voce di un famoso tenore del Teatro dell’Opera di Bruxelles i cui familiari, qualche ora prima, erano stati mandati incontro alla morte nelle camere a gas. Ogni volta che riascolto quelle note, su di me scende il buio”. Iniziava così il racconto di Tadeusz Smreczynski (scomparso nel 2018), deportato ad Auschwitz come prigioniero politico. Dopo 40 anni di doloroso silenzio ha trovato la forza di varcare di nuovo la soglia di quei cancelli che si aprirono, agli occhi del mondo, il 27 gennaio del 1945. La durezza della sua testimonianza scalfisce ogni inaccettabile tentativo di negare l’enormità e l’orrore dell’Olocausto: “Ricordo un gruppo di uomini che urlava, mentre passava un carro sul quale giacevano, gli uni sugli altri, decine di corpi senza vita. Quello in fondo respira, gridò qualcuno, dovete tirarlo fuori! Non possiamo, fu la risposta, ormai è stato depennato dalla lista”. Questa era la quotidianità, nell’atroce e perfetta organizzazione dei campi di concentramento. L’umanità cancellata. L’esistenza priva di valore. L’indifferenza che inesorabilmente si insinua, perchè a pochi metri di distanza un fumo denso si leva a coprire tutto, in quel tragico disegno di sterminio volto a calpestare l’identità delle comunità ebraiche, a soffocare ogni forma di dissidenza ideologica, a perseguitare e segregare le minoranze e le popolazioni che resistevano in difesa dei propri territori occupati. A eliminare quanti esprimevano – nei tratti somatici, nell’orientamento sessuale, nella specificità e nel valore delle proprie radici culturali ed etniche, nella disabilità o nella malattia – una diversità rispetto all’aberrante modello della supremazia ariana. A ciascuno di loro, oggi, è dedicata questa cerimonia. Per non dimenticare, e non lo si ripeterà mai abbastanza. Perché al di là di quel filo spinato e oltre i numeri che la Storia ci consegna, ripercorrendo il destino di milioni di vittime innocenti, c’è una verità incontrovertibile e dolorosa: “Gli esecutori di questo immane delitto erano uomini come noi, come tutti”. Le parole di Pietro Terracina, superstite di Auschwitz-Birkenau mancato poche settimane fa a Roma, ci richiamano – nessuno escluso – al dovere morale e civile di onorare la memoria della Shoah ogni giorno. Nel rifiuto delle discriminazioni e della violenza, nella difesa della libertà e del pluralismo, nel rispetto delle differenze, nel contrasto alla cultura dell’intolleranza e del pregiudizio. Certo, un Paese civile e democratico non può che provare sgomento e vergogna, guardando a un passato segnato dal crimine delle leggi razziali, dal profilo di corpi scheletrici e violati, esibiti nella loro nudità fragile mentre attendevano il verdetto di un appello che – spesso dopo ore trascorse al freddo, in cui molti caddero per gli stenti – decretava la suddivisione tra la speranza e una fine inesorabile. Oggi più che mai, dobbiamo far sì che quei sentimenti ci esortino a non voltare mai lo sguardo dall’altra parte, ma a voler conoscere, con consapevolezza e responsabilità condivise, ciò che è stato. Ad ascoltarne il monito. A farci interpreti, a nostra volta, di un messaggio di pace. Per le centinaia di migliaia di deportati italiani: perché di religione ebraica, per motivi politici, come prigionieri di guerra. Per le 6000 donne uccise nella camera a gas di Ravensbruck e le decine di migliaia che prima di loro subirono, del lager femminile, le estreme conseguenze. Per i 230 mila bambini e ragazzi che si stima abbiano compiuto quel viaggio verso Auschwitz e Birkenau, provenienti da tutti i Paesi occupati dai nazisti: il 27 gennaio di 75 anni fa, ne erano rimasti 650. Tra loro le sorelle Andra e Tatiana Bucci, probabilmente sopravvissute perché le credettero gemelle. All’arrivo al campo persero la nonna, condannata subito alla camera a gas. La mamma, costretta ai lavori forzati, ogni sera si infilava rischiando la vita, perché era proibito, tra le baracche destinate ai più piccoli, per sussurrare i loro nomi: “Non voleva che li dimenticassimo o che pensassimo, come volevano indurci a fare i tedeschi, di essere solo un numero”. Quello impresso, per sempre, sul braccio e nel cuore di due bambine per le quali il lager era diventata casa, i cumuli di cadaveri intorno a loro la normalità. “Era terribile”, hanno spiegato in anni recenti, “ma dopo un po’ scatta un meccanismo di difesa”. Al punto che non piansero neppure, quando la mamma non tornò più. L’avrebbero riabbracciata solo un paio d’anni più tardi. E’ anche per quell’infanzia rubata, così come per chi non ha più voce, che oggi siamo qui con un senso di profonda e sincera partecipazione. Per tutti i testimoni di questa discesa agli inferi dell’umanità. Si diventa liberi solo nel momento in cui si è testimoni attivi di valori fondamentali come il rispetto e la pace.

IL DISCORSO DEL PREFETTO MAURIZIO FALCO –  Ho raccolto con responsabilità ed orgoglio l’invito del Ministro dell’Interno, sulla linea tracciata ancora una volta dal Presidente della Repubblica (attraverso le recentissime dichiarazioni rilasciate ad Auschwitz), di coordinare le iniziative in ambito provinciale organizzate dalle Amministrazioni comunali piacentine. Oggi la ricorrenza si intrecciava in un momento particolarmente significativo per la nostra Regione; Con il rischio di poter essere un po’ offuscata dalle forti ricadute sulla politica nazionale. E proprio per questo, ho ritenuto doveroso partecipare con un messaggio antico e nuovo allo stesso tempo. Da rivolgere non solo e non tanto a noi adulti; ma soprattutto ai nostri ragazzi. Ragazzi che non a caso sono qui non tanto per aderire ad un programma di eventi che meritoriamente la scuola ed il comune ha elaborato. Ma per cercare di capire quello scarto di senso in più che le nostre parole possono offrire alla loro comprensione. A loro che, ormai distanti più di mezzo secolo da quegli eventi, rischiano di sentirsi convocati unicamente per un rito lontano;
che appartiene piuttosto ad un’altra generazione, e che non sembra impattare più di tanto sulle loro speranze (o paure) di anime in cerca di un orizzonte certo e presente, e di un futuro sereno e globale. Ma purtroppo non è così, il rischio di un impatto forte rimane alto eccome. Basti pensare alla recrudescenza di conflittualità cui assistiamo oggi tra popoli ed all’interno degli stessi popoli; Ed alla circostanza che, intanto, tra rinnovate guerre commerciali tra antichi e nuovi alleati del nostro occidente, si chiudono i serbatoi dei posti di lavoro e gli spazi per una dignitosa convivenza civile. Avanza pericolosamente un’idea della prevalenza assoluta della ragion di parte, non di Stato, che alimenta la crescita smisurata delle disuguaglianze; Così come l’incapacità delle nostre Comunità occidentali di farsi argine a garanzia della salvaguardia della vita umana verso l’individualismo sfrenato dell’economia globale.  La storia ha un suo valore immortale proprio perché trasforma, raccogliendola con obbiettività, l’esperienza in testimonianza; non opera soltanto per l’archiviazione di eventi e persone in volumi (oggi cloud software direte voi) da tramandare ai posteri per custodire radici ed identità territoriali. Ma vuole farsi carico del potere dell’insegnamento che proviene da quelle esperienze, rendendosi, per l’appunto, Memoria, Ricordo. Vuole ammonire – quando l’esperienza è stata tragica per l’essere umano – a non riproporre fatali errori di cui l’essere umano possa così fatalmente pentirsi. E non ha dunque alcun senso, ad esempio, minimizzare quanto accade tra noi, derubricando episodi come quello di qualche giorno fa a Mondovì di Cuneo, in bravata da immaturi o incolti.  L’allarme è alto e alto deve risuonare in giornate come queste: perché lo sdoganamento dei peggiori istinti dell’individuo contro i propri simili si nutre dell’indifferenza verso la storia o dell’affievolimento del senso critico delle coscienze. Raccogliamo oggi il peso della testimonianza e la responsabilità della disseminazione, nel consegnare il riconoscimento dello Stato a chi rappresenta, nel giorno della memoria, un collegamento più forte, familiare, con la drammatica vicenda umana della shoah. E sarò pronto a ri-emozionarmi con voi giovani anche tra qualche giorno, allorché ricorderemo le vittime delle Foibe il 10 febbraio, partecipando alle meritevolissime iniziative in preparazione anche per quel giorno. So che anche in quella occasione ci sarà un riconoscimento per una testimonianza di quelle orribili pagine di storia di cui si sono macchiati gli esseri umani contro i propri simili. Ho già detto lo scorso anno che la memoria, il ricordo, sono strumenti della democrazia da utilizzare non certo per rinfocolare vendette o per rimisurare le colpe; o ancora peggio per dar vita ad una penosa contabilità degli orrori tra contrapposti schieramentiSeppur costellata da tali continue contraddizioni, e capovolgimenti delle sorti tra vittime e carnefici, tutta l’esperienza umana non smette di comunicare che la base delle società democratiche è il rifiuto senza se e senza ma della violenza e della sopraffazione come strumento di potere. E così anche oggi avremo esercitato nel miglior modo il diritto dovere del ricordare e di scrivere la Storia in maniera completa e credibile, non di riscriverla attenzione, se manterremo quella “prospettiva di lontananza emotiva” dagli eventi, (consentitemi di citare un mio vecchio professore di greco innamorato di Tucidide), che sola consente di capire e di raccontare senza essere turbati dalla vicinanza delle conseguenze dei dolori di ciascuno. Ai nostri ragazzi, infine, va il nostro sincero apprezzamento di genitori, non la solita ruffiana carezza generazionale, per averli visti con civica attenzione seguire le nostre iniziative, le nostre parole; perché speriamo che insieme a loro si rafforzi una rinnovata fiducia sociale che chiama tutti a guardare un futuro con meno ombre che pure sembrano continuamente addensarsi sul nostro orizzonte.

Pubblicato il 28 gennaio 2020

Federico Tanzi

Ascolta l'audio   

Donazione dell'associazione Amici dell'Hospice di Borgonovo per le Cure palliative

cure


Un televisore per rendere più piacevole il momento della terapia nell’ambulatorio di Cure palliative. È questo il dono che è arrivato nei giorni scorsi dall’associazione Amici dell’Hospice di Borgonovo, che da anni sostiene l’attività dell’equipe diretta da Raffaella Bertè.
“È un gesto importante, che dimostra ancora una volta attenzione e sensibilità alle persone che curiamo”.
L’ambulatorio dell’ospedale di Piacenza (dove è stato collocato il televisore) è uno dei nodi della rete locale di Cure palliative. A questo centro i pazienti fanno riferimento per visite e controlli, ma anche per terapie infusive, che possono durare circa un’ora.
“Abbiamo messo a disposizione due poltrone: il tempo di cura può essere alleggerito se le persone hanno qualcosa da guardare". I pazienti seguiti nel 2019 nell’ambulatorio di Cure palliative nel 2019 sono stati circa 120: ogni giorno ne arrivano 4/5 per sottoporsi alla terapia di supporto. Gli Amici dell'Hospice sostengono le attività dell'equipe di Cure palliative anche promuovendo serate informative per la popolazione e formazione per gli operatori.

Pubblicato il 28 gennaio 2020

Ascolta l'audio   

Il Comune Alta Val Tidone ha reso omaggio al patrono San Colombano

tesi

Nella sala consiliare del Comune di Alta Val Tidone, intitolata al compianto Alessandro Alberici, sindaco di Nibbiano prima dal 1963 al 1976 e poi di nuovo dal 2004 al 2014, si è tenuta la prima consegna della nuova borsa di studio, anch’essa dedicata alla memoria dell’indimenticato “Sandro”. L’iniziativa, promossa dall’associazione culturale Super Fluvio Padi e appoggiata dall’associazione La Valtidone, gode del patrocinio del Comune Alta Val Tidone ed è resa possibile dal finanziamento concesso da Allied International Group, il cui presidente è Valter Alberici, figlio di Sandro. Padrone di casa il sindaco Franco Albertini, che ha accolto tutte le autorità e gli intervenuti e ha sottolineato come la nuova borsa di studio serva a ricordare la figura di Sandro, che tutti in Val Tidone conoscono e ricordano con affetto poiché il suo impegno ha toccato quasi ogni settore. Di Sandro ha offerto un commosso ricordo l’assessore alla cultura Giovanni Dotti, che ha ricordato come con l’umiltà lo storico sindaco abbia saputo costruire un consenso popolare mai scalfito, sempre all’insegna del dialogo, che sapeva spiegare anche i no che qualche volta erano inevitabili.
Ad essere premiata è stata la dott.ssa Alice Garusi, laureatasi con il voto di 110 e lode all’Università di Pavia con la tesi “Revisione del codice diplomatico del Monastero di San Colombano di Bobbio”. Questa tesi ha di fatto generato un documento di grande importanza per la ricerca storica futura, in quanto, grazie ad una lunga ricerca documentaria condotta anche negli Archivi di Stato di Torino, ha corretto le molte imprecisioni che affliggevano la precedente edizione, a cura di Carlo Cipolla e Giulio Buzzi, risalente al lontano 1918. Ricordiamo che i diplomi in questione sono quei documenti storici che assegnavano al monastero la fruizione di territori ed attività produttive. Con ogni nuovo abate, o alla morte dell’imperatore e con l’incoronazione del successore, venivano stesi nuovi diplomi per ridefinire le competenze territoriali. Di conseguenza, questi documenti ci restituiscono delle preziose istantanee del passato delle nostre valli, consentendoci di definire, finalmente sulla base di solide fonti, dove si trovavano le varie attività agricole connesse all’abazia e come operavano.
Don Mario Poggi, cancelliere vescovile e parroco di S. Colombano in Bobbio, ha ringraziato la dott.ssa Garusi per il suo elaborato perché prende una gran quantità di informazioni storiche e le rende fruibili da tutti. “Questi lavori scientifici portano avanti la memoria dell’immensa opera di San Colombano, personaggio di portata davvero europea che unisce così tante comunità, e in particolare ovviamente quella di Bobbio e quella di Alta Val Tidone, avendo quest’ultima scelto l’abate irlandese come santo patrono del nuovo comune unificato”.
I documenti storici in questione riguardano il periodo fra il 614 e il 1208 e sono di ben difficile fruizione: a parte l’essere per la maggior parte custoditi all’Archivio di Stato di Torino, sono scritti in un latino non classico, contaminato da “dialetti” e germanismi dovuti alla geopolitica di allora. Rendere quella storia fruibile al grande pubblico è quindi doppiamente complicato, e don Mario Poggi ha nell’occasione annunciato che presto si intende dare nuova vita alla rivista “Archivium Bobiense”, cominciando proprio con una serie di pubblicazioni, anche in formato digitale, che prenderanno avvio da questa tesi.
“Parliamo, in fondo, delle nostre origini”, ha sottolineato Giancarlo Baruffi, presidente dell’Associazione Super Fluvio Padi, ponendo l’accento sulla conoscenza che possiamo recuperare da questi studi. “La nostra associazione si pone l’obiettivo di valorizzare le vere terre Colombaniane, da identificare con studi precisi e fonti sicure. Custodiamo il nostro territorio e la nostra storia riscoprendo il passato: una delle cose più sorprendenti è la profonda conoscenza agricola che i monaci colombaniani hanno custodito, prevenendone la scomparsa: non solo coltivavano molteplici tipi di cereali, ma addirittura riuscendo a coltivare vigneti a 1000 metri di altitudine, qualcosa che anche oggi rimane raro ed eccezionale”. Queste conoscenze non sono affatto fini a loro stesse: “Nel passato possiamo trovare soluzioni allo spopolamento delle nostre valli. A queste terre serve un’economia sostenibile, e visto che la produzione agricola in montagna sarà sempre più costosa e meno competitiva di quella di pianura, dobbiamo unire alla qualità anche un valore aggiunto, che è quello storico".
C’è ancora tanto che non sappiamo. La dott.ssa Garusi, raccontando il suo lavoro di ricerca archivistica a Torino, sottolinea: “L’opera del Cipolla si basa su 6 cartelle di documenti, che peraltro non ebbe il tempo di verificare forse a fondo come avrebbe voluto, poiché morì prima di completare il codice. Ci sono però oltre 100 cartelle di documenti ancora da esplorare”. Valter Alberici, prima di consegnare la borsa di studio, ha ringraziato tutti gli intervenuti e ha ricordato il profondo amore del padre per la sua terra. “Non è facile per me parlare di papà e rimanere imparziale. Non posso essere io a lodare il suo operato come amministratore, ma una cosa la posso dire sapendo che su questo tutti siamo d’accordo: ha dato sempre tutto per questa terra e la sua gente. Ed è per questo che anche noi continuiamo a contribuire come possiamo a tutte le iniziative che proteggono la valle dallo spopolamento: per continuare la missione di mio padre”.

Pubblicato il 23 gennaio 2020

Gabriele Molinelli

Ascolta l'audio   

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente