Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

Con i Cavalli del Mochi la nostra città tentò di riconquistare la fiducia dei Farnese

 La visita guidata alla statua di Ranuccio I Farnese

A 410 anni dalla venuta dello scultore toscano a Piacenza, successo per la conferenza con visita guidata alle statue di Ranuccio I e Alessandro a cura di Manrico Bissi

«La sanguinosa congiura di cui fu vittima Pier Luigi Farnese nel 1547, animata dall’aristocrazia ghibellina di Piacenza, compromise fatalmente i legami tra la nostra città e la potente dinastia ducale, appena insediata da Papa Paolo III: da quel momento, i sovrani consolidarono infatti la loro presenza a Parma, che assunse così il ruolo di “capitale de facto” del Ducato. La predilezione parmense attraversò tuttavia un momento di grave crisi tra il 1611 ed il 1612, quando gli inquisitori del duca Ranuccio I Farnese (bisnipote di Pier Luigi) scoprirono una vasta cospirazione contro il sovrano animata dalle principali famiglie della Città Ducale: un evento a dir poco nebuloso e controverso, passato alla storia come la Congiura dei Feudatari.
In tale occasione, molte nobili teste caddero sul patibolo di piazza Grande a Parma, e la città intera si ritrovò macchiata dal sospetto di connivenza con i congiurati. Il Consiglio
civico di Piacenza cercò allora di approfittare del momentaneo svantaggio parmense per rivendicare l’antica primogenitura ducale; con questo obbiettivo, i notabili locali proposero di ingraziarsi il duca Ranuccio I con l’innalzamento di due splendide statue in onore suo e del padre Alessandro Farnese: i due monumenti sarebbero stati collocati nella piazza Grande di Piacenza, di fronte all’antico Palazzo Gotico, e avrebbero testimoniato nei secoli l’affetto e la fedeltà dei piacentini nei confronti della dinastia ducale».
Così Manrico Bissi ha aperto la conferenza dedicata alle statue equestri del Mochi organizzata - nell’ambito dell’Autunno culturale del PalabancaEventi - da Banca di Piacenza e Archistorica a 410 anni dalla venuta del Mochi nella nostra città.

«Ranuccio I - ha proseguito il relatore in un’affollata Sala Panini - accettò con gioia l’offerta del nostro Consiglio civico, e su raccomandazione del cugino Mario Farnese, duca di Latera, nel 1612 fece arrivare a Piacenza lo scultore toscano Francesco Mochi con l’incarico di provvedere alla realizzazione e alla fusione delle due grandi statue equestri bronzee. Il Mochi lavorò ai monumenti dal 1612 al 1629, realizzando prima la statua di Ranuccio I (1612-1622) e poi quella di Alessandro (1622-1629): i due capolavori rappresentano indubbiamente la vetta artistica dello scultore toscano, e costituiscono ormai un unicum con il contesto ambientale della piazza, che proprio alla loro presenza deve il suo nome. Se le due statue equestri dei Farnese sono quindi un prezioso gioiello del patrimonio culturale piacentino, la strategia politica per cui furono realizzate si rivelò tuttavia fallimentare nel lungo termine: se è vero infatti che nel corso del Seicento i Farnese addolcirono in parte la loro diffidenza verso i piacentini (soggiornando con maggiore frequenza nella nostra città), la sede principale della Corte rimase però a Parma, che si vide infine consolidata nel suo ruolo di capitale ducale con la successiva dinastia borbonica».

Ispirati ai canoni della monumentalità classica (soprattutto la statua di Ranuccio I), con vivaci ibridazioni barocche (in particolare la statua di Alessandro), i due monumenti del Mochi si elevano su grandi basamenti corredati da bassorilievi e da iscrizioni in bronzo, che descrivono i titoli dinastici, i meriti amministrativi e le glorie militari dei due duchi farnesiani (bassorilievi descritti dall’arch. Bissi durante la visita guidata alle statue farnesiane seguita alla conferenza, ndr). «La statua di Ranuccio I Farnese, in particolare - ha continuato l’oratore -, esprime un carattere ancora piuttosto rigido, tardo-rinascimentale, riferito agli esempi della Statuaria equestre romana e in particolare al Marco Aurelio a cavallo sul Campidoglio a Roma (secolo II d.C.). Il ritratto del duca Ranuccio I, vestito con i paramenti di un condottiero romano, è molto realistico e a tratti impietoso: il volto mostra guance flosce e pesanti, allusive di un uomo che trascorreva il suo tempo tra salotti e banchetti, disertando invece i campi di battaglia. In effetti Ranuccio I non fu di certo un condottiero (a differenza del padre) e proprio per questo i bassorilievi bronzei, posti alla base del suo monumento, lo onorano attraverso le allegorie della Pace e del Buon Governo. Il lato breve del basamento è definito da una superfice curva, ed è incorniciato dallo stemma farnesiano e da due putti che reggono gli emblemi araldici di Piacenza, ovvero il dado bianco in campo rosso (ereditato dallo Stendardo di S. Antonino) e la Lupa Capitolina; sulla superfice curvilinea è posta una lamina in bronzo che riporta un’iscrizione latina celebrativa delle virtù pacifiche e politiche del sovrano».

Manrico Bissi sotto la statua di Ranuccio I


La statua di Alessandro Farnese esprime invece il dinamismo del nuovo gusto barocco, ormai diffuso nelle Corti italiane ed europee, qualificandosi come un esempio inedito, assolutamente innovativo nel panorama della Statuaria secentesca.
«Anche il duca Alessandro - ha spiegato il presidente di Archistorica - è raffigurato nelle vesti di un condottiero romano; in questo caso, però, i paramenti militari sono del tutto coerenti con la carriera personale del Farnese: nipote del re di Spagna Filippo II d’Asburgo, Alessandro crebbe alla Corte di Madrid diventando così un valoroso comandante delle armate spagnole. Distintosi con onore nella battaglia di Lepanto (1571), il Farnese venne nominato pochi anni dopo (1577) governatore delle Fiandre per conto di Filippo II: in tale veste, seppe consolidare il controllo spagnolo della regione (scossa da rivolte indipendentiste e da scontri tra cattolici e protestanti) promuovendo il trattato di Arras (1579), con il quale le Fiandre cattoliche si sottomisero alla Spagna formando il primo nucleo dell’odierno Belgio. La presenza del Farnese nelle Fiandre è però ricordata soprattutto per la conquista di Anversa, espugnata nel 1585 dalle truppe spagnole al termine di un assedio durato oltre un anno: determinate per la vittoria fu la costruzione di un grande ponte galleggiante, che bloccò la foce del fiume Schelda impedendo i rifornimenti degli assediati dal mare. A celebrazione di un tale personaggio, non stupisce che il Mochi abbia plasmato la sua statua con lineamenti nervosi e tesi, dinamici, tipici di un condottiero che cavalca in battaglia; egualmente, non sorprende che i bassorilievi bronzei, posti alla base del suo monumento, ricordino i suoi meriti militari (ossia la presa di Anversa e l’incontro con alcuni dignitari nemici)»
.

Nelle foto: in alto, la visita guidata alla statua di Ranuccio I; sopra, Manrico Bissi durante il suo intervento.

Pubblicato il 23 novembre 2022

Ascolta l'audio

Sottocategorie

  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

    uslam


    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

    Ascolta l'audio

    Conteggio articoli:
    5

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente