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San Francesco e Santa Maria di Campagna, piccole Onu medievali e rinascimentali

Danilo Anelli Pietro Coppelli e Manrico Bissi

Nel giorno in cui si è festeggiato il santo di Assisi, il primo appuntamento dell’“Ottobre francescano” a cura della Familia piasinteina (inserito nel programma delle Celebrazioni dei 500 anni promosse dalla Comunità francescana e dalla Banca di Piacenza), ha riguardato i due templi civici della Piacenza medioevale e rinascimentale: le basiliche di San Francesco e di Santa Maria di Campagna svelate, con la consueta abilità, al pubblico presente alla Biblioteca del Convento dei Frati Minori da Manrico Bissi, presidente di Archistiorica, che ha definito le due chiese francescane «piccole Onu del Medioevo e del Rinascimento», a significare il ruolo loro attribuito (e idealizzato) dalla Comunità piacentina.

«Il tardo Duecento e il primo Cinquecento - ha spiegato l’arch. Bissi - furono per Piacenza due periodi di grande instabilità politica: prima le lotte comunali tra guelfi e ghibellini, poi gli estenuanti conflitti tra Francia, Spagna e Papato causarono alla nostra città gravi turbolenze economiche e sociali, innescando per contro il desiderio della Comunità di trovare un equilibrio e un’armonia istituzionale che potesse comporre i contrasti e le ostilità». In un’epoca fortemente permeata dalla spiritualità e dal senso del divino, «tale auspicio - ha proseguito il relatore - non poteva che affidarsi all’opera dell’Ordine Francescano, noto e stimato per la sua vocazione alla pace e alla fratellanza universale. Fin dagli anni Trenta del secolo XIII, i frati piacentini di S. Francesco si erano guadagnati un ruolo chiave nel Libero Comune, figurando tra i “grandi elettori” che avviavano l’iter per la nomina del podestà. La loro reputazione come protettori dell’armonia cittadina si era poi rafforzata sul finire del secolo, quando la mediazione francescana (promossa dal papa Gregorio X) aveva finalmente portato alla sospirata pacificazione tra il ghibellino Ubertino Landi e i notabili guelfi locali».

A coronamento di ciò, nel 1278 i frati di S. Francesco avevano avviato la costruzione del loro nuovo e imponente convento, sorto in pieno centro (sulla piazza del nuovo Comune borghese) sulle rovine delle case che il Landi aveva ceduto all’Ordine. Da quel momento la grande chiesa di S. Francesco si impose sulla piazza grande della città (oggi piazza Cavalli) come un vero e proprio “presidio” posto a difesa dell’armonia politica e sociale di Piacenza: «Non a caso - ha sottolineato il presidente di Archistorica - le sue fondamenta sorgono in un luogo baricentrico rispetto a polarità opposte, ossia il quartiere guelfo e popolare degli Scotti (S. Giovanni in Canale) e il rione ghibellino e nobiliare dei Landi (S. Lorenzo). Da allora, e per i successivi sette secoli, i piacentini elessero S. Francesco come la sede naturale per le principali assemblee civiche: ciò avvenne ad esempio nel 1547, quando i maggiorenti si riunirono nella chiesa per approvare l’annessione di Piacenza alla Lombardia di Carlo V; e ancora nel 1848, quando fu votata l’unione della città al Regno di Sardegna».

La stessa aspirazione di pace e di armonia segnò anche la fondazione di S. Maria di Campagna, la cui prima pietra fu posata nel 1522 dopo che i piacentini ebbero conferma della definitiva annessione della città al Papato: «Ciò poneva fine ad oltre venti anni di continui sconvolgimenti politici - ha osservato ancora l’oratore - che avevano visto avvicendarsi numerose ed effimere occupazioni spagnole e francesi. Il progetto della grande chiesa, realizzato da Alessio Tramello, prevedeva la creazione di un organismo architettonico a croce greca e a pianta centrale, espressione concreta di armonia e di equilibro tra le varie parti di un organismo: l’impresa fu commissionata direttamente dalla Comunità piacentina, che rimase perciò proprietaria dell’edificio per tutti i secoli successivi fino ad oggi».

Venticinque dopo l’avvio dei lavori (1547), per volere del duca Pier Luigi Farnese la chiesa di S. Maria di Campagna fu convertita ad uso monastico e affidata ai frati francescani Minori Osservanti, che vi costruirono un proprio chiostro conventuale: «Ancora una volta - ha concluso l’arch. Bissi, molto applaudito dal pubblico presente - l’idea di pace e di equilibrio si associava quindi alla presenza religiosa francescana. La destinazione civica della chiesa fu ulteriormente ribadita dalla frequentazione dei duchi di Casa Farnese, che elessero S. Maria di Campagna a loro sepolcro di Corte: nelle tombe del coro giacciono infatti il corpo di Isabella Farnese (1668-1718) e il cuore del fratello Francesco (1678-1727), settimo duca di Piacenza e Parma».

Nella foto, da sinistra, Danilo Anelli, Pietro Coppelli e Manrico Bissi.

Pubblicato il 5 ottobre 2022

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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