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Felice Cavallotti e San Gaspare Del Bufalo: i legami piacentini di due paladini della libertà

 Carlo Giarelli Danilo Anelli Robert Gionelli

Felice Carlo Emanuele Cavallotti e San Gaspare Melchiorre Baldassarre del Bufalo: due personaggi poco conosciuti ma che hanno avuto un ruolo importante nella storia risorgimentale. Le due figure e i loro legami con la nostra città sono state al centro della conferenza che si è tenuta al PalabancaEventi (Sala Panini) per iniziativa dell’Associazione Piacenza Città Primogenita in collaborazione con Banca di Piacenza e Famiglia Piasinteina. Un incontro promosso per ricordare l’anniversario della ritirata austriaca da Piacenza (1859) e che ha concluso l’anno sociale del sodalizio culturale. «È stata per noi la seconda stagione - ha sottolineato il presidente Danilo Anelli - caratterizzata da ben 12 iniziative. Un grazie alla Banca di Piacenza sempre disponibile ad ospitarci e un pensiero a Corrado Sforza Fogliani che tanto ha fatto per tenere vivi nella nostra città i valori del Risorgimento».

Carlo Giarelli ha definito Felice Cavallotti «un grandissimo» dal punto di vista letterario (poeta, drammaturgo), politico (giovane garibaldino volontario all’epoca risorgimentale, era considerato sicuramente tra gli eredi politici di Garibaldi e di Mazzini), e come comunicatore nella sua attività di giornalista. «Era una persona che voleva bene all’Italia - ha ricordato il prof. Giarelli - e faceva parte della scapigliatura milanese. Aveva frequentato il liceo classico a Pavia e conosceva benissimo il latino e il greco; poi si laureò in giurisprudenza». Molto stretto il rapporto che ebbe con il giornalista piacentino Francesco Giarelli: «Nel mio studio conservo i ritratti di entrambi - ha confidato il relatore, avo del precursore del giornalismo moderno - e mi illudo che si parlino ancora». Il prof. Giarelli ha quindi accennato al Cavallotti privato («non conobbe agiatezza pur scrivendo tantissimo; la sua vita fu funestata dalla morte della figlia Mariuccia a 29 anni; non si sposò, anche se era adorato dalle donne») e al Cavallotti politico («nel 1873 venne eletto parlamentare nel collegio di Corteolona a 31 anni e si confermò per ben 10 legislature; nel 1883 vinse in modo plebiscitario nel collegio di Piacenza; nel suo primo discorso da deputato, affermò di avere una sola parola d’ordine, l’onestà, accompagnata dal senso di giustizia e dal concetto di libertà»). «Usava spesso un’espressione - ha concluso il prof. Giarelli - utilizzata anche da Corrado Sforza Fogliani in una sintonia fra “grandi”: “Mai fare il passo più lungo della gamba” ovvero, come diceva sempre Corrado, “fare il passo che gamba consente”».

Lintervento di Maria Antonietta De Micheli

Nelle foto, sopra, l'intervento di Maria Antonietta De Micheli; in alto, da sinistra Carlo Giarelli, Danilo Anelli e Robert Gionelli.

Robert Gionelli ha invece tracciato il profilo di San Gaspare Melchiorre Baldassarre del Bufalo, un presbitero italiano fondatore della congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue; beatificato nel 1904 da Papa Pio X e proclamato santo da Papa Pio XII nel 1954. «Fin da bambino sviluppò un forte senso religioso frequentando la chiesa del Gesù a Roma - ha spiegato l’oratore - e a soli 22 anni fu ordinato sacerdote». In quell’epoca Roma e lo Stato Pontificio erano occupati dalle truppe napoleoniche. La notte tra il 5 e il 6 luglio 1809 la situazione precipitò e Papa Pio VII venne imprigionato e deportato perché si rifiutò di giurare fedeltà all’imperatore. Contemporaneamente Napoleone impose anche a vescovi e parroci della città di firmare un giuramento di fedeltà al nuovo regime. Il 13 giugno 1810 il giuramento venne imposto anche a don Gaspare, che però rifiutò pronunciando le famose parole: “Non debbo, non posso, non voglio”. A questo punto venne imprigionato e condotto in esilio. «La prima città dove venne confinato fu Piacenza - ha raccontato Gionelli - e siccome le carceri non erano considerate idonee a ospitare un sacerdote, fu alloggiato in una piccola stanzetta annessa alla chiesa di San Matteo (ora trasformata in teatro). Il suo periodo piacentino fu difficile, viveva in mezzo a topi e scarafaggi e per questo si ammalò, ma poi miracolosamente guarì. La sua è una figura importante e significativo fu il gesto di ribellione al regime: nessun altro sacerdote ebbe il suo coraggio».

L’INTERVENTO DELLA PRESIDENTE ONORARIA

La conferenza si è conclusa con l’intervento della presidente onoraria del sodalizio culturale Maria Antonietta De Micheli. «Come nasce l’Associazione Piacenza Città Primogenita?», si è chiesta la moglie di Corrado Sforza Fogliani, scomparso nel dicembre del 2022, dando un’articolata risposta che riportiamo integralmente.

«Nasce dalla volontà di sottolineare l’apporto fondamentale che Piacenza diede al moto risorgimentale. Nasce dalla volontà di tenere vivo nella memoria soprattutto dei giovani che nostra (e dobbiamo esserne orgogliosi) è la terra nella quale l’Italia nacque prima che in ogni altro territorio annesso. Un’Italia libera e indipendente, così l’intesero i figli della “Primogenita”. Piacenza non vanta personaggi storici come Cavour, ma vanta gente che è stata capace di capire il momento politico e fare della nostra città, appunto, la “Primogenita”. Nell’aprile del 1979 Corrado scriveva al presidente dell’Istituto del Risorgimento Italiano Alberto Ghisarberti che gli istituti del Risorgimento sparsi in tante città italiane svolgono un ruolo prezioso, ma Piacenza è città unica perché è la “Primogenita” appunto e questo (permettetemi la ripetizione) va ricordato ai nostri giovani perché ne siano orgogliosi. Il 13 marzo del 1992 il Presidente della Repubblica Cossiga scriveva a mio marito: “Lei ben sa che considero Piacenza un esempio insigne dell’Italia delle cento città”. “Primogenita” non è un episodio del passato, è stimolo per un presente che ci deve vedere protagonisti sempre. Piacenza, diceva mio marito, può contare solo su se stessa. L’ha dimostrato in passato. Tante iniziative sono nate da noi e poi ce le hanno portate via (come la Federconsorzi), ma tra i valori che non ci potranno scippare c’è la “Primogenita”; e la Banca di Piacenza, “La mosca bianca”».

Pubblicato il 13 giugno 2025

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

    uslam


    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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