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Almeno 20mila italiani uccisi nelle Foibe tra il 1943 e il 1947

Francesco mastrantonio

 “La carneficina delle foibe: testimonianza dell’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito”. Questo il tema della conferenza che si è tenuta nella sede dell’Associazione dei Liberali Piacentini, protagonista Francesco Mastrantonio, introdotto dal presidente dell’Associazione Antonino Coppolino, che ha messo in rilievo il «negazionismo» che questa immane tragedia ha ingiustamente subito, interrotto dalla legge del 2004 che ha istituito il “Giorno del Ricordo”.

Il prof. Mastrantonio - dopo aver ricostruito la storia dell’Istria («terra italiana: prima romana, poi veneziana») - è entrato nel vivo della tragedia delle Foibe, cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo che si trovano nella regione del Carso, tra Friuli-Venezia Giulia e le odierne Slovenia e Croazia. «È in quelle voragini dell’Istria - ha spiegato il relatore - che fra il 1943 e il 1947 i partigiani jugoslavi di Josip Broz, detto Tito, un rivoluzionario politico militare, vollero vendicarsi contro i fascisti e gli italiani in genere residenti in quei territori, gettarono gettati, vivi e morti, quasi 10mila italiani (un bilancio poi destinato, come vedremo, ad aggravarsi, ndr)».

La prima ondata di violenza esplose subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, infatti, iniziarono la campagna di riconquista di Slovenia e Croazia, di fatto annesse al Terzo Reich; ormai a briglie sciolte i partigiani jugoslavi si vendicarono contro i fascisti, e gli italiani più in generale, che avevano amministrato questi territori portando un’italianizzazione forzata di terre e popolazioni slave locali. Torturarono, massacrarono, affamarono e poi gettarono nelle foibe circa un migliaio di persone, considerandoli “nemici del popolo”.

«La vicenda di Norma Cossetto, ha ricordato il prof. Mastrantonio - è emblematica e diventerà un simbolo di quel periodo terribile». La Cossetto, nata nei pressi di Pola, nel 1943 era studentessa di Lettere all’Università di Padova e stava preparando la tesi di laurea sulla storia dell’Istria con il prof. Concetto Marchesi. Il 26 settembre 1943, mentre girava in bicicletta per consultare archivi in cerca di materiali per la sua ricerca, fu condotta via in motocicletta da un conoscente che le chiese se poteva andare con lui perché al comando la volevano per informazioni. Dapprima la arrestarono nella ex caserma dei carabinieri di Visionano, la invitarono a collaborare ma invano, allora decisero di liberarla perché tra quei guardiani improvvisati c’era qualcuno che conosceva. Ma dopo qualche giorno venne arrestata nuovamente. Rinchiusa nelle carceri di Parenzo, fu legata ad un tavolo e violentata ripetutamente da sedici aguzzini. Una donna che abitava lì vicino la sentì implorare pietà, chiedere acqua, invocare la mamma. Condannata a morte dal locale “tribunale del popolo”, fu condotta con altri ventisei su un camion fino all’orlo della foiba di Surani, dove fu nuovamente violentata, le furono recisi i seni, spezzate braccia e gambe e fu sottoposta ad ulteriori orrori prima di essere infoibata.

Nella foto, Francesco Mastrantonio durante il suo intervento.

Pubblicato il 13 febbraio 2023

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