Hammouda a Mondialità Consapevole: «gli ucraini devono essere aiutati»
“Trasformo in racconti le storie di vita delle donne ucraine, così le aiuto a superare la morte dei mariti in guerra”. La passione per la scrittura di Nataliya Hammouda nasce all’età di dieci anni, all’epoca mai avrebbe pensato di scrivere sulla guerra. Dalla sua Ucraina è partita appena dopo le scuole superiori per andare a Mosca a studiare psicologia, poi dieci anni in Jacuzia – nella Russia orientale – e altri dieci in Tunisia prima di approdare in Italia, nelle Marche. Oggi vive a Piacenza insieme al marito e a due dei tre figli. Sabato 20 maggio è stata l’ultima ospite della decima edizione del Laboratorio di Mondialità Consapevole. Il progetto “Assolo di corde spezzate” è nato nel 2014, anno dell’invasione della Crimea da parte della Russia di Putin, con l’intenzione di raccogliere in venticinque libri venticinque storie di vita – tante quante le regioni dell’Ucraina – di donne ucraine che hanno salutato i mariti, partiti per la guerra. “In quasi dieci anni sono riuscita a pubblicare quattro volumi – dice la scrittrice – contattando più di mille persone. Si è creata una rete: partendo dalla prima donna, la voce si è sparsa e sono arrivata a tutte le altre. Tante, rileggendo la propria storia di vita, l’hanno accettata e sono riuscite a ripartire. Le storie vengono mandate anche ai militari al fronte come sostegno psicologico”.
L’importanza della lingua
Intervistata dalla coordinatrice del Laboratorio Rita Parenti, Hammouda ha portato all’attenzione la questione della lingua ucraina che, “dall’occupazione dell’Unione sovietica, è sempre stata sottomessa a quella russa. Con lo scioglimento dell’Urss, abbiamo provato a ripristinarla, ma è stato impossibile. Molti ormai erano abituati a parlare russo. E, di conseguenza, i giovani, potendo scegliere, hanno iniziato a seguire la moda della lingua russa, declassando in modo dispregiativo l’ucraino a «lingua della campagna». È un errore, perché l’ucraino è la lingua della tradizione e andrebbe riscoperto”. In Ucraina, Oxana era un’insegnante. A causa delle politiche ingannevoli dei governanti, “bravi in campagna elettorale, quando promettono un progresso, ma inconsistenti quando si tratta di mettere in pratica le intenzioni”, “non riusciva a garantire economicamente una vita degna ai propri figli”. Vent’anni fa, quando si trasferì in Italia, “il primo pensiero fu imparare la lingua e la cultura italiana”.
“Non siamo padroni della nostra terra”
Secondo Oxana “è impossibile far ragionare un pazzo con le buone intenzioni”, e ribadisce che “gli ucraini devono essere aiutati: il nostro popolo è disperso in tutto il mondo per cercare una vita migliore, amiamo la nostra terra, ma non siamo padroni della nostra terra”. Anastasia ha 28 anni e da 18 vive in Italia. “Rappresento i figli delle donne emigrate in Italia – osserva – ricordo che, fino al 2014, periodicamente tornavamo a casa. Poi, dato che il mio paese è vicino alle zone invase da Putin, non sono più andata in Ucraina”. La ragazza ha infine evidenziato la difficoltà degli anziani negli spostamenti forzati per abbandonare le proprie case. “I treni sono lenti, non efficienti, da Donetsk alla Polonia (quasi 1.300 chilometri, ndr) hanno impiegato quasi una settimana”. E conclude: “Le notizie ci portano ad apprezzare quello che abbiamo: ho capito che, tutto sommato, qui in Italia stiamo bene”. Dopo la consegna dei diplomi, il “gruppo consapevoli”, con l’aiuto di Aisha, ha offerto a tutti una cena tipica dell’Africa occidentale.
Francesco Petronzio
Nella foto: da sinistra, Anastasia, Oxana, Nataliya Hammouda, Rita Parenti.
Pubblicato il 23 maggio 2023
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