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Scriptural Reasoning a Piacenza: una tavola circolare dove migrare significa capire

incontro

 

Non una conferenza, non un dibattito, e nemmeno una lezione accademica, è stato l’incontro, svoltosi nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova (in via Roma 23 a Piacenza, nel locali dell’ex parrocchia di San Pietro), di Scriptural Reasoning, una iniziativa tra le prime in Italia, che mette in dialogo ebraismo, cristianesimo e islam attraverso la lettura condivisa dei testi sacri. A guidarla, tre voci che hanno portato con sé mondi diversi: il prof. Yitzchak Dees, studioso ed esponente dell’ebraismo; Muamer Kozica, imam della Comunità musulmana bosniaca; e don Ezio Molinari, parroco di Sant’Antonio di Padova.

Il significato della serata

È stato proprio don Ezio a introdurre l’incontro, spiegando il senso profondo della serata: uno spazio ospitale dove ascoltare, interrogare, domandare, senza mai perdere di vista il rispetto assoluto per le tradizioni rappresentate.
La discussione, ha ricordato, “non è una conferenza, ma un cerchio”: si entra e si esce con libertà, si parla quando si desidera, si può dissentire purché lo si faccia con riguardo. Una regola semplice, ma rivoluzionaria per chi è abituato a confronti serrati e dialettici.
Il tema della serata era la migrazione: quella antica e quella contemporanea, quella forzata e quella cercata, quella geografica e quella dell’anima.

L’ebraismo e la memoria degli stranieri

Il prof. Yitzchak Dees ha aperto le Scritture ebraiche per mostrare che la migrazione non è un incidente della storia, ma una sua costante. Abramo, Giacobbe, Giuseppe: tutti migranti, tutti stranieri in cerca di sopravvivenza.
La narrazione biblica si è intrecciata con riflessioni acute sul presente. Dees ha ricordato come il dibattito moderno sull’immigrazione si divida tra chi vede negli stranieri una risorsa e chi, invece, una minaccia per la cultura nazionale. Niente di nuovo, suggerisce la Bibbia.
L’Esodo, ad esempio, rivela quanto rapidamente la percezione dell’“altro” possa mutare. Il nuovo Faraone, che non conosceva Giuseppe, ignora la gratitudine dovuta alla famiglia che aveva salvato l’Egitto dalla carestia. La crescita numerica degli Israeliti diventa motivo di sospetto, paura, pretesto politico. Si parla di “sicurezza nazionale”, ma la motivazione reale, osserva Dees, è economica: sfruttare una forza lavoro senza pagarla. Un meccanismo antico, che riecheggia in molte retoriche contemporanee.
La conclusione è quasi un monito: le storie bibliche, se ascoltate con attenzione, non appartengono al passato. Illuminano il presente.

L’islam e la dignità di chi si mette in cammino

L’imam Muamer Kozica ha aperto il suo intervento con il saluto islamico e la recitazione dei versetti coranici scelti per la serata. La migrazione, nell’islam, non è solo spostamento geografico: è un atto spirituale, un sacrificio, un percorso di purificazione. I versetti presentati raccontano la storia dei Muhajirun, i primi musulmani costretti a lasciare Mecca per sfuggire alle persecuzioni, e degli Ansar, i cittadini di Medina che li accolsero come fratelli. Una fraternità così radicale che il Profeta istituì tra loro persino forme di eredità reciproca. L’imam ha ricordato poi la prima migrazione in Abissinia, accolta da un re cristiano, e come Allah abbia promesso ricompensa a chi abbandona tutto pur di poter vivere la propria fede.
In un passaggio particolarmente significativo, Kozica ha paragonato l’accoglienza dell’Italia verso i profughi bosniaci durante la guerra degli anni ’90 a quella dell’Abissinia verso i primi musulmani. Da quell’accoglienza, ha detto, è nata una generazione di “musulmani italiani”, capaci di sentirsi parte del Paese pur custodendo la propria identità. L’immagine conclusiva è stata potente: ogni musulmano, ovunque viva, appartiene a una comunità che lo sostiene e gli ricorda chi è. Una “identità euro-islamica”, come l’ha definita, che cresce nel rispetto reciproco.

Il cristianesimo e la migrazione come identità

Infine, don Ezio Molinari ha aperto il Vangelo di Matteo e si è soffermato sulla fuga in Egitto: non una cronaca, ha insistito, ma una rivelazione profetica. Gesù migrante, costretto a fuggire da un tiranno che riecheggia la figura del Faraone. Ma il punto non è solo la storia. È la teologia della migrazione.
Per don Ezio, la migrazione è iscritta nel DNA del cristianesimo: la storia biblica è un susseguirsi di esodi, esili e ritorni; l’incarnazione stessa è una “migrazione” di Dio verso l’uomo; la vita di Gesù è un cammino continuo, senza una casa stabile; gli apostoli e i santi hanno portato il Vangelo attraversando confini, spesso ostili. Ha citato la Lettera a Diogneto, che definisce i cristiani “forestieri sulla terra”, e San Paolo: “la nostra cittadinanza è nei cieli”. Il cristiano - come Gesù - è un pellegrino. La Chiesa intera è “pellegrinante”, dice il Concilio Vaticano II, in cammino fino alla fine dei tempi.
Il discorso è culminato nella frase di Papa Francesco che sembra riassumere tutto: 
“La nostra esistenza è un pellegrinaggio; la nostra anima è un’anima pellegrina”.

Riccardo Tonna

Nella foto, l'incontro di Scriptural Reasoning.

Pubblicato il 4 dicembre 2025

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