Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

Cives, Maria Cristina Bolla sulla democrazia in Grecia e a Roma

Foto di gruppo

La partecipazione alla vita pubblica, nell’antica Grecia, era un pilastro fondamentale dell’esistenza di tutti i cittadini. Chi si disinteressava veniva visto con diffidenza, estraniarsi dalla politica voleva dire non possedere capacità basilari: era un “idiota”, un rozzo, un inabile. Il termine che oggi suona come un insulto, all’epoca definiva chi se ne stava in disparte. Secondo Pericle, chi non si interessava a questioni pubbliche era un “uomo inutile”. Sembra una democrazia perfetta, quella di Atene. Ma quando comanda la massa, facilmente plasmabile con lusinghe, il rischio di trascinarla qua e là per il proprio interesse è evidente. Alle parole dell’Araldo tebano, Teseo non sa rispondere. Dice la verità, descrivendo una dinamica che all’uomo del ventunesimo secolo non appare troppo remota (anzi), un modo di vivere la politica che era già presente in quella che è considerata la democrazia per antonomasia.

Aidós e Dike

La lezione di Maria Cristina Bolla, già docente di lettere al Liceo Gioia di Piacenza, è un tuffo nel passato: un passato che non si archivia, un “eterno ritorno dell’uguale”, come lo chiamerebbe Nietzsche. Bolla è stata ospite del corso di formazione Cives all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza nella serata di venerdì 5 dicembre per parlare della “democrazia nel mondo antico”. L’incontro è stato guidato dagli studenti Gabriele Siliprandi, Riccardo Riva Chitti e Matteo Zaffignani. Due esempi, per certi versi opposti, sono stati illustrati dalla docente: da un lato la Grecia, dall’altro Roma. Il popolo che decide e l’impero dell’uomo solo al comando, la cittadinanza “elitaria” e quella “allargata”. Entrambe la “culla” di ciò che conosciamo oggi come politica. “Zeus mandò Ermes a distribuire a tutti gli uomini Aidós e Dike, cioè rispetto e giustizia. Solo con il sapere tecnico donato loro da Prometeo, avrebbero iniziato a massacrarsi a vicenda”, ha spiegato Bolla riprendendo il mito narrato nel “Protagora” di Platone. “Nell’Atene dell’epoca, tutti i cittadini potevano essere eletti a una carica, a sorteggio. Si accedeva a rotazione, in modo da garantire sempre un controllo reciproco. Tutte le cariche erano retribuite, a un certo punto perfino andare a teatro venne considerata un’azione politica e quindi meritevole di compenso. C’era una competenza politica elevata e omogenea nel corpo sociale”, ha detto la professoressa.

La “parresia”, o libertà di parola

“Abbiamo un ordinamento politico che non imita quello dei vicini: il suo nome è democrazia, perché il governo è affidato a molti e non a pochi. Ne avevano accesso tutti, poveri e ricchi, che ne avessero rispetto”. Fermandosi alla definizione data da Pericle (nelle Storie di Tucidide), la democrazia ateniese appare quasi come la realizzazione di un’utopia. E a teatro la satira era autorizzata a parlare (male) di tutti. La parresia, cioè la libertà di parola, il diritto-dovere di dire la verità con franchezza, era un principio base. Anche il cattolicesimo, nella storia recente, ne ha sottolineato l’importanza. Pochi anni prima (1944), papa Pio XII – citato da Bolla – disse di mettere il cittadino sempre più in condizione di avere la propria opinione personale, e di esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune. “La parresia ateniese è ricomparsa con papa Francesco che l’ha citata come un dono dello Spirito Santo”.

La cittadinanza ad Atene

Ma neanche la satira, seppur pungente, riusciva a far cambiare idea al popolo: ne è una dimostrazione la storia di Cleone, sbeffeggiato da Aristofane e poi rieletto. Di fatto, già allora – sebbene le belle parole sulla democrazia – vigeva la legge del più forte: “Chi possiede la forza comanda, Callicle diceva che la legge era la difesa dei deboli, secondo Trasimaco la forza non era contro, ma dietro la legge. Cosa è giusto? Ciò che si conforma alle leggi. Ma chi fa le leggi? Chi detiene il potere. E quindi, se è a vantaggio di chi comanda, la giustizia è asservita alla forza”, sintetizza Bolla. I malumori si facevano sentire: un sistema politico che consentiva “alla canaglia di stare meglio della gente per bene” non era visto di buon occhio da tutti. “Nell’Atene di allora, per essere cittadino bastava essere in grado di esercitare la principale funzione dei maschi adulti liberi: fare la guerra. Di fatto, solo coloro che avevano i soldi per armarsi potevano essere cittadini. E vigeva un’appartenenza di sangue: per essere cittadino bisognava essere figlio di un ateniese. Poi arrivò la riforma di Pericle: non bastava più avere il padre ateniese, ma anche la madre, per essere cittadini”. Con l’imperialismo marittimo ateniese e la formazione di “sudditi” da asservire al potere, la tendenza ai “matrimoni misti” si era accentuata.

La cittadinanza nell’Impero Romano

“Per i Romani il primo criterio per essere cittadini è sottostare alla legge”, ha spiegato Maria Cristina Bolla. Tutti gli uomini liberi potevano essere cittadini: se nel 90-89 a.C. la cittadinanza era concessa a tutti gli Italici, nel 212 d.C. si arrivò a estenderla a tutti gli abitanti dell’Impero. “Nessuno è giuridicamente escluso dal suffragio, il che sarebbe tirannico – diceva Cicerone – ma la moltitudine non ha una reale influenza, cosa che sarebbe pericolosa”. “Il popolo – ha detto Bolla – partecipava al voto in varie assemblee, i comitia, diviso in 193 centurie: ognuna di esse esprimeva un solo voto, dava la stessa frazione dell’imposta e lo stesso contributo all’esercito. I contribuenti più leali erano quelli che avevano qualcosa da difendere. Alle cariche pubbliche romane accedeva chi aveva una tradizione familiare alle spalle: era necessario il cursus honorum: censore, questore (e quindi senatore) e poi console”.

Da Civis a Optimus Civis

“Senatori e consoli andavano personalmente a combattere. Così, nelle guerre annibaliche, la classe politica romana venne decimata. Ma Roma riuscì a resistere grazie al suo regime misto. Quest’equilibrio andò in crisi con l’avvento dei soldati professionisti e gli eserciti dei leader come Mario e Silla: emersero figure di potere individuale e gli homines novi. Chi governava Roma si chiamava semplicemente «Civis» (al plurale Cives, come il nome del corso, nda). In seguito, Cicerone costruì la figura dell’Optimus Civis. “Per tutti coloro che avranno conservato, aiutato o accresciuto la patria – diceva – è stabilito che vi sia in cielo un luogo definito, dove possano godere felici di un’eterna esistenza”.

Francesco Petronzio

Pubblicato il 6 dicembre 2025

Nella foto, i partecipanti a Cives con Maria Cristina Bolla.

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente