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Giubileo: “Il peccato porta l’uomo ad essere vorace”

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Terzo appuntamento delle veglie “Pellegrini di speranza nella Scrittura e nei Santi del Carmelo” il 6 marzo, alle 21 nella nostra chiesa a Piacenza. A parlarci del tema “Speranza e giubileo nella Bibbia” è stato don Giacomo Perego, sacerdote della Società San Paolo e biblista, che insegna Sacra Scrittura al Seminario teologico internazionale del Pime di Monza e da quest’anno anche al Collegio Alberoni, qui a Piacenza.

Cosa succede quando l’uomo pecca?

In origine, nella Genesi, “cosa succede quando l’uomo pecca?”. Da questa domanda inizia la ricchissima riflessione propostaci da don Giacomo. È proprio in questo momento che prende il via il percorso della speranza. Secondo la tradizione ebraica è qui che si rivela il volto di un Dio che è alla ricerca dell’uomo, quando, dopo il peccato, l’abito di luce dell’uomo si spegne ed egli diventa piccolo e fragile.

Scoprendosi nudo, cerca di vestirsi da solo, con foglie di fico. Allora Dio - sintetizziamo le parole di don Giacomo - interviene e gli tesse “un abito di pelle”, perché, pur di ritrovarci egli si fa nostro vestito, “vuole essere la nostra pelle, la nostra identità, vuole che l’uomo lo senta vicino, perché sa che il peccato lo allontana da lui”. L’accesso all’albero della vita viene bloccato, perché la vita si può ricevere soltanto come dono. Il peccato porta l’uomo ad essere vorace, e la voracità sfregia la vita, per cui occorre tornare da una relazione manipolatrice dell’altro e del Creato ad una relazione in cui si viva la dimensione del dono per potersi nutrire nuovamente dell’albero della vita.

Anche Dio “esce” dal giardino

L’uomo e la donna - ha proseguito il sacerdote - vengono allontanati dal giardino. E ora, Dio dove va? Esce anche lui, alla ricerca dell’uomo, di “un uomo che cammini con lui”, dice la Genesi, che riprenda cioè quella condizione precedente al peccato, quando passeggiavano insieme nel giardino. Già da qui si coglie che la speranza non viene dal nostro sforzo, ma è un dono che viene da Dio. È teologale.

Dio si abbassa verso l’uomo

San Paolo, nei primi tre capitoli della lettera ai Romani, sottolinea la condizione dell’umanità che si sente esposta all’ira di Dio, una misteriosa ira che la scena della Genesi rivela, con la paura, la nudità e il nascondimento dell’uomo e della donna, che si sentono prigionieri del peccato. Come se Dio fosse adirato.

Ma proprio quando “nessuno più compie il bene” e sembra che tutto sia sprofondato nell’angoscia dell’ira di Dio, egli si abbassa verso l’uomo nel mistero dell’incarnazione e lo riscatta, lo libera, attraverso la giustificazione, cioè la restituzione della relazione piena con lui, con gli altri e con il creato. In quel momento l’incubo dell’ira divina viene dissolto perché “l’amore è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5, 5). Anzi, l’uomo viene aperto alla speranza della gloria, la speranza di ritrovare quell’abito di luce perduto.

Dal Giubileo ebraico a quello cristiano

La giustificazione di Gesù - ha proseguito don Giacomo - rende eterna e definitiva l’esperienza del giubileo ebraico, che in quella tradizione è l’anno in cui viene redento il tempo dell’uomo: per un anno egli vive il “ristabilimento” delle relazioni rovinate. Poi ricade nel peccato e, quindi, è necessario ricelebrare il giubileo, costantemente, fino all’arrivo del Messia.

Per noi cristiani il giubileo è Cristo, nel quale è avvenuto il ristabilimento pieno e definitivo della nostra relazione con il Padre. Però il giubileo biblico ci aiuta a ricordare che il tempo del cristiano è tempo redento. Noi abbiamo paura del tempo che ci sfugge e allora siamo portati ad accumulare cose, fino al punto di non avere più spazio fisico per le cose e allora arriva la realtà virtuale, dove ogni cosa può trovare ospitalità, ma che uccide ulteriormente il tempo e lo priva della sua anima. Questa riflessione è del filosofo coreano Byung-chul Han (in “Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale”).

Essere sale e lievito del mondo

In questo contesto, ecco la nostra vocazione cristiana: essere sale e lievito del mondo dando respiro, prospettiva contemplativa, e perciò vita, al tempo. E ricordiamo che la pienezza del tempo, tornato luminoso, avviene solo con la venuta di Cristo, con la quale egli non apre all’uomo un nuovo giardino, ma sale sull’albero senza foglie della maledizione, la croce, l’unica speranza, considerata come segno di tutto il mistero pasquale.

Nell’Apocalisse il Risorto dice: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono” (3,20-21). Siamo figli così amati che colui che è uscito dal giardino per cercarci ha riservato per noi il suo stesso trono. La sola porta da aprire è quella del cuore dell’uomo, a cui Dio bussa. E quando l’uomo apre succedono miracoli.

Vivere il Giubileo in prima persona

Nel vangelo di Giovanni, Gesù si presenta come “la porta”. Passando attraverso la porta della chiesa che lo rappresenta, noi entriamo nello spazio liturgico che redime il nostro tempo. Cristo è venuto perché abbiamo la vita, e l’abbiamo in abbondanza. Allora la liturgia restituisce respiro alla vita e l’anima al tempo, favorisce esperienze, intesse memoriali, costruisce comunità, permette di incontrare l’Altro e l’altro. Questo è il vero giubileo, è la speranza che lo Spirito pone in noi.

                                                                       Le Sorelle del Carmelo di Piacenza

Nella foto, la comunità delle monache carmelitane insieme al biblista don Giacomo Perego.

Pubblicato l'8 marzo 2025

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