Chiusura del Giubileo: una speranza che prende casa

Al Santuario di Santa Maria di Campagna, nella Festa della Santa Famiglia, il 28 dicembre, si è celebrata la Chiusura del Giubileo per la diocesi di Piacenza-Bobbio. Una chiusura che non ha avuto il sapore del congedo, ma piuttosto quello di un seme affidato alla terra. A presiedere la celebrazione è stato il vescovo di Piacenza-Bobbio, mons. Adriano Cevolotto, affiancato dal vescovo emerito mons. Gianni Ambrosio, dal vicario generale don Giuseppe Basini, dal padre provinciale dei Frati Minori del Nord Italia fra Antonio Scabio e dal delegato diocesano per il Giubileo don Mimmo Pascariello, insieme a numerosi sacerdoti e diaconi. A sostenere la liturgia, i canti del coro della Cattedrale di Piacenza, che hanno accompagnato l’assemblea in un clima solenne e festoso.
Gratitudine e ascolto della Parola
Nell’omelia, mons. Cevolotto ha scelto di non “tirare le somme”, ma di affidare alla comunità due consegne essenziali, tratte dalle parole di san Paolo: la gratitudine e l’ascolto della Parola. «Alla fine di un anno di grazia – ha spiegato – non si fanno bilanci su Dio, perché l’opera di Dio ci supera. Si ringrazia». Il ringraziamento, ha sottolineato il vescovo, è il modo più autentico per restare aperti al futuro. Accanto alla gratitudine, la seconda consegna: lasciare che la Parola di Cristo abiti tra noi, non come un’eco lontana, ma come criterio delle relazioni, della vita comunitaria, delle scelte quotidiane. Una Parola - per il vescovo - che illumina, che salva, che continua a farsi carne nel tempo della Chiesa.
La “nostalgia del futuro”
Il cuore del messaggio si è poi allargato al significato profondo dell’Anno Giubilare. Mons. Cevolotto ha parlato di una “nostalgia del futuro”, contrapponendola alla nostalgia sterile del passato che spesso caratterizza il nostro tempo. Per i cristiani, ha detto, la nostalgia non è rimpianto ma attesa, fiducia, cammino… La riflessione si è intrecciata con la festa della Santa Famiglia, proposta come icona di una fede vissuta nella precarietà. L’esilio in Egitto, la paura, l’incertezza: la vita di Gesù inizia sotto il segno della fragilità. Non una precarietà subita passivamente, ma accolta con fiducia, come spazio in cui Dio continua a parlare. Andare a Nazareth diventa così il simbolo di una speranza. Un luogo che è insieme “germoglio” e “custodia”, dove la promessa di Dio cresce senza clamore. Da qui l’invito del vescovo a riconoscere che anche oggi la fede passa attraverso la provvisorietà, l’attesa, il non avere tutto sotto controllo.

La casa, segno dell’Incarnazione
Il discorso si è poi fatto ancora più concreto, toccando uno dei nodi più urgenti del presente: la casa. Non solo come spazio fisico, ma come luogo di dignità, appartenenza, relazione. «Il Verbo si è fatto carne – ha ricordato il vescovo – e ha avuto bisogno di una casa, di una famiglia, di una comunità». Da qui il legame con l’opera-segno del Giubileo: il progetto di co-housing sociale realizzato nel convento dei Frati Minori. Un segno tangibile, non simbolico, di una Chiesa che non si limita a proclamare, ma sceglie di abitare le fragilità del tempo.

Il grazie dei frati e l’abbraccio universale
Al termine della messa ha preso la parola fra Antonio Scabio, ministro provinciale dei Frati Minori del Nord Italia. Il suo intervento ha unito gratitudine e sguardo al futuro. Ha ringraziato fra Matteo, che lascia il Santuario, per il servizio svolto con discrezione e fedeltà, augurandogli un fecondo cammino nelle missioni popolari, e ha accolto con gioia i tre frati provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo, segno di una Chiesa che cresce oltre i confini europei. «La fraternità francescana – ha ricordato – è per sua natura missionaria». La loro presenza a Piacenza è stata presentata come un dono reciproco: per la diocesi, che accoglie; per i frati, che si mettono a servizio in un tempo di cambiamento.

Dalla liturgia alla vita
Dopo la celebrazione, l’assemblea si è mossa in processione verso il sagrato, preceduta dalla Croce dell’Anno Santo portata dai volontari. Un gesto semplice e solenne, che ha trasformato la liturgia in cammino. In piazza, Alessandro Ghinelli, operatore Caritas, ha illustrato il progetto di co-housing: 24 stanze, spazi comuni, una casa pensata per persone fragili, lavoratori precari, studenti fuori sede. Non un dormitorio, ma un luogo di vita condivisa, nato dalla collaborazione tra Frati, Diocesi e Caritas. Un progetto che non pretende di risolvere l’emergenza abitativa, ma di accendere una luce, di generare relazioni, di creare un “noi” capace di futuro. Un laboratorio di fraternità, aperto al contributo della città.

Un seme di speranza
La benedizione finale, impartita dal vescovo davanti alla struttura, ha suggellato una giornata intensa. Poi l’ingresso nell’opera-segno, con la Croce del Giubileo, come a indicare che la speranza cristiana non resta fuori, ma entra nelle case, nelle storie, nelle fragilità. Così si è chiuso il Giubileo 2025 a Piacenza: non con un punto fermo, ma con una consegna. Come nella preghiera citata dal vescovo, scritta da una detenuta: che il Natale sia davvero la venuta di Dio, della misericordia e della pace. E che quella speranza, da oggi, abbia una casa.
Riccardo Tonna
Nelle foto di Del Papa i vari momenti che hanno caratterizzato la celebrazione di chiusura del Giubileo.
Pubblicato il 29 dicembre 2025
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