35 anni fa moriva don Giuseppe Venturini
Il primo novembre di 35 anni fa moriva don Giuseppe Venturini, fondatore della casa accoglienza per malati di Aids a lui dedicata e direttore della Caritas diocesana nonchè giornalista del settimanale diocesano e di Avvenire. Di seguito il ricordo di don Mauro Stabellini.
È stato un portatore di esperienze
Non mi pare vero che siano già passati 35 anni da quando don Giuseppe è tornato alla casa del Padre. Forse perché non ho mai avuto la sensazione che ci avesse lasciati. Il suo essere calato nella storia, attento nei minimi particolari alla vita vicina e lontana, pronto a intervenire soprattutto attraverso la comunicazione, e il vivere tutto questo come uomo, come credente, come prete obbediente, anche quando si trattava di essere critico sia verso la comunità civile sia verso quello ecclesiale, tutto questo lo sento ancora così attuale e vivo, che mi pare di averlo vicino tutti i giorni.
Un uomo e un prete difficile da descrivere in poche parole: io l’ho conosciuto solo nei suoi ultimi dieci anni, da Direttore della Caritas, già portatore di esperienze (come giornalista del Nuovo Giornale prima, e di Avvenire poi) che lo avevano arricchito e gli avevano aperto orizzonti con i quali spronò la Caritas – non solo diocesana – ad attuare i compiti che il Nuovo statuto gli aveva assegnato. Di essere il motore della Chiesa per la promozione, l’attuazione e la profezia della carità della comunità cristiana. Gli anni ’80, il periodo che don Giuseppe passò con noi della Caritas Diocesana, fu un tempo che segnò la società civile ed ecclesiale. E la Caritas diocesana, supportata da quella nazionale, spronata da mons. Nervo e don Pasini (amici e stimatori di don Giuseppe), ne fu protagonista. Posso solo accennare alle iniziative nate sul territorio – soprattutto le Caritas parrocchiali -; le Opere che volevano essere un segno di una carità che andasse oltre l’assistenzialismo: penso, solo ad esempio, al sostegno dato alle cooperative socio-educative, o ai gruppi e movimenti di volontariato che nacquero e si diffusero in diocesi; all’apertura della Mensa della fraternità, fortemente voluta da don Giuseppe, fino all’ultima opera-segno del Sinodo diocesano – di cui don Venturini fu segretario, fin che la salute glielo permise -: la Casa “Pellegrina” di accoglienza per i malati di AIDS, ora dedicata a lui. Ma soprattutto, il suo ministero di carità si caratterizzò per due aspetti – due ‘perle’ - imprescindibili. Il primo era la costante scommessa sulle persone: io ne sono testimone in prima persona.

Nelle foto: sopra, don Giuseppe Venturini con don Mauro Stabellini; in alto, il sacerdote negli uffici della Caritas.
La passione per la comunicazione
Giovanissimo prete, uscito da una situazione drammatica per un incidente stradale che mi aveva segnato nel profondo, mi incontrò (‘per caso’ ?!?), e mi coinvolse, senza tanti fronzoli, nel progetto del rinnovamento della Caritas. E, come me, trascinò gente di ogni età, donne e uomini, soprattutto giovani; scommise sul servizio civile degli obiettori di coscienza, ne fu appassionato sostenitore ed esigente propulsore. Soprattutto volle che tutto avesse un fondamento; e perciò promosse una formazione permanente: gli obiettori erano tenuti a una formazione settimanale, più altri momenti residenziali sia diocesani sia regionali e nazionali; le Caritas parrocchiali erano costantemente sostenute con incontri tenuti spesso dallo stesso don Giuseppe; così diversi gruppi di volontariato potevano contare sull’apporto costante della Caritas con il suo direttore e i suoi collaboratori, i quali a loro volta erano spronati a formarsi soprattutto alla scuola della Caritas Italiana e della “Fondazione Zancan” di Padova. In questa scia ho colto anche l’instancabile ‘pressione’ fatta da don Giuseppe ai Direttori degli Uffici diocesani nel ritrovarsi insieme con cadenze periodiche per impostare, avviare e verificare il cammino diocesano, in una sinergia di corresponsabilità.
Tutto questo sfociò poi nel Sinodo diocesano, di cui don Giuseppe fu uno dei promotori e protagonisti.
La seconda ‘perla’ della Direzione Caritas di don Venturini fu la passione e la decisa convinzione per la comunicazione, convinto com’era che uno dei primi compiti della Caritas è di spronare, anche in modo critico, tutta la comunità, in particolare quella ecclesiale, a vivere il comandamento dell’amore, senza delegarlo a nessuno. E’ viva la memoria delle pagine mensili sul Nuovo giornale (“Caritas informa”), preparate con cura e didizione: spesso d. Giuseppe era in ufficio al mattino prestissimo, per poter stilare gli articoli di quell’inserto, senza togliere tempo all’impegno come Direttore, che svolgeva poi per tutta la giornata. Articoli e richiami che ancora mi spronano, mi indicano la strada per non accettare passivamente paure, esclusioni, indifferenze che ci attanagliano. Parole e scritti che andrebbero ripresi anche oggi per essere meno passivi nei confronti di chi governa e non tiene presente - a volte con arroganza – chi ha più bisogno. Per don Giuseppe, la scelta di una Chiesa povera, che continuasse a fare la scelta preferenziale dei poveri, era la grande scommessa per la Chiesa del Duemila.
don Mauro Stabellini
Pubblicato il 29 ottobre 2025
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