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Non pensare
di salvarti da solo

Dal Vangelo secondo Giovanni (3,16-18)
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito,
perché chiunque crede in lui non vada perduto,
ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare
il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede
è già stato condannato, perché non ha creduto
nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

La nostra vita e la Parola
vang1giu23Il dono del Figlio. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio”: torna in mente, ascoltando queste parole del vangelo di Giovanni, quel mattino in cui Abramo salì sul monte disposto a sacrificare il proprio figlio Isacco. Così Dio dà il proprio Figlio: è il suo dono al mondo. Donando il Figlio il Padre dona se stesso: è questa la misura del suo amore per gli uomini. È un dono che gli uomini faticano ad accogliere ma è un dono irrevocabile: essendo totalmente gratuito non pretende nulla, non viola la libertà dell’altro a cui è rivolto, non viene ritirato quando non viene accolto. È un dono totale che Dio fa di se stesso, fino al punto di poter essere rifiutato. Il dono che viene deposto nelle mani degli uomini verrà ucciso e così sarà pienamente donato.
Gesù parlando con Nicodemo sembra essere costretto a chiarire e rassicurare sulla reale intenzione di Dio: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo”. C’è una incomprensione antica tra l’umanità e Dio: l’uomo sospetta che dietro all’agire di Dio ci sia una intenzione nascosta, che dietro al dono ci sia un secondo fine, uno scopo tenuto celato, che il dono in fondo non sia realmente un atto di amore. Per questo la mano dell’uomo non è tutta tesa a ricevere, ma spesso rimane chiusa ed incerta. Ma la reale intenzione di Dio è salvarci.
La salvezza. Anche per molte persone che frequentano la chiesa la parola “salvezza” non è immediatamente percepita nel suo significato profondo. Quando le persone religiose sentono questa parola pensano immediatamente al giudizio che ci attende al momento della nostra morte. Si salva chi supera quell’esame finale: sembra quasi che occorra puntare a strappare una sufficienza risicata, come quando a scuola si avvicinavano gli scrutini e bisognava studiare materie che sembravano messe lì solo per esaminare gli studenti.

Questa visione che potremmo definire giuridica è talmente lontana della vita che normalmente, soprattutto oggi, viene relegata in un angolo. Ma la salvezza è molto di più e inizia già su questa terra dentro all’esperienza che viviamo quotidianamente. Tutti gli aspetti della nostra vita attendono salvezza, attendono qualcuno che ci permetta di viverli secondo il loro significato più grande, più vero e più bello. Tutto chiede di essere strappato dalla corruzione e dal nulla che sembra vincere su tutto.
La pretesa che abbiamo di salvarci da soli viene continuamente smentita dall’esperienza del nostro limite, della nostra inconsistenza. La salvezza è una persona, che va accolta, non una tecnica che si acquista. E così la condanna è proprio non accogliere questo dono quando ci viene incontro, continuare a vivere la nostra vita, quella che noi abbiamo costruito e perdere la grandezza che ci viene offerta.
Don Andrea Campisi

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