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Ma che cosa sono
questi talenti?

Dal Vangelo secondo Matteo (25, 14-15.19-21 - forma breve)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio,
chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno,
secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò
e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva
ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo:
“Signore, mi hai consegnato cinque talenti;
ecco, ne ho guadagnati altri cinque”.
“Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -,
sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto;
prendi parte alla gioia del tuo padrone”».

La nostra vita e la Parola
vg19no23I talenti. Forse il brano evangelico di questa domenica è uno di quelli più banalizzati nell’interpretazione che spesso è stata data secondo una visione della vita cristiana molto parziale e riduttiva: Dio creandoci ci ha fatto dei doni, ci ha dato delle capacità intellettive, artistiche, relazionali e spetta a noi fare il massimo per metterle a frutto. Semplificando molto, tante persone si sono sentite dire: “sei intelligente? Bene! studia, prendi ottimi voti, fai l’università, buttati nel lavoro, fa carriera e ottieni successo: questo è ciò che Dio ti chiede”. Tutto è visto in un’ottica di realizzazione personale e puramente mondana. Questo modo di ragionare ha una sua logica, ma non c’entra con la parabola dei talenti. Qui infatti si racconta di un padrone che, in procinto di partire per un viaggio, consegna i suoi beni ai servi. Si parla dunque dei beni del Signore: quali sono i beni che Gesù ci ha consegnato in attesa del suo ritorno? Sono innumerevoli e di grande valore: la sua parola, il dono del suo Spirito, la comunione fraterna, il perdono dei peccati. Paradossalmente, quel verbo “consegnare” viene usato molto spesso nel vangelo di Matteo per indicare l’atto con cui Gesù viene tradito, viene consegnato nelle mani dei peccatori. Quindi Gesù ci ha consegnato se stesso dando la vita per noi. I talenti sono otto, ma non vengono dati ad un solo servo, vengono distribuiti in misura diversa a tre servi secondo la loro capacità. Il padrone non dà nessuna indicazione su come impiegare i suoi beni ma i servi stessi, nel loro modo di agire, mostrano che tipo di relazione hanno con il padrone.
La paura. Sicuramente il servo che attira la nostra attenzione è l’ultimo: si tratta di una persona mossa dalla paura. Per giustificarsi descrive il suo padrone come un uomo duro che pretende cose impossibili, come raccogliere dove non è stato seminato. Questa idea deformata che ha del padrone lo paralizza, gli impedisce di assumersi il rischio di agire a partire da ciò che gli era stato consegnato. Forse anche la nostra cultura è una cultura che ha paura del rischio, che vuole avere tutto sotto controllo, che ha il terrore di uscire da ciò che è sicuro. Per questo moltiplichiamo leggi e norme e firmiamo migliaia di pagine perché nessuno si vuole assumere il rischio di intraprendere una sfida. Le leggi diventano una gabbia rassicurante. In fondo quel servo non ha fatto nulla di male. Ma non siamo venuti al mondo per evitare di fare il male, ma per rispondere al dono che Dio ci ha fatto di sé. C’è una pigrizia malvagia, dice il vangelo, c’è una svogliatezza che nasce da un rapporto con Dio distorto. Dio ci ha donato una ricchezza grande per fare affari: i primi due servi hanno fiutato l’affare, la convenienza di mettere a frutto ciò che avevano ricevuto e così prendono parte alla gioia del padrone. Vivere secondo il dono ricevuto conviene. Forse ci stiamo rendendo conto di aver sepolto il talento, forse è il caso di dissotterrarlo .

Don Andrea Campisi

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