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Quella croce che è
l’«ultimo posto»

Dal Vangelo secondo Giovanni (3,13-17)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo,
il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto,
così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo,
perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non vada perduto,
ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo
per condannare il mondo, ma perché il mondo
sia salvato per mezzo di lui».

La nostra vita e la Parola
vg11set25La croce. La festa dell’Esaltazione della Croce è una festa che normalmente passa inosservata: quest’anno abbiamo la possibilità di scoprirne la ricchezza. Nel 1224, sul monte della Verna, Francesco di Assisi, che là si era ritirato per un periodo di preghiera, proprio all’appressarsi del giorno della Esaltazione della Croce, ricevette le stimmate: “nel crudo sasso intra Tevero et Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo”, recita Dante Alighieri.
San Bonaventura racconta che il santo aprì a caso per tre volte la Scrittura e per tre volte s’imbatté nella Passione del Signore: comprese così che era chiamato ad essere conforme a Cristo nella sua Passione. Le stimmate furono il segno che “l’amore di Cristo aveva trasformato l’amante nella immagine stessa dell’amato”.
Sulla croce risplende l’amore di Dio per l’uomo: chi viene toccato da questo amore, a questo amore viene conformato. È quindi l’occasione per porci di fronte alla profondità dell’amore di Dio che non si è sottratto alla morte perché noi potessimo avere la vita. Possiamo alzare lo sguardo a colui che si è abbassato per essere innalzato.
Come diceva Benedetto XVI: “la croce, nella storia, è l’ultimo posto e il crocifisso non ha nessun posto, è un non-posto: è stato spogliato, è un nessuno, eppure Giovanni nel Vangelo vede questa umiliazione estrema come la vera esaltazione. Così, Gesù è più alto; sì, è all’altezza di Dio perché l’altezza della croce è l’altezza dell’amore di Dio, l’altezza della rinuncia di se stesso e la dedizione agli altri”.
Lo sguardo. Il nostro sguardo è attratto da tante cose oppure spesso si ripiega su se stesso e diventa uno sguardo triste e senza speranza: questo è ciò che porta l’uomo ad ammalarsi, a vivere in uno stato di febbre bruciante, di follia incontrollata, di degradazione umiliante. Fissare lo sguardo su colui che ha offerto la sua vita per noi ed è stato trafitto per la nostra salvezza guarisce il cuore indurito. Possiamo alzare lo sguardo perché Colui a cui guardiamo ci guarda con amore. Il popolo di Israele e noi con lui possiamo riconoscere: “abbiamo peccato perché abbiamo parlato contro il Signore”.

Tutto passa dal riconoscimento umile del nostro peccato, dal mettere da parte l’orgoglio e il risentimento. Invece d’incolpare Dio del male, il popolo comincia a riconoscere il proprio peccato e può alzare lo sguardo. Nella croce l’immagine di Dio che il serpente aveva deturpato agli occhi dell’uomo risplende come una sorpresa strabiliante: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Ognuno di noi è perduto se non viene raggiunto da Colui che s’abbassa per cercarlo.
Don Andrea Campisi

Pubblicato l'11 settembre 2025

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