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Essere umili
è essere veri

Dal Vangelo secondo Luca (14,1.7-14)
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei
per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti:
«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto,
perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che
ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai
con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato,
va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui
che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”.
Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali.
Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo
o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti
né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia
il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto,
invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti.

Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

La nostra vita e la Parola
vg28agL’ultimo posto. San Charles de Foucauld, dopo la conversione, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, giunto a Nazareth, confida nei suoi scritti di aver trovato il posto occupato da Cristo: “tutta la sua vita non è stata che un discendere incarnandosi, facendosi un piccolo bambino obbediente, facendosi povero, abbandonato, esiliato, perseguitato, suppliziato, mettendosi sempre all’ultimo posto”.
Il suo direttore spirituale, che qualche anno prima aveva raccolto la sua confessione, amava ripetere: “Gesù ha occupato così radicalmente l’ultimo posto che più nessuno ha potuto toglierlo di lì”. Questa intuizione, che in seguito mosse tutta la vita di Charles de Foucauld, illumina la pagina di vangelo di questa domenica: Gesù ha vissuto nella sua carne la parabola degli invitati a nozze.
Egli per primo si è abbassato e umiliato, per questo ha potuto dire: “imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro” (Mt 11, 29). In lui non c’era veleno di orgoglio, brama di primeggiare, desiderio di apparire al cospetto degli uomini: per questo ha offerto interamente la sua vita amando anche i suoi nemici.
Abbassarsi. Noi non conosciamo l’umiltà: se cerchiamo di conquistarla quasi fosse una meta da raggiungere, una volta giunti ad averla afferrata, ci ritroviamo più orgogliosi e superbi di quando siamo partiti. Chiedere a Dio l’umiltà significa domandare di prendere coscienza di ciò che siamo realmente. L’umiltà è la verità: essere davanti a Dio e agli uomini così come siamo.

La menzogna ha invece la sua radice nell’orgoglio di Adamo che ha pensato alla sua vita come ad una scalata per diventare come Dio. Così facciamo anche noi, salvo poi scoprire che Dio non è come noi lo pensavamo. Dio è umile. L’umiltà non è questione di un esercizio spirituale fine a se stesso: è invece la condizione per poter amare, per non essere costretti a vivere tutto in funzione del nostro tornaconto. Gesù durante il pranzo a cui era stata invitato promette la beatitudine a chi ama gratis, senza avere contraccambio dagli uomini.
La ricompensa spetta a Dio. Amare senza attendersi il contraccambio è un atto di fede: significa riconoscere che la vera ricchezza viene solo da Lui. Come potremmo rinunciare anche a quel poco che possiamo ottenere dagli uomini se non per la speranza di ricevere molto di più da colui che vede nel segreto e ricompensa e che, solo, è in grado di saziare? (cfr. Mt 6, 1-18), Amare coloro che sono poveri, storpi, ciechi e zoppi è quindi compiere un’opera di vita eterna.
Don Andrea Campisi

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