«Le donne e i giovani sono la speranza dell'Africa»
Ha un biglietto areo per il Sudan già prenotato, ma non sa se riuscirà a partire, dopo il riacuirsi della crisi nel Paese africano che da vent'anni convive con una continua instabilità.
Ci sono guerre che i media italiani non raccontano - o raccontano poco - ma che stanno creando emergenze umanitarie su larga scala. L'Africa, tra i continenti, è tra quelli che hanno meno voce, stretta tra una logica predatoria che ancora le rende schiava di interessi altrui e una incredibile forza quotidiana di "resistenza” che non fa notizia. Proprio su “L’Africa tra violenza e speranza” si soffermerà la giornalista Anna Pozzi venerdì 11 aprile alle ore 18.30 nell’ambito del Laboratorio di mondialità consapevole al centro Il Samaritano di via Giordani 14 a Piacenza. L’incontro è organizzato in collaborazione con Africa Mission-Cooperazione e Sviluppo, una delle realtà piacentine che promuove il percorso insieme all’Università Cattolica. Redattrice del mensile “Mondo e missione”, autrice di reportage per diverse testate, Anna Pozzi (nella foto in alto, durante uno dei suoi viaggi) da venticinque anni almeno si occupa di Africa.
— Qual è l’Africa di cui ci parlerai a Piacenza?
Mi soffermerò sul Sudan e sull’est della Repubblica Democratica del Congo, dove sono in corso due guerre terribili, che hanno portato tanta violenza tra la popolazione civile.
In Sudan si registra la peggior crisi umanitaria del mondo, quasi 13 milioni di persone sfollate o profughe su una popolazione di 40 milioni di abitanti. Questo significa che una grossissima fetta della popolazione non vive nelle proprie case e non ha possibilità di avere accesso, per esempio, alle cure sanitarie, perché l'80% degli ospedali non è funzionante. Chi vive nel Darfur da vent’anni continua a subire violenze, vessazioni, stupri di massa.
— Anche l’Est del Congo è in crisi da anni...
Sì, e da gennaio città come Goma e Bukavu sono occupate dal movimento M23, sostenuto dal Ruanda. Anche lì migliaia di morti, gente scappata dalle proprie case in un contesto dove già c’erano migliaia di sfollati. Una situazione critica anche perché questo territorio è occupato, ma non gestito dall’M23.
— Con che conseguenze?
Le banche sono ancora chiuse: è gravissimo, perché non vengono pagati gli stipendi e quindi tutto il personale della pubblica amministrazione, insegnanti compresi, non lavorano o, se lavorano, chiedono alle famiglie di pagare i loro stipendi. Ma le famiglie non mandano i bambini a scuola perché hanno paura che vengano reclutati a forza da gruppi di ribelli o di banditi. C’è poi il Sahel, attraversato da gruppi terroristici di stampo jihadista. Anche qui ci sono milioni di profughi e sfollati.
Anna Pozzi durante un reportage in Ciad.
— Quali segni di speranza vedi, invece?
Le donne sono dei pilastri per le società africane anche nelle condizioni più difficili: tengono in piedi le famiglie, le comunità e spesso subiscono anche le peggiori violenze. E i tantissimi giovani, sempre più coscienti sia dei loro diritti - anche dei loro diritti negati - che quindi diventano attivisti. Si stanno mobilitando su vari fronti: quello ambientale e climatico - nell’Africa orientale non piove da 4, 5, 6 anni oppure ci sono devastanti inondazioni -, quello dei diritti civili, anche negli Stati politicamente più stabili. E impegnarsi pubblicamente su questi fronti a volte comporta anche mettere a rischio la propria vita.
— L'Africa è poco presente sui media italiani. Come possiamo capirne di più?
L'Africa nelle notizie degli esteri copre circa il 4% nei principali media italiani e molto spesso si riferisce o a grandi catastrofi o a fatti che ci riguardano da vicino, per esempio la Libia per la questione dei migranti, l'Algeria per i rapporti economici più stretti legati al gas. Si parla di Africa in maniera talmente episodica che non rimane assolutamente nella consapevolezza e nell'immaginario collettivo. Pensiamo al Sudan, non ne parla veramente nessuno. Dell'est del Congo si è parlato quando è stata presa una città di 2 milioni di abitanti come Goma, poi è sparito. Ma anche l'America Latina è poco rappresentata sui media italiani, anzi, forse anche meno dell'Africa.
— Siamo ancora troppo euro o Usa-centrici?
C'è uno sguardo ristretto, miope, che però non ci permette di capire anche i grandi fenomeni che avvengono in un mondo sempre più interconnesso e interdipendente. Ci priva degli strumenti per capire non solo situazioni africane, ma anche situazioni che sono molto più rappresentate e narrate ma che sono complesse, penso a quel che sta succedendo in Ucraina, in Israele, negli Stati Uniti...
— Come reagire?
Ci sono tanti strumenti a disposizione, richiedono solo un piccolo sforzo di ricerca. Noi italiani tendiamo ad essere attori passivi dell'informazione: la subiamo o finiamo nelle bolle dei social media. Invece ci sono strumenti cartacei o digitali, c'è molto materiale in Rete, tanta informazione, anche da giornali locali stranieri, che può offrire punti di vista diversi. Un limite è la mancanza di conoscenza delle lingue. Ma chi desidera in realtà può trovare tanto materiale di qualità, basta voler cercare.
Barbara Sartori
Pubblicato l'8 aprile 2025
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