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Andrea Tornielli: «La comunicazione serve all’evangelizzazione, ma non come marketing»

Tornielli Cevolotto Dossena 1

“Il Giubileo ha messo in luce l’importanza di riscoprire la bellezza di essere chiamati insieme, a essere in rapporto gli uni con gli altri. Questo riscoprirci insieme è una cosa di cui abbiamo bisogno”. Sono le parole di Andrea Tornielli, giornalista e direttore editoriale dei media vaticani al Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, che ha parlato a Piacenza nella serata di giovedì 11 dicembre. “Il Giubileo non è finito” è stato il tema dell’iniziativa, promossa dal nostro settimanale insieme all’Ufficio pellegrinaggi e alla Pastorale giovanile e vocazionale della diocesi, che si è tenuta nell’oratorio della parrocchia cittadina del Corpus Domini. Tornielli è intervenuto insieme al vescovo mons. Adriano Cevolotto, ha moderato l’incontro il giornalista Andrea Dossena, collaboratore del nostro settimanale. La serata è stata aperta e chiusa dal coro delle parrocchie di San Savino, San Paolo e Sant’Anna, diretto da Cristina Fumi e Anna Solinas. Prima degli interventi dei relatori, hanno portato la propria testimonianza quattro ragazzi che hanno partecipato al Giubileo dei giovani e ai pellegrinaggi diocesani: Matteo Debè di San Giorgio Piacentino, Elena Orsi della parrocchia cittadina del Preziosissimo Sangue, Marisa Prata di Roveleto di Cadeo e Roberta Preziosi.

“La Chiesa brilla della luce riflessa di Cristo”

Mentre il Giubileo, indetto da papa Francesco e “proseguito” da papa Leone XIV, volge al termine, l’invito è quello di continuare ad aprire le porte “sante” capaci di “annunciare al mondo qualcosa che dobbiamo far brillare e testimoniare”. Ma attenzione: “Non va bene se la fede si affida a strategie di marketing o influencer – ha avvertito Tornielli – perché la luce che deve brillare non è la nostra. Papa Francesco diceva che la Chiesa è come la luna, perché brilla della luce riflessa di Cristo. E così dobbiamo fare anche noi”. La grande partecipazione agli eventi nella Capitale è un segnale importante. “Oggi tutto cospira per farci stare chiusi in casa – ha rilevato il capo della comunicazione della Santa Sede – perfetti consumatori di quello che ci vogliono vendere, incapaci di relazioni umane. Anche le mobilitazioni che ci sono state per chiedere che si fermassero i massacri a Gaza, vedere che c’è ancora qualcosa in grado di far muovere le coscienze è un messaggio importante”.

“Una Chiesa senza speranza perde il suo sapore”

“I vari giubilei vissuti quest’anno – ha riflettuto mons. Cevolotto – sono stati segnati dalla gioia, espressa in modi diversi. La sensazione era quella di condividere qualcosa di profondo che nasceva dall’essere in quel luogo. Andare a Roma quest’anno ha avuto un sapore diverso, sono stati momenti molto intensi”. Il Vescovo ha sottolineato il valore della speranza. “Una comunità non può non avere speranza – ha detto – il messaggio che papa Francesco ci ha consegnato è di dare centralità di questa virtù, alla quale è più difficile convertirci. Ma una Chiesa senza speranza perde il suo sapore. Viviamo l’emergenza della sfiducia, che è grave come quella educativa. Papa Francesco ha avuto una grande intuizione: la nostra vita ha un motore, è quella speranza che ci conduce e ci fa dire che nulla è impossibile a Dio. La cosa più grande è che Dio prende la forma umana e sia come noi, per alcuni anni ha avuto bisogno di essere preso «in carico» da due genitori, Maria e Giuseppe. Sapere che c’è qualcuno che ci attende credo sia realmente il motore che ci fa superare qualsiasi atteggiamento sedentario, di rinunciare, di accontentarci”. “Al Giubileo – ha proseguito mons. Cevolotto – eravamo noi, i battezzati, a invocare la misericordia e la grazia. È stata un’immersione nella vicenda del popolo di Dio, con la dimensione dell’universalità di una Chiesa che abbraccia tutto il mondo che ci insegna ad andare oltre i nostri provincialismi e abbattere la pretesa di essere al centro del mondo. Alcuni eventi diventano degli altari piantati sul cammino, a cui si può tornare. È bene che l’anno giubilare si chiuda, ma il cammino giubilare continua. Dovremmo custodire la bellezza e la forza di quei momenti per dire che quella cosa si può alimentare. Se il fuoco ti ha riscaldato dentro, non ti puoi accontentare di vivere senza. La mia speranza è che le grazie che abbiamo vissuto possano essere custodite e alimentate”.

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Mongolia e Libano: “Situazioni in cui Dio opera fanno ben sperare”

Andrea Tornielli ha raccontato un viaggio in Mongolia fatto con papa Francesco per sottolineare la “fede impressionante” testimoniata in zone del mondo “anche in condizioni minoritarie”. “Riuscimmo col drone a fare una foto al Papa con tutti i cristiani del paese, pochissimi, circa 1500. Ci sono tanti esempi di questo genere. Da poco sono tornato da un viaggio in Turchia e Libano con papa Leone e anche lì abbiamo conosciuto testimonianze importanti: vedere situazioni come queste, in cui Dio opera, fa ben sperare”. Proprio la speranza è stata testimoniata a Roma dai tanti fedeli che hanno partecipato al Giubileo. “Non credo che fede ed evangelizzazione debbano puntare sui numeri – ha annotato Tornielli – la genialità che Francesco ha voluto dare al Giubileo è il messaggio secondo cui è sempre possibile ricominciare, partendo da qualsiasi condizione”.

Una Chiesa che accoglie: dalla disabilità ai non battezzati

L’incontro più emozionante del Giubileo, per il vescovo mons. Cevolotto, è stato “un momento molto particolare vissuto con le persone con disabilità”. “È stato, tra l’altro, il modo migliore per festeggiare il mio compleanno. Alcune persone sono delle porte sante, perché ci fanno entrare in un altro modo di vivere, hanno un modo disarmante di conquistarci”. Alla stessa sollecitazione, Tornielli ha ricordato l’incontro con “una giovane scrittrice di origine iraniana, non battezzata, nella serata delle confessioni” in occasione del Giubileo della comunicazione. “Quando tutti andavano a confessarsi, anche lei era coinvolta nel clima che si era creato, e mi chiese se potesse andare anche lei. Grazie a Dio ha trovato un prete africano che l’ha accolta e ha parlato con lei, che si è sciolta come non le era mai accaduto in vita sua. Tutti noi abbiamo bisogno di essere evangelizzati, come accadde a Zaccheo, secondo una logica che non è mai quella della pretesa ma di un amore gratuito”.

Il Giubileo tra Francesco e Leone

Da direttore dei media vaticani, Andrea Tornielli ha vissuto da vicino gli ultimi mesi di papa Francesco e l’elezione di papa Leone, un avvicendamento verificatosi nel bel mezzo del Giubileo. “Francesco era malato, e spesso era fisicamente assente. Quando è arrivato Leone, settantenne (un papa così giovane non lo avevamo dal 1990, era Giovanni Paolo II), si è buttato a capofitto in tutte le attività, ha preso l’eredità e si è lanciato con una mole di attività impressionante. Francesco insisteva sul tema del guardare il centro dalle periferie, già nel suo primo discorso aveva detto di provenire «quasi dalla fine del mondo», ma in realtà era nato nella capitale argentina (Buenos Aires, nda) ed era stato arcivescovo della città. Leone invece, seppur americano, ha fatto il missionario e viene davvero dalle periferie. Quando si affacciò al balcone per la prima volta non parlò nella sua lingua ma in spagnolo, oltre che in italiano, e citò la sua diocesi peruviana di Chiclayo.

“Comunicare è cruciale per l’evangelizzazione”

È compito di tutti comunicare per annunciare il Vangelo. Dossena ha ricordato come la Chiesa asiatica si stia interrogando su come rapportare il Cristianesimo all’intelligenza artificiale, e quindi su come raccontare la Chiesa coi mezzi complessi che abbiamo oggi. “Sono i mezzi di oggi, che i giovani sanno già usare – ha detto Tornielli – è la nostra generazione che deve imparare. La sfida riguarda tutti, non solo i professionisti della comunicazione. Comunicare è cruciale per l’evangelizzazione, bisogna offrire testimonianze e piccole storie di speranza che accadono vicino a noi. Le prediche sono importanti ma la forza che ha la testimonianza della vita cambiata è molto più intensa. Fa mille volte più effetto, in favore della vita, la testimonianza di una mamma che ha deciso di non abortire e di tenere il bambino. Mentre di fronte a una posizione teorica ci si può contrapporre, con una testimonianza di vita ci si trova davanti a una storia. C’è bisogno che ci vengano raccontate storie di speranza, anche piccole esperienze positive. Non compete solo ai giornalisti. Noi alla Santa Sede dobbiamo comunicare le parole del Papa ma abbiamo anche bisogno di ricevere storie da tutto il mondo per testimoniare che nel mondo la fede vive, ci sono storie di speranza. In tutti gli articoli che parlano del dramma della guerra cerchiamo di mettere un punto di luce. Non per distorcere la realtà ma per mostrare che c’è una speranza: persone capaci di aiutare, che non si abbandonano all’odio. È importante, come comunicatori, avere uno sguardo diverso sulla realtà.

Marisa Prata Roberta Preziosi Elena Orsi Matteo Debe Andrea Dossena

Sopra, da sinistra Marisa Prata, Roberta Preziosi, Elena Orsi, Matteo Debè, Andrea Dossena.

“L’indulgenza guarisce la memoria del male”

Mercoledì 17 dicembre in Cattedrale, a partire dalle ore 9, è in programma la celebrazione della speranza aperta a tutti coloro che desiderano accogliere il dono dell’indulgenza. Si parte con confessioni, poi alle ore 10.30 ci sarà la celebrazione eucaristica presieduta da don Mimmo Pascariello. A seguire, le confessioni proseguiranno fino alle ore 12. La parola «indulgenza» a qualcuno può evocare il passato. “È importante capire la dinamica del male e del peccato – ha spiegato il vescovo mons. Adriano Cevolotto – perché solitamente tendiamo a isolarlo e a mettercelo alle spalle. Non funziona così, perché il male fa male nel tempo, sia a noi sia fuori di noi. Se succede spesso, la coscienza si adatta e non si crea più il problema. L’indulgenza interviene sul residuo, sulle conseguenze del male. E quindi si attinge al «tesoro» della Chiesa, alla santità, a cui contribuiamo tutti quando viviamo la nostra fedeltà battesimale. A questo bene viene associata la forma dell’indulgenza per guarire e sanare quella memoria da cui facciamo fatica a liberarci. È qui la grazia del Giubileo”. L’Anno Santo in diocesi si chiuderà ufficialmente domenica 28 dicembre alle ore 16 con una messa presieduta dal Vescovo nella basilica di Santa Maria di Campagna a Piacenza.

Francesco Petronzio

Pubblicato il 12 dicembre 2025

Nelle foto: dall'alto, da sinistra Andrea Tornielli, mons. Adriano Cevolotto e Andrea Dossena; il pubblico presente.

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