Il Natale in una città che cambia

La notte di Natale, nella cattedrale di Piacenza, ha avuto il respiro ampio delle grandi occasioni e il passo discreto delle cose essenziali. I canti della corale del duomo che si alzavano dalla navata come un unico respiro, hanno accompagnato una celebrazione sentita e partecipata. Davanti all’altare, un’assemblea composita: famiglie piacentine da generazioni, volti nuovi arrivati da altri Paesi, lingue e storie diverse riunite attorno allo stesso annuncio. Un’immagine viva di una città che cambia e si intreccia, specchio fedele del tempo che abitiamo.
Il Natale non è una parentesi sentimentale
È in questo contesto che il vescovo mons. Adriano Cevolotto ha pronunciato un’omelia, capace di tenere insieme Vangelo e realtà, storia e attualità. Il filo conduttore è stato chiaro fin dall’inizio: il Natale non è una parentesi sentimentale, ma una sfida radicale al modo in cui il mondo esercita il potere. Al centro della riflessione, il racconto evangelico del censimento voluto da Cesare Augusto. Un atto amministrativo, apparentemente neutro, che nasconde però la logica del controllo: contare per dominare, registrare per governare, misurare per esercitare potere. «Contare», ha ricordato il vescovo, non è solo un’operazione matematica: significa avere peso, importanza, visibilità. Significa esistere agli occhi del sistema.

Un evento che sfugge ai database di ogni tempo
Eppure, proprio mentre l’imperatore tenta di tenere sotto controllo il suo immenso impero, Dio compie la sua mossa decisiva altrove, lontano dai centri del potere, in una periferia dimenticata, in un ricovero per animali. È lì che nasce il Figlio di Dio. Un evento che sfugge ai registri, alle statistiche, ai database di ogni tempo. Un evento che non può essere previsto né misurato.
«A Cesare sfugge l’essenziale», ha sottolineato mons. Cevolotto. Gli sfugge che la vera novità della storia non nasce nei palazzi, ma nella fragilità. Che ciò che conta davvero non sempre appare rilevante secondo i criteri umani. L’opera di Dio non è quantificabile, non è tracciabile, non produce dati. E proprio per questo destabilizza ogni potere che pretende di spiegare e controllare tutto.
Il Natale un dono gratuito
Da qui l’affondo più profondo: molto di ciò che dà senso alla vita non è misurabile. L’amore, la fiducia, la speranza, il dono gratuito restano fuori dai grafici e dalle percentuali. Eppure sono ciò che regge il mondo. L’“imponderabile” – ha detto il vescovo – non è un dettaglio trascurabile, ma il cuore stesso della realtà.
Il Natale, allora, si rivela per ciò che è davvero: un dono gratuito, non meritato, non strategico. Un dono che Dio fa senza calcoli, senza attendersi risultati. A riceverlo per primi non sono i potenti, ma i pastori: figure marginali, poveri, considerati inaffidabili nella società del tempo. A loro viene affidato l’annuncio più grande. Un segno inequivocabile dello stile di Dio, che sceglie chi non conta per mostrare che tutti contano.
Dio non si glorifica nelle percentuali
Mons. Cevolotto ha condiviso anche una nota personale, ricordando come da giovane sacerdote provasse una certa fatica davanti alle chiese gremite solo nella notte di Natale. Col tempo ha detto di aver compreso che anche quella folla occasionale è parte del mistero: persone che forse non torneranno presto, ma che in quella notte vengono comunque raggiunte da un dono che non chiede garanzie. È qui che il vescovo ha richiamato le parole di Benedetto XVI, quando era ancora il card. Ratzinger: Dio non si glorifica nelle percentuali, ma nel cuore delle persone. Non cerca performance, non misura il successo in numeri. Accetta ciascuno così com’è, nella sua misura fragile. Agisce senza condizioni, senza pretendere ritorni. Da questa logica nasce anche la sfida più grande: convertirsi al Natale. Lasciare l’ossessione del risultato, del tornaconto, della prestazione. Smettere di vivere solo in funzione di ciò che rende o produce. Accettare di essere amati prima ancora di fare qualcosa. È una conversione difficile, ha ammesso mons. Cevolotto, perché tocca in profondità il nostro modo di stare al mondo. Ma è anche la via della libertà e della gioia autentica. Solo entrando in questa “scuola del Natale” – ha concluso – si può riscoprire la leggerezza del dono, la bellezza di amare senza calcoli, la pace di chi non deve dimostrare nulla. È lì che nasce la vera gioia, quella che non dipende dalle circostanze, ma dalla certezza di essere amati.
Un augurio, una stretta di mano
Al termine della celebrazione, il vescovo ha compiuto un gesto semplice e carico di significato: si è posto in fondo alla chiesa, salutando uno ad uno i fedeli, scambiando un augurio, uno sguardo, una stretta di mano. Un gesto che ha riassunto l’intera omelia. Il Natale, ancora una volta, si è rivelato per ciò che è: un Dio che non si impone dall’alto, ma si lascia incontrare, silenzioso, alla portata di tutti. E che continua, ostinatamente, a scommettere sull’uomo.
Riccardo Tonna
Nelle foto, la messa della notte di Natale in Cattedrale.
Pubblicato il 26 dicembre 2025


