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Meeting Rimini: card. Pizzaballa: «guerra in un momento decisivo, è l’ultimo treno»

pizzaballa

“La comunità cristiana (della Terra Santa) deve portare dentro il dibattito pubblico la possibilità del perdono. Forse ora non si può fare. Bisogna attendere e lavorare a livello personale, comunitario e pubblico”. È quanto affermato dal patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, nel suo intervento inaugurale alla 45ª edizione del Meeting di Rimini. Sollecitato da una domanda sul perdono, il patriarca ha avvertito che “parlare di perdono in Terra Santa non è un’astrazione. Giustizia, perdono, sono per noi parole importanti, difficili e che toccano concretamente la carne e la vita delle persone”. Tuttavia, “la fede cristiana non può essere separata dall’idea di perdono. La fede è l’incontro con Cristo che ti salva e perdona. La consapevolezza di essere peccatore non è una condanna ma annuncio di salvezza”. Per il patriarca “perdono e giustizia, a livello personale, sono quasi sinonimi se illuminati dalla fede: Gesù, sulla croce, non ha atteso che si facesse giustizia per perdonare. Ha perdonato”.
A livello comunitario e pubblico, ha aggiunto, “sono separati perché la comunità si regge anche su altre parole, come dignità, uguaglianza. Sono termini costitutivi della vita di una comunità”. “Perdonare senza che ci sia dignità e uguaglianza – ha ribadito Pizzaballa – significa giustificare un male che si sta compiendo. Il perdono chiede dinamiche che vogliono tempo, un processo di guarigione e un tempo di riconoscimento del male e dell’ingiustizia commessa. Il perdono ha bisogno anche di una parola di verità. Se non dici le cose con chiarezza, cosa perdoni?”. “In Sud Africa dopo l’apartheid c’è stata una commissione che ha lavorato anni per valutare, capire, guarire riconoscere. Non è semplice. Per un palestinese oggi perdonare significa giustificare quello che sta accadendo. Non può farlo. Deve attendere. Ma come pastore – ha concluso – devo ricordare che la giustizia senza perdono diventa recriminazione. Può diventare vendetta. Lo scopo non è relegare l’altro in un angolo, ma superare questa situazione e questo lo può fare solo il perdono”.

L'antisemitismo è un dramma

“L’antisemitismo è un dramma. Un conto è criticare la politica di un governo, che può essere legittimo. Un conto è dire non puoi essere ebreo. Questo è inaccettabile e deve essere condannato. Sono narrative escludenti, pro Palestina, pro Israele, uno esclude l’altro”. Lo ha denunciato il card. Pierbattista Pizzaballa, “L’antisemitismo – ha detto – è una cartina di tornasole per capire anche quali sono i modelli su cui la società si mantiene e si costruisce. Quando dici: ‘Tu perché sei ebreo, musulmano o cristiano, non hai diritti devi essere escluso’, è un momento di grande decadenza della civiltà. Una civiltà si costruisce ‘con’ e non ‘contro’. Qui la responsabilità dei religiosi è importante – ha aggiunto –. Bisogna evitare – anche se l’antisemitismo attuale ha un’impronta più politica che religiosa – di diventare strumentali a questo e creare una cultura di relazioni, di accoglienza l’uno nei confronti l’altro, dove nessuno è escluso”. Riguardo all’impegno dei cristiani nella riconciliazione in Terra Santa, Pizzaballa ha poi affermato: “Nessuno è in attesa che la comunità cristiana faccia qualcosa e risolva i problemi. Politicamente siamo più o meno irrilevanti, se lo posso dire: questo forse farà arrabbiare qualcuno, ma è così. La prima cosa è stare lì, esserci. Non cadere della tentazione di volere per forza avere un ruolo dentro questa situazione, ma essere capaci di dire una parola. Innanzitutto, sostenere la propria comunità e incoraggiare. Ed essere presenti: non possiamo risolvere tutti i problemi però dobbiamo essere presenti. Possiamo dire una parola di verità, che non sia su quello che sta accadendo ma una parola in cui la gente si possa riconoscere, senza però diventare parte di uno scontro”.

Pubblicato il 21 agosto 2024

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