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Henri De Lubac (1896-1991)

La cattolicità e la ricerca della sintesi

DELUBAC


Il padre De Lubac è stato definito dai suoi studenti della Facoltà Cattolica di Lione e dello Scolasticato dei gesuiti di Fourvière, “testimone della tradizione”. Lo stesso De Lubac, scrivendo la prefazione alla sua Opera Omnia (iniziata nel 1979 e programmata in circa 30 volumi), presenta il suo lavoro teologico in questi termini: “Il mio sforzo è fondamentalmente costituito, anche quando ho dovuto prendere parte dalle lotte del nostro tempo, nel far conoscere, e quindi anche meglio giudicare e meglio amare, i tesori della grande tradizione cattolica”.

Eppure De Lubac, negli anni ’50 del Novecento, è stato allontanato dall’insegnamento, rimosso dalla vita accademica, ridotto per anni al silenzio con l’accusa di neo-modernismo. Un “paradosso”, come il titolo di una sua famosa raccolta di saggi sulla Chiesa (Paradossi, 1956).

Si era fatto conoscere con l’opera Cattolicismo del 1938 che rimane la sua opera maggiore. Il saggio non intendeva essere una presentazione globale del cattolicesimo, ma voleva solamente recuperare la dimensione sociale, come ben esprime il sottotitolo, Gli aspetti sociali del Dogma. La Chiesa Cattolica è universale ed ha una componente sociale essenziale: si rivolge “a tutti gli uomini e a tutto l’uomo”. La vita ecclesiale è improntata ad una solidarietà universale, la speranza cristiana è speranza di una salvezza collettiva, non solo individuale, proiettata sì verso la visione della città celeste, ma impegnata nella costruzione delle comunità umane, nell’unità del genere umano. La comunione è il dono da custodire per tutti. Il grande avversario di De Lubac è l’individualismo che, secondo la sua analisi, è penetrato nella teologia e nella Chiesa attraverso la logica aristotelica, il diritto romano, la filosofia moderna dal razionalismo in poi, il pensiero liberale. Occorre dunque reagire, lavorando alla costruzione di un nuovo umanesimo.

Per De Lubac la teologia si è troppo preoccupata di essere “contro” Lutero, Baio, Loisy, i filosofi moderni, dimenticando di lavorare per costruire “nuove sintesi”. La mancanza di nuove sintesi ha poi determinato la riproposizione dell’unica sintesi disponibile, vale a dire la sintesi tomista, riproposta con forza sulla fine del XIX secolo. E così, secondo De Lubac, la teologia si è impoverita. Da qui il ritorno alla teologia dei Padri, alla riscoperta di modelli diversi oltre quello di S. Tommaso.
L’accusa di modernismo, nel clima infuocato degli anni ‘40 del Novecento, era scontata. Ma De Lubac si è affrettato a precisare, attraverso uno splendido saggio del 1949, intitolato Conoscenza di Dio, che poi entrerà in una delle sue opere più riuscite Sulle vie di Dio del 1956, che il ritorno ai Padri non era per andare contro San Tommaso, che San Tommaso è sì il “Doctor communis” come veniva definito dalla Scolastica, ma non il “Dottore esclusivo”, che la philosophia perennis, quella del pensiero della Chiesa da Trento in poi, deve essere integrata da altre forme di pensiero, compreso il pensiero mistico.
Si coglie allora tutto lo sforzo per uno studio della tradizione attento e profondo. Con Danielou iniziò la collana di testi patristici Sources Chrétiennes nel 1942, che ancora oggi è un punto di riferimento obbligato nello studio dei Padri e delle fonti del pensiero cristiano.

Studiando Origene, in Storia e Spirito del 1950, avvertì il pericolo di una lettura della Scrittura solo tecnica, puramente esegetica, incapace di scoprire oltre la “lettera” lo “spirito”. Negli studi sulla Chiesa riscoprì la categoria di “mistero” che faceva superare definitivamente la definizione della Chiesa come Società perfetta. Con Corpus Mysticum del 1944 riscoprì la centralità dell’Eucaristia nel fare la Chiesa. Attorno all’eucaristia nasce la Chiesa e si mantiene lungo i secoli in condizioni di comunione.
Con Soprannaturale del 1946, ha combattuto l’idea che Dio si fosse chiuso in un mondo irraggiungibile dall’uomo, mentre è stato Dio stesso che ha messo nell’uomo la nostalgia della sua presenza e il desiderio di vederlo faccia a faccia. Naturale e soprannaturale non sono due piani distinti e contrapposti. La Grazia non si aggiunge alla natura successivamente (prima la creazione e poi l’elevazione della Grazia), ma è dentro la natura dal principio. La creazione stessa è la prima Grazia, è nell’ordine della Grazia. È stata l’opera che gli ha creato più problemi con l’autorità. Hans Urs von Balthasar con ironia ricostruisce la sua vicenda: “Con Surnaturel fa ingresso il giovane David contro il Golia della razionalizzazione della fede e la logicizzazione del mistero cristiano. La fionda colpisce mortalmente, ma gli accoliti del gigante si impossessano dell’eroe e per lungo tempo lo riducono al silenzio”.

Il libro, pubblicato solo in 700 copie, è uno studio che si compone di 4 studi storici e una conclusione esplosiva per quei tempi, ripresa poi in uno studio successivo con il titolo Il mistero del soprannaturale, del 1949. Il programma enunciato è il superamento della visione estrinsicista della Grazia, difesa dalla scuola tomista.

La sua notevole apertura mentale, supportata da una grande conoscenza dei Padri e dei Maestri Medievali (i 4 voll. di Esegesi medievale, 1949-64), non fu capita, anzi giudicata con sospetto. Gli fu addebitato, in teologia, di preferire l’esperienza religiosa alla ragione, di sostenere l’idea dello sviluppo dei dogmi, di mettere in secondo piano le prove apologetiche della teologia speculativa, di non considerare abbastanza il Magistero.

Rimase male per il fatto che si parlasse di lui come di un autore pericoloso senza mai conoscere le tesi che erano considerate erronee. Durante il periodo di silenzio, durato 8 anni circa, si rifugiò a Parigi, dove continuò a studiare e a scrivere senza mai pubblicare. Nacquero in quel periodo le sue Meditazioni sulla Chiesa. Profondo conoscitore del lontano Oriente, si aprì al dialogo con le altre religioni, in particolare il Buddismo (in Buddismo e Occidente del 1952). Affrontò il dramma dell’umanesimo ateo (in un saggio del 1946), e perfino della mistica.

Convocato il Concilio fu nominato consultore della Commissione preparatoria, dominata da Ottaviani, che cercò di limitare la sua influenza. Partecipò al Concilio come perito di un vescovo del Madagascar. Nessun vescovo francese, per opportunità, lo aveva voluto. Il suo pensiero fu però determinante nei lavori conciliari.

Dopo il Concilio fu creato Cardinale nel 1983. Fu molto critico negli anni del post-concilio verso le derive ultraprogressiste. Per questo motivo fu tra i soci fondatori della rivista internazionale Communio, che voleva opporsi a quanti seguivano a-criticamente proposte innovative, ma senza fondamento nella tradizione autentica della Chiesa.

Lo stile del lavoro teologico

Tutto il lavoro teologico di De Lubac sembra essere il frutto di pazienti lavori preparatori, che però, nel suo caso, non si perdono in analisi inutili o accecanti, ma lo conducono progressivamente a un solo sguardo. "Sguardo" che è frutto del delicato equilibrio da lui raggiunto tra un'analisi molto attenta e ben documentata e una visione sintetica che, secondo l'indicazione metodologica del filosofo belga Jean Ladrière (1921-2007), consente di "guardare le cose da più lontano e con uno sguardo più penetrante". [...] Nel volume La struttura e il simbolo degli Apostoli, egli sembra leggere il tema del "solo sguardo" anche in riferimento al carattere sintetico e personale dell'intero percorso della fede: "La fede non è solo un modo di conoscere. È tutt'altra cosa che una semplice convinzione. È un atto essenzialmente personale, che impegna, se è ben compreso, il fondo dell'essere. Lo orienta per intero. Così è stato possibile dire che è sintesi totale”.

E nelle opere sulla Chiesa, riflettendo sul rapporto tra fede e dogma, segnala come l'approfondimento del mistero nella Chiesa debba andare verso l'unità e la semplicità di uno “sguardo contemplativo”, in grado di integrare e compensare il movimento più laborioso, molteplice e oggettivo dell'elaborazione dogmatica. La ricerca di questo “sguardo” contemplativo, semplice e silenzioso, costituisce quindi, per De Lubac, uno degli obiettivi fondamentali delle sue ricerche.

Profilo biografico

Nato a Cambrai nel 1896, entrò nella Compagnia di Gesù a Lione nel 1913, e fu ordinato presbitero nel 1927.
Fu professore di teologia fondamentale nella Facoltà Teologica di Lione dal 1929 al 1961.
Durante la Seconda guerra mondiale fu costretto a vivere nascosto per la sua partecipazione alla resistenza francese.
Dopo la pubblicazione di Surnaturel del 1946 è accusato di modernismo.
Nel 1950, a causa dell'enciclica Humani generis gli viene tolto l’insegnamento, e i suoi libri sono ritirati dalle scuole e dagli istituti di formazione. Lascia Lione e si stabilisce a Parigi, continuando a studiare e a scrivere.
Nel 1958 viene riabilitato.
Nel 1960 è nominato da papa Giovanni XXIII consultore della Commissione Teologica preparatoria al Concilio Vaticano II, e successivamente partecipa al Concilio come perito.
Nel 1983 papa Giovanni Paolo II lo crea cardinale. Negli ultimi anni della sua vita continuò a scrivere, nonostante l'età, la malattia, la paralisi e la perdita della voce.
Morì all'età di 95 anni nel 1991.

Opere principali

Cattolicismo. Gli aspetti sociali del dogma (1938).
Corpus Mysticum. L'Eucarestia e la Chiesa nel Medioevo (1944).
Soprannaturale. Studio storico (1946).
Paradossi (1946).
La conoscenza di Dio (1948).
Storia e Spirito. L'intelligenza della Scrittura in Origene (1950).
Meditazione sulla Chiesa (1953).
Sulle vie di Dio (1956) edizione riveduta di La conoscenza di Dio.
Esegesi medievale (1959–64) 4 voll.
Il Mistero del Soprannaturale (1965) edizione riveduta e di Soprannaturale.
Paradosso e Mistero della Chiesa (1967).
Quaderni del Concilio (2009) opera postuma

a cura di
Lucia Romiti

Pubblicato il 7 novembre 2024

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6 soleviev

Definire Vladimir S. Solovëv (1853-1900) è cosa ardua. Profeta e visionario, scienziato, poeta, filosofo e teologo, innamorato della Sapienza divina (Sofia), letterato e critico, spirito ecumenico: è un po’ tutte queste cose insieme e, nello stesso tempo, propriamente, nessuna di esse.
Hans Urs von Balthasar lo ha considerato “l’autore della più universale creazione speculativa dell’età moderna, il pensatore che può essere considerato, accanto a Tommaso d’Aquino, come il più grande artefice di ordine e di organizzazione nella storia del pensiero” (Gloria III).
È stato anche definito da B. Dupuy “l’Origene dei tempi moderni”. La sua produzione letteraria e religiosa ha condizionato gran parte della cultura russa d’inizio Novecento: la poesia dei simbolisti (Ivanov, Belyi, Blok), la riflessione teologica degli autori religiosi (Bulgakov, Florenskij).
Lisa Ginzburg ha definito la sua prosa “narrativa pirotecnica”.

Profilo biografico

Ingegno precoce e lettore infaticabile, subisce ancora adolescente una profonda crisi religiosa e di fede. “Non riuscivo a capire - confessa - come ci potessero essere persone intelligenti che ciononostante conservassero la fede in Cristo”.
Superata la crisi religiosa, anche attraverso letture di filosofi, in particolare di Spinoza, a 16 anni si iscrive alla Facoltà storico-filologica dell’Università di Mosca e frequenta contemporaneamente la Facoltà di Fisica-matematica. Dopo le Lauree, si iscrive all’Accademia Teologica, dove completa la dissertazione per la libera docenza su La crisi della filosofia occidentale (1874). In quest’opera egli propone “una sintesi delle conoscenze”: quella scientifica, quella formale (logica e matematica), quella filosofica e quella teologica o dell’Assoluto. Solo quest’ultima è in grado di svelare la ragione ultima della speculazione filosofica e il significato autentico delle scienze positive.
Negli anni 1874-81 è impegnato sia in lezioni universitarie a Mosca e a Pietroburgo, sia nello studio dei Padri della Chiesa, dei Salmi, di Platone e dei cultori delle scienze antropologiche. Fu un tenace ed assiduo autodidatta, spaziando in tal modo su tutti i campi dello scibile, aiutato da una estesa conoscenza di molte lingue antiche e moderne. Compì frequenti viaggi all’estero (Polonia, Inghilterra, Francia, Italia, Germania, Egitto) stringendo numerose amicizie.
Già gravemente ammalato, a metà luglio 1900, accolse l’invito di recarsi nei pressi di Mosca, nella tenuta dei Trubeckoj a Uzkoe. Gli sforzi dei medici risultarono vani: giorni dopo ricevette la comunione, pregando in continuazione, in particolare per il popolo ebraico; e la sera del 13 agosto (il 31 luglio per il calendario russo) si spense serenamente.
Chi è stato Solovëv?
Per rispondere alla domanda Evdokimov, uno dei più grandi teologi ortodossi contemporanei, lo tratteggia così: “Altissimo, magro, di aspetto ascetico, reliquia vivente secondo gli amici, aveva la testa di un profeta del Vecchio Testamento, degli occhi meravigliosi e lo sguardo sempre perduto lontano, fisso in qualche cosa dell’aldilà. Aveva il dono della chiaroveggenza e spesso scorgeva quello che avveniva lontano da lui. La gente andava a chiedergli consiglio, con gli occhi immobili, costantemente in preghiera, egli rispondeva ... Di una gaiezza contagiosa e di una bontà illimitata, spesso non poteva uscire di casa perché aveva distribuito tutte le sue vesti ai poveri. Era un vero pellegrino, che non aveva né alloggio fisso né preoccupazioni materiali” (Cristo nel pensiero russo, 107).

La riflessione teologica sulla Sofia

La sua vita è illuminata da visioni della Sofia (la Sapienza) dentro alcuni incontri misteriosi.
La sua prima visione la ebbe a 9 anni: la Sofia gli appare per un istante durante la Divina Liturgia (l’Eucaristia) al canto del Cherubikon.
A 22 anni, mentre è in biblioteca del British Museum di Londra, sente la voce della Sofia che lo spinge ad andare in Egitto “ai piedi della grande piramide”. Si reca immediatamente in Egitto, i beduini lo prendono per un diavolo, lo legano e lo buttano al lato della strada che va dal Cairo a Memphis, una carovana lo libera e lui arriva in tempo all’appuntamento con la Sofia.
Negli anni della maturità, in un sogno profetico si vede nelle vie di Mosca, entra in una casa, vi trova un vescovo cattolico, la Sofia gli suggerisce che la separazione delle Chiese è apparente e non intacca minimamente l’unità mistica dell’Unica Chiesa di Cristo che è rimasta intatta. Un anno dopo Solovëv si trova davvero nella stessa via di Mosca, entra in quella casa che riconosce, vi trova il Nunzio cattolico del Papa, e dopo la conversazione sull’unità della Chiesa, riceve la benedizione. A partire da questa esperienza più volte parteciperà alla celebrazione dell’Eucaristia cattolica facendo la comunione senza alcun permesso canonico. Questo gli causerà molti problemi con la Chiesa ortodossa e anche con la Chiesa Cattolica.
Il suo entusiasmo ecumenico gli causerà l’accusa di relativismo e di anti-dogmatismo. Si difenderà dicendo che l’Eucaristia dell’intelligenza deve precedere l’Eucaristia del cuore. Questo permette di evitare l’idolatria del simbolo eucaristico ridotto a un semplice segno che non permette di incontrarsi con il simbolizzato, Cristo, sacramento della vera unità-comunione della Chiesa.

Ma i maggiori sforzi li concentrerà nella costruzione della sua sintesi teologica.
Il sistema sofiologico di Solovëv è davvero complesso. Impossibile sintetizzarlo in poche righe, pena la sua completa banalizzazione.
La Sofia è al centro dei suoi interessi, dei suoi pensieri, dei suoi studi. In sostanza riconduce tutta la cristologia alla sofiologia. Il Mistero di Cristo (la Sofia, la vera Sapienza) abbraccia tutto e pervade tutto. A questo proposito fu accusato di panteismo.
Cristo è l’incarnazione della Sofia divina che è dentro il Cosmo, dentro le Scritture, dentro le religioni e le culture, dentro la storia. Concepisce dunque la sua missione come un andare alla ricerca della Sofia in tutte le cose e in tutte le realtà cosmiche e umane e ritrovarla in tutto. Quindi nei suoi scritti ci sono analisi fisiche, matematiche, filosofiche, religiose, letterarie, artistiche, tutte compendiate in una specie di “metafisica dell’Assoluto”, che per lui si risolve in teologia.
La Sofia per Solovëv è il principio della creazione, l’anima del mondo, il fondamento dell’uomo, il disegno della Chiesa.

La Sofia lavora nella storia per riconciliare i tre rami della Chiesa indivisa: l’autorità morale appartiene alla Chiesa di Roma e al suo rappresentante il Papa, il potere temporale appartiene allo Zar di tutte le Russie, legittimato dal Patriarca di Mosca, il rapporto con il mondo appartiene ai profeti della Riforma protestante.
La sua sintesi deriva dalla trinità delle dignità: quella sacerdotale del Papa, quella regale dello Zar, quella profetica della Riforma. Quando si realizzerà l’unità della Chiesa, ad immagine dell’Omni-Unità della Trinità, allora si realizzeranno la Giustizia sociale, la Pace universale, il Bene totale dell’uomo.

È chiaro che questa visione di Solovëv non coincide del tutto con la Tradizione della Chiesa, è vulnerabile, il suo ottimismo di fondo si avvicina molto a quello di padre Teillard de Chardin, forse è anche un po’ ingenua, ma proprio per questo fascinosa.

Il tema dell'Anticristo

Alla fine della sua vita si interessa al tema dell’Anticristo, che è strettamente connesso con il problema del male e del male radicale. Egli attraversa un dramma profondo, scopre il potere terrificante del male, non crede più al progresso sociale e alla realizzazione del Bene sulla terra, vive una profonda disillusione sulle possibilità dell’uomo e sulla costruzione delle società umane. Pensa seriamente che la Storia è ormai alla fine.
Negli ultimi tre mesi di vita, ormai stanco e malato, scrive di getto i famosi “Tre dialoghi” e “Il racconto dell’Anticristo”.

La figura dell’Anticristo appare sotto l’aspetto di un grande filantropo, colui che porta all’umanità il pane e la pace, che risolve tutti i problemi esistenziali e sociali seguendo le tre tentazioni che Cristo aveva combattuto e rigettato nel deserto. Diventa in poco tempo il grande seduttore dell’umanità, l’Imperatore universale.

Celebre è la descrizione delle opere dell’Anticristo, per gli elementi di bruciante attualità che contiene. Egli prevede che, dopo le grandi guerre del secolo ventesimo, i popoli, daranno origine agli Stati Uniti d'Europa. L'incredulità però sarà dilagante. Nascerà il tempo dell’Anticristo. «Convinto spiritualista», crede nel bene e perfino in Dio, «ma non ama che se stesso». «È un asceta, uno studioso, un benefattore». E ancora: «ecologista, pacifista, ecumenista». Nella sua prima giovinezza si era segnalato come dotto e acuto esegeta: una sua voluminosa opera di critica biblica gli aveva propiziato una laurea ad honorem da parte dell'università di Tubinga. Ma il libro che gli ha procurato fama e consenso universali porta il titolo: La via aperta verso la pace e la prosperità universale; dove «si uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli antichi con un vasto e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e politiche, una sconfinata libertà di pensiero con il più assoluto individualismo.

Tre cose di Gesù, però, gli risultano inaccettabili. Prima di tutto le sue preoccupazioni morali. «Il Cristo – afferma l’Anticristo - col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi».
Poi non gli andava «la sua assoluta unicità». Egli è uno dei tanti; o meglio – dice l’Anticristo – è stato il mio precursore, perché il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile all'uomo di oggi.
Ma soprattutto l’Anticristo non può sopportare il fatto che Cristo sia vivo, tanto che istericamente ripete: «Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto. È marcito, è marcito nel sepolcro... !».

In filigrana e sullo sfondo di questa descrizione ci sono i titoli di tutti i lavori di Solovëv e ne sintetizzano le sue idee filosofiche e religiose. I critici affermano che questo ultimo scritto sia una grande ritrattazione del lavoro di una vita e degli ideali che l’hanno animata. Il sogno ottimistico di una specie di “paradiso terrestre” si rivela una menzogna. Tutto crolla nella visione dell’Apocalisse del lago di fuoco. Solo una visione resta: quella di un grande ultimo Concilio ecumenico che riuscirà a riunire il monaco Giovanni (l’Ortodossia), il Papa Pietro II (il Cattolicesimo), il professor Paolo (il Protestantesimo).

Soltanto un piccolo numero di fedeli ortodossi guidati dallo staretz Giovanni, solo un residuo gruppo di cattolici con a capo il papa Pietro II e alcuni protestanti che si esprimono per bocca del professor Paolo resisteranno al fascino dell'Anticristo. Costoro arriveranno ad attuare l'ecumenismo della verità, radunandosi in un'unica Chiesa e riconoscendo il primato di Pietro. Ma sarà un ecumenismo «escatologico», realizzato quando ormai la storia è pervenuta alla sua conclusione: «Così - racconta Solovëv - si compì l'unione delle Chiese nel cuore di una notte oscura su un'altura solitaria. Ma l'oscurità della notte venne a un tratto squarciata da un vivido splendore e in cielo apparve un grande segno: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle».

Lucia Romiti

Le opere complete di Solov’ëv sono state pubblicate in 10 volumi in russo fra il 1911 e il 1914 a San Pietroburgo con ristampa in 12 volumi a Bruxelles (1966-1969). Le opere sinora tradotte in italiano sono: La crisi della filosofia occidentale, Milano 1986; La Russia e la Chiesa universale, Milano 1989; Il significato dell’amore e altri scritti, Milano 1988; Lezioni sulla Divinoumanità, Milano 1990; Scritti estetici, 1996; La Sofia, Milano 1997; Scritti Letterari, Milano 1995; L’Anticristo, Roma 1995.

Pubblicato il 27 giugno 2024

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