Aiutiamo la missione
di suor Bettina
Suor Elisabetta Scaravaggi, 42 anni (gli amici la chiamano suor Bettina), piacentina di Gossolengo, dall’ottobre 2014 è in missione con le Clarisse Francescane del Santissimo Sacramento a Carupano in Venezuela, nella periferia delle periferie, dall’altro capo del mondo, nell’Est del Paese, l’area più povera dello Stato sudamericano.
Il Nuovo Giornale porterà il suo contributo alla missione di suor Elisabetta Scaravaggi
È possibile dare il proprio sostegno acquistando in redazione la pubblicazione di 96 pagine a colori “Il libro della vita”, scritto da Gaia Corrao e dedicato all’avvincente percorso delle sculture della facciata della Cattedrale di Piacenza e dei pregevoli capitelli delle navate.
Gli abbonati potranno acquistarla a soli € 5,00 euro (il prezzo di copertina per i non abbonati sarà di € 15,00).
Per ogni libro venduto, 2 euro saranno destinati a sostenere l’opera di suor Elisabetta.
“Porto i misteri”
Sul crocifisso che fa parte della loro “divisa” c’è la frase che la fondatrice Serafina Farolfi ripeteva: “Porto i misteri”.
“Vuol dire - spiegava suor Bettina in un’intervista al nostro settimanale - portare Gesù eucarestia che ogni giorno discende in mezzo a noi attraverso il pane e il vino. Ma significa anche portare il mistero di Gesù e portare il mistero che è in ciascuno di noi, in ciascuno che incontriamo. Portiamo Gesù in noi e ovunque andiamo. Diceva Madre Serafina «fate del vostro cuore un tabernacolo»: se sappiamo non mettere noi stessi al centro di tutto, per esporre Gesù nel tabernacolo che portiamo in noi, lui poi sa fare bene tutte le cose”.
“La vocazione è essere innamorati”
Suor Bettina ha iniziato a riflettere sulla sua vocazione a 26 anni.
“La vocazione alla vita consacrata, come anche la vocazione al matrimonio, nasce dall’amore. È come quando incontri un ragazzo, lo conosci, diventa tuo amico, ti accorgi che è una persona meravigliosa, e a un certo punto scopri che anche lui è innamorato di te e ti chiedi: proprio io? Ecco, con il Signore è la stessa cosa. Non saprei spiegarlo in nessun altro modo”.
L’innamoramento è la prima fase, indispensabile. Ma ci vuole anche un percorso nel quotidiano, un lavoro che sostenga e rinnovi il “sì” iniziale nel tempo.
“Faccio ancora l’esempio della coppia: se due sposi non si parlano mai, cosa succede a lungo andare? Che ognuno va per la sua strada. Se io come suora non prego, non sto in dialogo con Gesù, non sto insieme a Lui davanti al tabernacolo - conclude suor Elisabetta -, che relazione è la nostra, come la alimento?”.
“Non ho paura. La mia vita è sua”
La religiosa piacentina è laureata in Scienze dell’educazione, scout dall’età di 11 anni nella parrocchia della Sacra Famiglia, ha lavorato come educatrice alla Casa del Fanciullo e con i ragazzi dei campi nomadi attraverso un progetto a cura del Comune di Piacenza.
A 26 anni ha iniziato un cammino di discernimento durato quattro anni che l’ha portata a consacrarsi al Signore.
“Avevo una vita molto bella e facevo tante cose che mi piacevano insieme a gente che mi piaceva, ma mi sembrava che mancasse un po’ il centro di tutto questo. Non trovavo il senso di pienezza e la felicità. E il Signore mi è venuto incontro”.
Prima di approdare in Venezuela, suor Elisabetta era superiora in una comunità a Modena.
Prima della partenza le avevamo chiesto se avesse qualche timore: “Non ho paura – fu la sua risposta - perché la mia vita io l’ho già donata una volta a Cristo. La mia vita è sua”.
“Qui - prosegue il suo racconto - la gente è ferma a una religiosità superficiale, ai confini con la superstizione. C’è bisogno del primo annuncio, di portare Gesù e di farlo conoscere - riflette suor Bettina -. I nostri ragazzi non hanno ancora ben capito il perché non siamo sposate. Ma il bello è questo: sono curiosi, vogliono conoscerci. Capita che qualcuno bussi alla porta di casa e ci dica: cosa fate? Noi li invitiamo ad entrare, a chiacchierare, a pregare con noi”.