Adulti credibili, perciò autorevoli
Per educare bisogna “esserci” e prendere sul serio le domande dei figli
Guerra o pace? La netta alternativa con cui la Grande Festa della Famiglia ci invita quest’anno ai suoi appuntamenti vuole riferirsi prima di tutto al rapporto fra genitori e figli, ma la scelta presenta di per sé molteplici sfaccettature, e domenica 17 settembre, ultimo giorno dell’evento, si dispiega attraverso le esperienze degli ospiti invitati sul palco di piazza Cavalli.
Non c’è proposta educativa se manca il rispetto
Per primo don Diego Goso, parroco di Ventimiglia e prolifico scrittore, entra nel vivo dei rapporti famigliari con l’aiuto del libro “Come non strozzare il proprio figlio... E vivere felici con un adolescente in casa”.
Il titolo rivela il particolare senso pratico dell’autore e infatti il sacerdote mostra di avere le idee chiare riguardo lo spinoso problema dell’educazione: il grande ostacolo - riassumiamo il suo intervento - non è da cercare nel comportamento indecifrabile dell’adolescente, ma nella posizione dell’educatore che deve mostrarsi non tanto rigido, quanto piuttosto autorevole, recuperare e rafforzare ciò in cui crede per mostrarsi un punto di riferimento sicuro agli occhi del ragazzo e soddisfare la sua ricerca di senso. Solo così è possibile recuperare quel rispetto la cui perdita è oggi la grande piaga da sanare nel rapporto educativo.
Le domande dei figli - prosegue il sacerdote incalzato sul delicato tema del rapporto dei giovani col proprio corpo - sono da ascoltare con attenzione, e questo fin dall’infanzia: i “perché” dei bambini potranno sembrare sciocchi ma ad essi va risposto con serietà, altrimenti questi, entrati nell’adolescenza con interrogativi ben più pesanti, cercheranno risposte altrove, perdendosi facilmente nelle volgarità della comunicazione digitale.
Da ultimo don Diego si sofferma sulla necessità di accogliere i figli come un dono, rispettando l’unicità di ciascuno senza pretendere ciò che non possono dare: solo così potranno riconoscere pienamente l’amore di mamma e papà.
Genitori “sottratti” ai figli
Si prosegue con Susanna Manzin, organizzatrice di eventi, blogger - “Pane e focolare” la sua pagina web - e da tre anni scrittrice di romanzi. “Il destino del fuco” (D’Ettoris 2014) e “Come salmoni in un torrente” (D’Ettoris 2016) nascono dall’interesse per la bioetica e in particolare per la fecondazione eterologa, attraverso donatori anonimi che i figli non sono tenuti a conoscere.
Sono problemi spesso oggetto di discussione, ma che cosa può succedere effettivamente in una famiglia in cui i rapporti genitoriali sono stravolti da procedure di laboratorio?
Per rispondere Susanna ha elaborato due storie coinvolgenti che mettono in scena quello che si agita nell’animo e nelle relazioni fra le persone. Il romanzo si è rivelato lo strumento ottimale per illustrare i problemi reali della bioetica, e infatti, attraverso il racconto di una storia che faccia chiedere come tutto andrà a finire, è stato possibile creare uno spazio di dialogo anche su temi che vengono assunti per eccellenza come creatori di divisioni incolmabili.
Interrogata poi su quale sia per lei la miglior strategia educativa la scrittrice risponde semplicemente: “esserci”, mostrarsi ai figli come una presenza su cui contare, dato anche il fatto che molti figli della fecondazione eterologa sentono appunto la forte mancanza di uno dei genitori.
Anche la tavola è uno spazio in cui esercitare questa presenza: il pasto condiviso - è l’invito che lancia al pubblico - è un momento in cui riscoprire il rapporto con chi si ama. La passione per la cucina, come testimonia il suo blog, non è vanagloria da chef, ma desiderio di accogliere e creare sintonia.
Dire “sì” al bello della vita
L’alternativa “guerra o pace” per lui si è giocata prima di tutto sul piano personale: Omar Baruzzi sta concludendo il percorso terapeutico con l’associazione “La Ricerca”. Come gli adolescenti oggetto delle nostre attenzioni, anche lui aveva una gran domanda di senso e un desiderio di affetto ed amicizia, a cui però ha risposto, a vent’anni, perdendosi nella dipendenza dalle sostanze.
L’uscita da questo tunnel ha significato per lui guardare in faccia con serietà il proprio desiderio e rispondere “sì” a ciò che di bello voleva per la propria vita. “Il mondo è pieno di cose e persone speciali - specifica - ma se manca un’adesione da parte nostra tutto diventa inutile”.
Oggi si dice affacciato sulla vita come non lo era da tempo e si dimostra pienamente padrone delle proprie esigenze. L’amore - rilancia - va praticato prima di tutto verso se stessi e la semplice domanda “come stai?”, ripetuta a sé ogni giorno o proposta nelle scuole dai ragazzi a cui racconta la sua esperienza di rinascita, apre un mondo di possibilità e di vita.
Alberto Gabbiani