La femminista
conquistata da S. Teresa
Lucetta Scaraffia, dalle lotte degli anni '70 alla scoperta della santità al femminile.
A Piacenza il 13 settembre parlerà del ruolo della donna nella famiglia
Era un femminista Lucetta Scaraffia. Cresciuta da una madre cattolica, negli anni Settanta si è allontanata dalla fede e ha militato nel movimento femminista. Poi, verso la fine degli anni Ottanta, ha conosciuto una vera e propria conversione al cattolicesimo durante una celebrazione presso la Basilica romana di Santa Maria in Trastevere.
Piccola di statura, nasconde dietro all'aspetto da scricciolo un grande carisma. Per conoscerne il pensiero basta leggere i suoi corsivi sulll'Osservatore romano, sul Corriere della sera, sul Riformista ed Avvenire. O seguire le sue lezioni di storia contemporanea alla Sapienza di Roma, vederla dibattere in tv di aborto e di eutanasia. Per il peso che ha la storia che ha alle spalle, non c'era persona migliore per parlare, nel dibattito che si terrà domenica 13. settembre alle 10 nel salone di Palazzo Gotico, de "TI ruolo della donna nella famiglia".
GLI ANNI DELLA RIBELLIONE. Ma facciamo un passo indietro per ritrarre la figura di Lucetta Scaraffia a tutto tondo.
Paragonata da "Il Foglio" a Giovanna D'Arco, la Scaraffia è nata nel1948 a Torino. "La mia famiglia era cattolica da parte di madre - racconta -. Mamma mi portava solo alla Rinascente di Cagliari (il padre costruiva raffinerie nel Mediterraneo e la sua famiglia si trasferì, quando era bambina, dal Piemonte alla Sardegna, ndr), secondo lei l'unico luogo frequentabile. Non mi permise mai di indossare i jeans. A Milano feci il '68 in tailleur" .
A 12 anni ebbe una sorta di crisi mistica. "Temendo di voler diventare suora, facevo le novene, dieci avemarie al giorno, per ottenere la grazia di non finire in convento", ricorda.
Poi, la ribellione. Divenne fra le prime femministe in Italia, anche se i dubbi cominciarono ben presto a infilarsi nei suoi pensieri. "Alle riunioni di autocoscienza facevo scena muta - confessa -. Ero sconvolta dai racconti intimi delle mie compagne". Ancora: "Le femministe inglesi, aggressive" che vivevano tra la sporcizia e il disordine nella loro comune, non mi piacquero. Quando il mio accompagnatore fu chiuso a chiave nello sgabuzzino delle scope perché non ascoltasse i nostri discorsi, cominciai ad avere qualche dubbio".
Fu in quegli anni che, nei suoi studi di storia sociale, si avvicinò alle figure delle sante Rita da Cascia e Teresa d'Avila. E il fascino di quelle figure non potè che conquistarla nel profondo.
LA CONVERSIONE. La via di Damasco di Lucetta Scaraffia è la Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma. L' occasione per entraci fu una celebrazione per il ritorno di un'icona restaurata, una Vergine del VI secolo. "Mi sentii male. Fui invasa da un fortissimo senso di luce, di calore, di presenza. Ho capito che lì c'era, ecco. C'era e mi diceva qualcosa. Mi si rivelava".
Da lì l'incontro, l"'abbraccio" - dice lei - con la Chiesa e con le sue figure carismatiche. Da lì la rinnovata attenzione alla religiosità femminile, ai rapporti fra la società occidentale e l'islam nell'età moderna, al nesso fra identità italiana e il più antico e importante santuario mariano della penisola, cioè Loreto.
IL SUO IMPEGNO INTELLETTUALE A FAVORE DELLA DONNA. È impossibile sintetizzare l'impegno intellettuale della Scaraffia senza essere riduttivi. Citiamo l'ultima fatica letteraria: "Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia" (edizioni Laterza), scritto a quattro mani con Margherita Pelaja. Un libro nato – hanno dichiarato le autrici - "per sfatare il luogo comune che attribuisce alla Chiesa una granitica opposizione al piacere e la generica equazione sesso uguale peccato". Un libro nel quale le due storiche, di differente collocazione ideologica, dibattono e giungono a conclusioni non scontate. Così come non è scontato neppure il.suo contributo al Comitato nazionale di Bioetica del quale è membro e la sua battaglia per la vita.
"L'eutanasia sarà legalizzata?", le chiedeva il settimanale "Panorama" solo poche settimane fa. "Temo di sì", rispondeva lei amaramente. E con acutezza aggiungeva: "L'età media aumenta, tenere in vita i malati costa. Ci sarà la corsa a far fuori le persone più indifese. Il tanto celebrato welfare svedese si basava anche sull'eugenetica".
Gio. Rav.
Articolo pubblicato sull’edizione speciale de “il Nuovo Giornale” del 9/11/2009