Franco Nembrini è rettore del Centro scolastico “La Traccia”e studioso di Dante
"Si è sempre alla ricerca di senso.
Anche in discoteca"
Un pranzo in famiglia. Un hamburger diviso in due. Da “Il senso della vita”, tema proposto quest’anno in una scuola di Piacenza per gli esami di terza media, è emerso tra i giovani il valore dell’ordinarietà.
“Anche un semplice gesto, come raccogliere uno spillo da terra, diceva Teresa di Lisieux, può rendere eccezionale il quotidiano. Perché eccezionale è la profondità con cui lo viviamo”, spiega Franco Nembrini, rettore del Centro scolastico La Traccia di Calcinate (nel Bergamasco) e protagonista di incontri pubblici, in Italia e all’estero, sulla figura di Dante e su tematiche relative all’educazione.
Sarà ospite alla “Grande Festa della Famiglia” di Piacenza domenica 15 settembre al Salone dei Cinquecento di Palazzo Gotico alle ore 10. Interverrà sul tema “Il senso di una giornata qualunque”.
Non so cosa sia la noia
— Ci descrive una sua giornata qualunque?
Mi alzo, raggiungo la scuola di cui sono rettore e mi divido tra il collegio docenti e gli incontri con i ragazzi e le famiglie. Vorrei che la scuola, oltre a trasmettere i tradizionali insegnamenti, aiutasse a essere soddisfatti di sé, della vita e del mondo. La sera, se ho un momento libero, incontro i gruppi di dialogo, con cui affronto questioni educative. Mi impegnano molto anche le letture di Dante, in Italia e all’estero.
— Quindi non rischia di essere noiosa una sua giornata qualunque...
Per niente (ride, ndr)! Dico sempre ai ragazzi che mi stupisce la loro capacità di annoiarsi. Con tutto ciò che possiamo imparare e vedere... La noia è un sentimento che mi è da sempre estraneo.
— Molte canzoni amate dai giovani parlano della ricerca di un senso. Sono incapaci di scovarlo?
Persino le “canzonacce” esprimono esigenze autentiche ed è per questo che sono ascoltate. Nelle serate in discoteca, nelle uscite all’insegna dell’eccesso, i giovani vanno alla ricerca del significato della vita, ma non è questa la strada che ve li conduce.
— Lo si trova nell’ordinario?
La vera sfida è scoprire l’eccezionalità dell’ordinario. Lo colsi in una frase di Giovanni Paolo II; descrivendo il tempo di S. Benedetto disse: “Occorreva che il quotidiano diventasse eroico e l’eroico quotidiano”. Era la sfida dei monaci dopo la venuta dei barbari ed è la sfida odierna: in tempi di nuove barbarie è necessario che qualcuno trovi la strada perché il quotidiano diventi eroico.
— Allora lo fecero i santi. Oggi chi sono gli eroi?
Oggi non mancano esempi che il rumore e la superficialità dei media talvolta celano ai giovani. Si tratta di padri, madri e figli che vivono la quotidianità con una profondità tale che anche il particolare più ordinario diventa eccezionale, perché eccezionale è il rapporto che l’uomo può vivere con il mistero di Dio.
Una catena di testimoni
— Che cosa direbbe a chi un senso non riesce a trovarlo?
Cerchiamolo insieme.
— Ci deve essere qualcuno che ti aiuti a scoprirlo?
Talvolta non lo si trova da sé, ma si incontra un maestro che stimola il nostro interesse e la nostra curiosità. Lo testimoniano le parole che Gesù rivolgeva ai curiosi con cui si imbatteva in Palestina: “Vieni e vedi”.
— L’incontro è sempre imprevisto?
Direi di sì. È, appunto, straordinario, va al di là delle nostre previsioni. Se fosse prevedibile, non avrebbe i caratteri dell’eccezionalità. L’imprevisto è la nostra speranza, scriveva Eugenio Montale (nella poesia “Prima del viaggio”, ndr).
— Quali incontri le hanno svelato un senso?
I miei genitori mi trasmisero, insieme alla vita, il senso della sua straordinarietà. Una professoressa delle scuole medie, sebbene poco più che ventenne, mi donò la passione per la letteratura e l’insegnamento; don Giussani, la solidità della fede. Mia moglie e i miei amici accompagnano giorno dopo giorno questi significativi incontri.
— Il senso, una volta scoperto, si trasmette agli altri?
Sì, come in una catena, perché l‘uomo è testimone di ciò che vive: quando è curioso di imparare e si stupisce delle cose, trova la verità e ha l’esigenza di comunicarla agli altri.
— Ha poi riscontri?
Riscontri meravigliosi. Un ex alunno de La Traccia, la scuola che dirigo, mi fece visita all’alba del suo matrimonio: sentiva il bisogno di ringraziarmi. La Traccia era stata la scuola di vita dove aveva incontrato maestri coraggiosi. “Nulla ci fu nascosto per un immorale senso di protezione”, ricordava 15 anni dopo.
Durante una mostra su Dante, nell’ambito del Meeting di Rimini, mio figlio, una delle guide, spiegò il Divino Poeta ed espresse pensieri così profondi sul suo rapporto con me e sua madre che mi commossi.
Dante e l’uomo di oggi
— Quindi i suoi figli amano Dante?
Tre su quattro hanno scelto la facoltà di Lettere e i primi due sono diventati insegnanti di italiano. Sì, direi che un po’d’amore sono riuscito a suscitarlo (ride, ndr).
— Che senso della vita trasmette Dante? A ben vedere, sa essere ordinario anche il Divino Poeta...
Ordinario perché del tutto straordinario. Il suo senso della vita è cristiano: lo stupore di fronte a un mondo che è indice della bontà che ci ha creato, ci crea ogni giorno e ci attende alla fine. Dante racconta la vita come l’itinerario che gli uomini devono compiere per scoprire che l’universo è stato ordinato per la loro felicità.
— Se Dante oggi partecipasse alla Festa della Famiglia direbbe che l’”Itinerarium mentis in Deum”, cioè il nostro cammino verso Dio, inizia dalla vita ordinaria?
Certo, perché straordinario è ciascuno di noi, senza bisogno di eventi eclatanti che lo confermino.
— La sera si chiede se ha avuto senso la sua giornata?
No. Charles Péguy, ne “Il Mistero dei Santi Innocenti” attribuisce a Dio parole molto interessanti: “Non mi piace l’uomo che non dorme e sta sveglio a fare il conto, come un ragioniere, dei suoi peccati e meriti al termine della giornata. I conti li faccio io”. Sono frasi piene di senso. Per ogni giorno, appunto.
Silvia Manzi
Articolo pubblicato sull'edizione di mercoledì 11 settembre 2013