Agnoli: "L'uomo occidentale non sa più chi è.
Così la sua solitudine diventa totale"
Francesco Agnoli, storico e saggista, inventore del Mendel Day, ne è convinto:
la speranza rinasce quando ci si scopre amati e guardati da Dio.
“Senza una relazione con il Creatore e con il perché della propria esistenza,
non si comprende nemmeno più il senso dei rapporti con le altre creature”
La speranza rinasce nel tornare “a credere fermamente che il disegno di Dio per l’uomo esiste, e che in quel disegno c’è la salvezza, non solo eterna, ma terrena”: ecco la strada per uscire dalla profonda solitudine esistenziale che attanaglia l’uomo di oggi.
Ad affermarlo è Francesco Agnoli, storico e saggista, interpellato in attesa del suo intervento alla Grande Festa della Famiglia, che si svilupperà sul tema “Lo tsunami antropologico: tracce di speranza”.
— Prof. Agnoli, in cosa consiste questo tsunami antropologico?
Sembra strano, ma per capire la deriva antropologica bisogna partire da quella teologica. Quando l’uomo non avverte più la sua creaturalità e la sua dipendenza, quando non sente più la sua vita come un compito, quando non si sente più amato e guardato da Dio, allora smarrisce se stesso.
Oggi l’uomo occidentale, sempre più spesso, non sa chi è, perché non sa più la sua origine e quindi la sua dignità e il suo fine. La sua solitudine diventa così totale. E l’uomo solo, che non ha rapporti con il suo Creatore e il perché della sua esistenza, non comprende più neppure il senso dei rapporti con le altre creature.
Dio è Trinità, cioè Relazione e Amore. Così l’uomo non si realizza se non nella relazione con Dio e il suo prossimo.
Oggi l’uomo solo è anche, purtroppo, sempre più fragile nel campo degli affetti. Non sa più quale sia il suo bene; non sa più che è chiamato a scegliere, non in base al capriccio del momento, ma a un bene oggettivo.
Non si capirebbe altrimenti come mai all’ordine del giorno del dibattito politico ci siano un giorno il suicidio assistito, figlio della solitudine esistenziale, e l’altro la ridefinizione della famiglia, sino alla reintroduzione della schiavitù antica, si pensi all’utero in affitto.
— Si può sopravvivere a questo tsunami?
Si sopravvive ritrovando la nostra natura, ricreando luoghi di speranza e amore, tornando a credere fermamente che il disegno di Dio per l’uomo esiste, e in quel disegno c’è la salvezza, non solo eterna, ma terrena: “il centuplo quaggiù e l’eternità”.
Credo che la storia non proceda come un continuo progresso, ma con i suoi giorni e le sue notti. E in ogni epoca di smarrimento, si accendono inevitabilmente delle luci, che diventano progressivamente più attraenti e visibili. Le comunità cristiane dovrebbero avere questo sale; dovrebbero essere vivificate da un amore contagioso.
In termini semplici: dove c’è una famiglia unita, dove vi sono persone che si vogliono bene, c’è una testimonianza che non può non colpire. La fede, il bene si diffondono per contagio. Se tanti uomini e donne si amassero e amassero i loro figli, non si porrebbe il problema di spiegare che l’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altro, che sono complementari in tutto, anche per quanto riguarda la crescita e l’educazione dei figli.
— Lei è l’ideatore del “Mendel Day”. Perché questa iniziativa, com’è nata?
È nata da due constatazioni diverse.
La prima è che moltissime persone credono che tra scienza e fede ci sia un contrasto: “o credi nella scienza, o credi in Dio”. Si tratta di un pregiudizio letale. La fede è tutt’altro che irrazionale.
La seconda constatazione è che i grandi uomini di scienza - basta studiare le loro vite - sono stati quasi sempre persone di profonda religiosità.
Se le due affermazioni sono vere, ho pensato con alcuni amici che occorre una nuova narrazione, sia storica che filosofica, del rapporto tra scienza e fede.
Mendel è un simbolo, universalmente conosciuto: un monaco, padre della genetica. Ma avremmo potuto scegliere tanti altri uomini di Chiesa, ad esempio Georges Lemaître, il sacerdote belga padre della teoria del Big Bang; oppure tanti altri laici, ad esempio Luigi Galvani, pioniere delle neuroscienze, che era un terziario francescano, perseguitato dai giacobini per il suo amore alla Chiesa; o come anche, per non andare lontano, il medico e matematico modenese Paolo Ruffini.
— Scienza e fede possono dunque incontrarsi? Come?
Come dicevo, i grandi uomini di scienza sono, quasi sempre nella storia, persone di fede per due motivi.
Innanzitutto, scommettono - è il loro punto di partenza, è quasi un atto di fede iniziale - che nella realtà si possa rintracciare un significato. La natura non è per loro casuale, assurda, ma ordinata, sensata, dotata di leggi.
Il secondo motivo è che più scoprono e apprendono, più i veri scienziati comprendono che la verità ultima c’è, ma è inaccessibile alla sola ragione umana.
Tornano utili due scienziati cattolici francesi: Pascal, per il quale “l’ultimo passo della ragione (umana, ndr) è riconoscere che vi sono infinite cose che la superano”, e Pasteur, secondo cui “poca scienza allontana da Dio, molta scienza vi conduce”.
L’importanza che il mondo cattolico oggi deve continuare a dare alla scienza sta qui: il pensiero scientifico è oggi, come ha scritto Paolo Musso, “uno dei pochissimi luoghi in cui viene ancora preservato un pensiero che afferma una pretesa di verità, una esigenza di rigore e una apertura alla realtà a cui la nostra cultura ha ormai quasi completamente abdicato”.
Per intenderci, una forma mentis scientifica non può che riconoscere che un embrione è vita umana, e come tale non se ne può fare ciò che si vuole; che un bambino nasce sempre da un ovulo e da uno spermatozoo, da un uomo e da una donna...
Se lo scienziato è coerente, riconosce che l’esistenza di leggi fisiche fa il paio con l’esistenza di leggi morali. Non dirà mai: “se vuoi buttarti da un ponte, fai pure, io alla legge di gravità ci credo, ma tu sei libero di non crederci”.
— Quali idee ha tuttora da offrire il cristianesimo alla nostra civiltà?
In sintesi estrema, l’idea che l’uomo è il centro dell’universo perché pensato e amato da Dio.
Da qui tutto il tema cristiano dei diritti dell’uomo: per intenderci, fu la conversione dell’Europa al cristianesimo che determinò la scomparsa della schiavitù di massa, dei giochi gladiatorii, dell’infanticidio come normalità....
E l’idea che il creato è un libro che ci parla di Dio.
Laura Dotti
Articolo pubblicato sull'edizione di mercoledì 10 settembre 2014