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Treviso, 16 luglio 2020
Memoria della Beata Vergine del Monte Carmelo

Alle sorelle e ai fratelli in Cristo della Chiesa che è in Piacenza-Bobbio
Vi raggiunga il mio cordiale e trepidante saluto nel momento dell’annuncio della mia nomina a Vescovo di Piacenza-Bobbio.
Quello che sta accadendo è motivo di sorpresa, di curiosità e di attesa. Per quanto mi riguarda mi sto comprendendo dentro alla logica della chiamata.
Oggi il Risorto si affaccia alla mia esistenza di prete con una nuova vocazione: una chiamata a seguirlo che prevede un lasciare ed insieme è accompagnata da una promessa. La promessa di un centuplo.
Ma questo centuplo c’è già! Siete voi. La promessa la vivremo insieme. La promessa del Signore è una Chiesa con una lunga storia sulla quale desideriamo costruire il futuro in una memoria grata (Evangelium Gaudium 13).

Stiamo uscendo da un tempo di prova che ci sta trasformando. Che ha messo in discussione ulteriori certezze oltre a quelle smarrite in questo tempo di radicali e repentine trasformazioni.
Ed è proprio in questo tempo singolare che il Signore mi ha chiamato ad esservi pastore, imparando da capo con voi ad essere discepolo, con in cuore la certezza che Egli non farà mancare ciò di cui c’è bisogno: la gioia (del Vangelo), la fiducia e la speranza per saper osare. Per questo Egli ci ha affidati gli uni agli altri.

Giungo tra voi e trovo una comunità cristiana e presbiterale segnata dal lutto. Ma allo stesso tempo segnata e rafforzata dalla testimonianza di carità e di dedizione di tante persone.
Il mio saluto va innanzitutto a chi è stato attraversato nella propria carne e nei propri affetti dalla sofferenza e dal dolore.

Il saluto pieno di sincera gratitudine al Vescovo Gianni che mi ha preceduto e dal quale raccoglierò la passione per Gesù e il suo Vangelo e il testimone della fedeltà apostolica.

Il saluto, nell’attesa di incontrarci, a tutti e, idealmente, a ciascuno.
In particolare al presbiterio, ai diaconi permanenti, a coloro che testimoniano in un preciso carisma la vita consacrata. Il mio ricordo va ai Fidei Donum e ai tanti missionari e missionarie laici e religiosi sparsi nel mondo.

Un saluto cordiale ai giovani e tra questi ai seminaristi e a quanti stanno dando ascolto a domande di senso, ad interrogativi vocazionali.
Un saluto ai genitori che in questo periodo hanno sperimentato, in un contesto straordinario, il peso e la gioia della responsabilità educativa. Agli sposi felicemente confermati nella promessa di amore, come pure a quelli smarriti e che stanno cercando di ritrovarsi.

Non vorrei dimenticare nessuno.
E perciò il mio pensiero va anche a coloro che per vari motivi si sentono poco o per nulla partecipi della vita ecclesiale. A loro il mio cordiale saluto e l’auspicio che potremo percorrere insieme sentieri di umanità, che potremo pensare e condividere progetti di convivenza civile, sociale e culturale per aiutare la città e il territorio a ripartire con uno sguardo fiducioso verso una direzione da cercare insieme.

Vi confido che ho in cuore una gioia: pur non conoscendovi ancora, voi siete entrati nella mia preghiera da tempo.
Da quando, giovane seminarista, sono stato invitato a pregare per quanti il Signore mi avrebbe fatto incontrare ed, eventualmente, avrebbe affidato al mio ministero. Per questa ragione mi siete già familiari e i nostri futuri incontri sono già stati preceduti e custoditi nella preghiera.

Se a papa Francesco va il ringraziamento per la fiducia riposta nella mia persona, non posso nascondere che in questi giorni è forte la consapevolezza della sproporzione tra ciò che sono e il compito che mi è affidato. Per questo motivo vi chiedo una speciale preghiera di intercessione, la chiedo in particolar modo alle persone anziane e ammalate la cui voce è ascoltata dal Padre che sta nei cieli.

E affido a Maria, che oggi veneriamo con il titolo di Vergine del Carmelo, ai SS. patroni Antonino, Giustina e Colombano e al beato vescovo Scalabrini il cammino che il Signore sta aprendo davanti a noi, certi che il suo buon esito dipenderà dal rimanere al nostro posto: dietro a Lui.

A presto!

d. Adriano Cevolotto

Pubblicato il 16 luglio 2020

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Il tempo passa, pesante.
Papa Francesco ha segnato il passo per tutti. Ci ha toccato dentro, credenti e non credenti, uomini e donne in pena, in cerca di un abbraccio.
Perché sempre si desidera ciò che non si può avere e di un abbraccio oggi sentiamo una mancanza struggente. Incontrarci, stringerci la mano, trovarci fianco a fianco.
Ma dobbiamo resistere al contatto fisico e recuperare l’intimità antropologica, la sintonia esistenziale, la comunità spirituale.
Il Papa è riuscito venerdì scorso in una piazza San Pietro, mai così vuota e così pulsante di presenze invisibili, ad abbracciarci tutti, dentro una preghiera silenziosa e forte.
Eravamo tutti lì, sotto la pioggia, ai piedi del vecchio crocifisso, dentro quelle parole chiare, essenziali, scandite lentamente, parole dense e accorate, le parole di un padre preoccupato per i figli.
C’eravamo noi e c’erano i nostri morti, presenti nella forma dell’assenza, incisi nella memoria, dentro gli occhi e il cuore di ciascuno di noi.

Francesco ha detto poche parole, non spreca formule retoriche, basta la Parola di Dio, che anche chi non crede desidera sentire vicina.
So di balbettare, non ho né la grazia né l’autorità per dire cose grandi, ma scrivo perché altri possano nel mio balbettio far risuonare le proprie sensazioni, non solo quelle emotive, ma soprattutto quelle spirituali che palpitano per il mondo intero, partendo dal punto in cui ci troviamo. Insieme, sulla stessa barca come ci ha ricordato Francesco.
Sballottati e pieni di paura, di chi possiamo fidarci?

In questi giorni ho pensato a Cassandra, personaggio sublime della letteratura greca.
Cassandra era una veggente, vedeva ciò che gli altri non vedevano. Ma la gente pensava che vaneggiasse, che fosse portatrice di sventura.
Gli occhi e il vedere sono stati al centro delle nostre meditazioni quaresimali.
La scrittrice Christa Wolf dà voce a Cassandra, figlia di Ecuba e Priamo, sacerdotessa di Apollo, mentre racconta il compiersi del suo destino.
Lei sapeva che Troia, la sua città sarebbe finita. Aveva il dono straordinario e tremendo di vedere cose che gli altri non potevano vedere: un peso, più che un dono, qualcosa di non facile da portare.
Tutti l’hanno presa per matta, perché da sempre, anche nella mitologia, la voce profetica è disprezzata e banalizzata e solo il dolore diviene, alla fine, la prova della verità annunciata.
Pensiamo a noi, alla nostra storia: ci sono segni importanti che ci ammoniscono di cambiare, il rapporto con la natura, con le relazioni, il senso di quello che facciamo, il valore che inseguiamo affannosamente.
Cose che hanno bisogno di un lavaggio profondo, di un cambiamento, di una conversione.
Dobbiamo dare retta ai segni.
Prendiamo in mano la vita personale, comunitaria, pubblica, politica, culturale e rifondiamo. Cerchiamo il terreno migliore per piantare gli alberi che continueranno a donarci ossigeno (vitale ossigeno ...), troviamo forme nuove per costruire, per non dimenticare chi rimane indietro, per aiutare chi fa fatica a crescere e a fidarsi del futuro. Siamo testimoni di ciò che non va.
Qualcuno è profeta, vede avanti e parla, il Papa in primis. Non smette di dire cose scomode, di ricordarci che siamo fragili...
E non serve appartenere a una categoria per sentirsi tali, fragili lo siamo tutti.
Guido Dotti, monaco di Bose, ha scritto che oggi “non siamo in guerra, siamo in cura” e dobbiamo curarci insieme, gli uni si curino degli altri. E questo stile non dovrà finire una volta che l’epidemia sarà conclusa. Dovrà essere la cifra che contrassegna la nostra umanità. Come un lenzuolo di lino, nascosto nel baule, un po’ ingiallito, con i magnifici ricami fatti dalle donne del passato, su cui sono indicate le cifre, le iniziali dei nomi. È il corredo che si tramanda, e ha un valore inestimabile, perché ci innesta nella linea del tempo.
Apriamo il baule della nonna, tiriamo fuori questi magnifici teli, con le iniziali e reimpariamo l’alfabeto umano. Riscopriamo le parole universali.
Luigino Bruni, economista e biblista, ogni domenica su Avvenire ci porta dentro i libri della Bibbia e da poco ha ripreso la preghiera dei Salmi, perché, dice, sono le “preghiere nate nei momenti più tremendi della storia di Israele”.
Impastate di uomo e di Dio, sono le più capaci di dare voce a tutto il dolore e a tutto l’amore dell’uomo.
E noi, oggi come allora, ne abbiamo molto bisogno.

Itala Orlando

Pubblicato il 10 aprile 2020

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