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Quaresima 2020, quarto passo:
condividere il dono ricevuto

fiore

La preposizione “con” qualifica molte parole importanti del nostro linguaggio: comunicazione, condivisione, consapevolezza, compagnia, consolazione, connessione, collaborazione.
Essere-con è una postura che ci appartiene profondamente e definisce le nostre azioni, nel lavoro, negli affetti, nella politica, nell’economia.
Nulla possiamo da soli. Ce ne rendiamo conto quando il collegamento viene meno, come in questo periodo in cui sono interdetti i contatti tra le persone e non riusciamo a stare con i nostri cari, specie nei momenti più difficili. E questo provoca in tutti noi una grande sofferenza.

Questo quarto passo ci porta proprio lì, nel valore dell’incontro con l’altro, uno spazio in cui il mondo si riconfigura e si dispiega un senso nuovo delle relazioni.
Le donne del vangelo lo raccontano bene. Pensiamo alla Samaritana: dopo l’incontro con Gesù che le ha rivelato il senso della sua vita, se ne va così eccitata che lascia al pozzo la brocca con cui doveva prendere l’acqua, una cosa preziosa quella brocca, ma non tanto quanto il dono spirituale ricevuto: essere riconosciuta, amata e spinta a vivere una nuova vita.
Così anche le donne che al mattino di Pasqua recatesi al sepolcro, trovandolo vuoto, corrono a dirlo ai discepoli chiusi nel cenacolo. Sono elettrizzate dalla notizia: Gesù è risorto!
Quando ci accade qualcosa di grande non ce la facciamo a tenerlo per noi, dobbiamo condividerlo, subito, con l’immediatezza dei bambini, senza paura, senza pudore.
Non da pettegoli: i pettegoli sussurrano, parlano all’orecchio, sottovoce, non vogliono farsi sentire, perché il male è strategico, anche quando è piccolo, sta nell’ombra, non vuole farsi riconoscere. Il dono invece è luce, porta che si spalanca, rivelazione che ha il respiro del mondo. È la felicità della persona guarita. Ma è anche la felicità di chi ha guarito, che non guarda la stanchezza, la sente, ma va avanti fino alla fine, perché ha assunto la responsabilità dell’altro, ne condivide il destino, non può fermarsi.
E la cosa straordinaria è che più amore si dà, più ne torna indietro. È un bene che si genera in continuazione. La mia gioia è la tua gioia, il mio amore è il tuo amore, il tuo bene è il mio bene.
Il contrario del condividere, invece, è avere paura: che qualcuno ci porti via il primato, il segreto, il posto migliore. Il contrario del condividere è la cecità che impedisce di vedere ciò che conta veramente, ciò di cui non si può fare a meno, e cioè che qualcuno mi voglia bene, capisca quanto sto male e di quanta consolazione ho bisogno.
In questi tempi vediamo all’opera la capacità di condividere nella generosità di medici, infermieri, oss, educatori, psicologi, sindaci, volontari che si fanno in quattro (dividendosi per quattro e per quattro ancora) dimostrando che è proprio la condivisione, che diviene corresponsabilità, a salvarci. E ironia della sorte, oggi, per prenderci cura degli altri, quasi paradossalmente dobbiamo isolarci dagli altri: proteggo me per proteggere te e viceversa.
La solidarietà sembra un paradosso, semplicemente segue altre logiche, che mettono, comunque, sempre, al centro l’altro.

È facile tutto ciò?
No, non lo è. Richiede la con-sapevolezza di quello che siamo.
Nei racconti delle origini si narra di un fratricidio: Caino uccide Abele e risponde a Dio che gli chiede dov’è suo fratello: sono forse io il custode di mio fratello?

Che risposta dare a questa domanda?
Non una parola automatica, che ci scagiona, ma una parola scelta con cognizione etica: sì, sono il tuo custode, chiunque tu sia, vecchio o giovane, amico o straniero, ricco o povero, buono o cattivo, e tu lo sei di me.
Siamo una com-pagnia, che etimologicamente significa mangiare insieme il pane, alimento essenziale.
Certi gesti quotidiani e sacramentali sono il segno della nostra umanità e del riverbero divino in noi.
Questo periodo in cui la quaresima liturgica coincide più che mai con una dura quaresima esistenziale, in cui ci sentiamo quasi senza pelle tanto siamo esposti al rischio, isolati come nel deserto, raccolti nelle nostre dimore sicure, prendiamoci cura della vita, la nostra e quella degli altri, chiunque essi siano, in tutti i modi possibili.
Coltiviamo dentro di noi questa postura, facciamola crescere con dedizione.
Appena usciremo sarà il mondo intero, la nostra città, la nostra chiesa ad avere bisogno del nostro abbraccio.
Non facciamolo mancare, sarà una rinascita, anzi una resurrezione.

Itala Orlando

Pubblicato il 1° aprile 2020

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